Introduzione ai Classici cristiani
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:48
La riflessione sulla legge naturale e sul rapporto che essa intrattiene con la legge che positivamente Dio trasmette attraverso la rivelazione è una delle più caratteristiche del Medioevo. Le posizioni in merito sono differenti, ma vengono elaborate sullo sfondo di una presa di posizione largamente condivisa: le prescrizioni propriamente morali della Bibbia (escludendo quindi quelle di carattere rituale) coincidono sostanzialmente con la moralità naturale. Qui l’aggettivo “naturale” non significa né il fatto che essa sia perfettamente conoscibile a priori dalla ragione umana, né tanto meno che essa sia spontaneamente seguita: significa piuttosto che essa è radicata così profondamente nella natura dell’uomo che almeno a posteriori può essere riconosciuta come quella che più perfettamente realizza il desiderio dell’uomo. È dunque questo anche il metro sul quale va misurata in linea di principio la giustizia umana: da accettare quando specifica e applica la legge naturale, da rifiutare quando vi si oppone. Su questo tema è tornato diverse volte Benetto XVI, dal discorso al Reichstag di Berlino (cfr. «Oasis» 14, 86-89) a quello alla Rota Romana presentato in questo numero: senza un riferimento a un criterio assoluto, non ci sarebbe alcun modo per protestare contro la legge ingiusta che opprime il debole e l’indifeso. Al riguardo, la discussione più nota è quella di Tommaso d’Aquino. Alla sua epoca (e anche grazie al suo personale spirito innovatore) si creano le condizioni ideali per affrontare il problema in modo più completo: alla tradizione giuridica si somma quella filosofica, che in Aristotele offre un modello con cui agganciare la riflessione sulla legge a quella propriamente etica, contemporaneamente offrendo criteri chiari per distinguere i due ambiti (e dunque per esempio comprendere perché è perfettamente lecito che vi siano comportamenti immorali che non sono però sanzionati dalla legge umana). Prima però che questa analisi venga portata avanti nella Summa Theologiae, nella Summa contra Gentiles Tommaso propone una riflessione più semplice: il fine della legge divina è l’amore di Dio e l’amore del prossimo, ed è proprio nell’analisi di questo duplice amore che si scopre la razionalità e la “naturalità” della rivelazione morale di Dio. Questa radicalizzazione certo non è estranea né alle opere successive di Tommaso né alla posteriore tradizione cristiana, ma spesso rischierà di rimanere nascosta tra le pieghe di analisi molto più complesse. Molto più evidente essa era invece in epoche (per esempio il XII secolo) in cui il tema dell’amore costituiva spesso l’unico titolo in cui riassumere non tanto lo specifico cristiano, quanto il modo in cui la fede cristiana intercettava e portava alla luce i caratteri più profondi e universali dell’umanità. In tale prospettiva, sarebbe interessante confrontare tale attitudine con quella (molto frequente nell’epoca contemporanea) che tende a cercare un accordo interreligioso in un “minimo” di carattere laico, dal quale il tema dell’amore risulta quasi fatalmente emarginato. Si è trattato veramente di un progresso? Non è un caso se proprio dall’amore di Dio e del prossimo abbia preso le mosse la lettera aperta indirizzata nel 2007 da 138 intellettuali musulmani ai responsabili delle diverse Chiese e comunità cristiane.