Il riconoscimento della fragilità del Libano, Stato ufficialmente laico ma di fatto retto da criteri di appartenenza comunitaria, spinse Muhammad Mahdî Shamseddine a rilanciare il modello di Stato civico, nel quale la fede, senza essere negata o privatizzata, non determina i diritti dei singoli.

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Ultimo aggiornamento: 23/07/2024 15:59:10

La questione dell’ordinamento della società e della sua gestione è la questione fondamentale dell’umanità, prima ancora di quella culturale o economica o di altre, pur importanti. Tutti i messaggi profetici sono giunti per trattare difficoltà organizzative a livello della società. Quanto più la società è omogenea, tanto più facile sarà risolvere il problema. Quanto più la società è variegata, tanto più complessa diverrà la soluzione.

 


[…] Nella variegata società libanese il problema è stato vissuto facendo ricorso ad alcuni temi e slogan tradizionali intorno alla questione dell’ordinamento: democrazia o non democrazia, natura di questa democrazia e modalità della sua applicazione tra le comunità. Poi, quando si è manifestato il fenomeno del risveglio islamico (al-sahwa al-islâmiyya), che erroneamente viene chiamato fondamentalismo, il problema in Libano si è fatto più complesso. Infatti il movimento del risveglio islamico ha portato con sé un progetto politico anche al di fuori delle società totalmente islamiche, mentre nella sua sostanza più vera esso è un progetto di rinascita culturale e civile (mashrû‘ siyâsî thaqâfî hadârî nahdawî). Credo che il risveglio islamico, nel momento in cui ha sviluppato un progetto politico, si sia appesantito e abbia appesantito le società; e tanto più pesante è risultato quando è stato avanzato in società plurali non costituite unicamente da musulmani. Di contro, c’è anche ciò che possiamo chiamare il risveglio cristiano (al-sahwa al-masîhiyya) o “il fondamentalismo cristiano”. Anch’esso ha sviluppato un progetto politico in ogni luogo in cui si è espresso ed è cronologicamente precedente al risveglio islamico. Risale infatti alla fine della seconda guerra mondiale, quando si diffuse in Europa la formula delle “democrazie cristiane”, sul cui fondamento si costituirono alcuni grandi partiti politici che presero il potere e in taluni casi lo conservano tuttora. Le democrazie cristiane furono un’arma ideologica e organizzativa contro il progetto marxista. Al riguardo, ciò che mi interessa direttamente è l’argomento della democrazia e dell’ordinamento dello Stato in Libano. Tutti quelli che si occupano del problema dell’ordinamento libanese ritengono che tra le cause della fragilità del progetto statale e della mancata nascita di un’unità nazionale razionale e cosciente che superi la boutade retorica e l’appello sentimentale per diventare pietra angolare su cui edificare la patria, vi sia l’assenza di una forma di governo che possa soddisfare la maggioranza, in una società comunitaria in cui sono presenti due grandi religioni, ciascuna delle quali si suddivide ulteriormente in un gran numero di comunità (tawâ’if) e confessioni (madhâhib). Teoricamente lo Stato libanese è uno stato laico (dawla ‘almâniyya), se dobbiamo identificarlo in relazione alla sua base filosofica astratta. Infatti l’autorità in questo Stato, in tutte le sue istituzioni, non è legittimata religiosamente, ma proviene da una convenzione umana (wadʿiyya), nel pieno significato del termine. Pertanto, dal punto di vista teorico, il Libano è uno Stato non religioso. Ma nell’applicazione pratica e nella distribuzione del potere, non conosco uno Stato più religioso del Libano. La considerazione dell’elemento religioso islamico e cristiano, e poi delle varie confessioni in seno a Cristianesimo e Islam, entra in ogni dettaglio, dal più grande al più piccolo. Questa ingerenza non va a beneficio della fede in quanto mondo culturale di quanti la professano, ma torna a vantaggio di una piccola élite che accede alle istituzioni statali […]. Paradossalmente questa élite (cioè il corpo politico che esercita il potere) è un corpo non religioso che gode dei suoi privilegi ed esercita la propria autorità su un fondamento totalmente laico, ma esso arriva al potere attraverso l’elemento religioso e settario! È questa la contraddizione: che tutti i capi e i responsabili dello Stato occupano le loro cariche in nome della religione, della comunità e della confessione, ma esercitano un’autorità a carattere laico. Dopo gli accordi di Ta’if la divisione comunitaria si è caricata di un’intensità e una passione ancora maggiori, nei luoghi in cui si controlla il potere, il denaro e l’amministrazione e un po’ ovunque. Il progetto di Stato è di nuovo in pericolo, ma il pericolo ora viene dall’interno degli uomini, della élite e della classe che dovrebbero vegliare su di esso. In questo clima e contesto abbiamo avanzato il progetto dello Stato civico. Prima di passare a esaminare il significato dell’espressione Stato civico, dico chiaramente ed esplicitamente che non siamo d’accordo con uno Stato laico nel senso dominante in Occidente, uno Stato cioè che non bada alla fede e non se ne interessa. Allo stesso modo, qualsiasi progetto monocolore di Stato religioso o comunitario o settario, in realtà è una condanna per il Libano. Né i musulmani sono disposti ad accettare una forma di Stato cristiano, né i cristiani una forma di Stato musulmano. So bene che ogni estremismo in questa direzione ne nutre un altro opposto e contrario. Per questo io sostengo l’idea di uno Stato civico, cioè di uno Stato senza religione. L’espressione mi è stata rimproverata, a volte anche con toni molto duri, ma nonostante tutto torno a ripetere: uno Stato civico senza religione. Così dicendo non auspico che i cittadini siano senza religione né voglio una società senza religione; mi riferisco invece a uno Stato e a delle autorità che governino senza religione. Distinguo, nel mio pensiero politico (fiqh siyâsî), tra due elementi della società, di qualsiasi società: l’elemento civile-civico, e l’elemento politico. La società civile e civica non ha rapporto con la struttura dello Stato […]. La società civile di cui siamo parte accoglie nel suo seno i progetti culturali di tutti i suoi figli, si diversifica al suo interno e accoglie queste diversità. È questa la società musulmana e cristiana il cui contenuto religioso invito ad arricchire a livello di pensiero e istituzioni in tutti i modi e con tutti i mezzi. Questa società, sotto un altro punto di vista, è una società politica che si organizza in una grande istituzione per amministrare la propria vita e farla crescere. Tale istituzione è lo Stato. In questo senso tale società politica è una società senza religione. Per questo affermo che tutte le istituzioni statali […] sono istituzioni senza religione, che possono svolgere la loro missione nel modo più pieno a prescindere dalla religione di chi occupa le cariche pubbliche, e anche nel caso in cui ne fosse privo. In Libano c’è una magistratura laica (wadʿî), collegata allo Stato e dunque alla comunità politica, e una magistratura religiosa (sharʿî), musulmana e cristiana, collegata alla società civile e senza rapporto con lo Stato. O meglio, così dovrebbe essere; ma la situazione attuale è completamente differente. Forse il peggior riflesso di questo stato di cose è l’attentato che esso porta al concetto di cittadinanza (muwâtana) in Libano. Prendiamo un qualsiasi libanese: troveremo che la sua appartenenza allo Stato e alla patria è mediata da almeno due realtà: appartiene infatti prima di tutto alla confessione (madhhab) e quindi alla religione, soltanto dopo e attraverso di esse allo Stato-nazione. Così andavano le cose prima della guerra civile ed era ancora il meno peggio. Perché dopo la guerra civile e tutti gli orrori che ha generato, il libanese deve appartenere prima al partito e all’organizzazione, poi alle altre maglie della catena che abbiamo ricordato per arrivare infine alla patria. E la cosa peggiore di tutte è che è costretto a mettersi sotto le ali di un’organizzazione o di un centro di potere all’interno di questa o quella fazione per poter arrivare a ottenere i suoi diritti dalla patria. È questa commistione di religione e politica, di elemento religioso come cultura e appartenenza e di elemento politico come ordinamento che persegue obbiettivi di utilità pratica, ad aver creato la situazione disastrosa in cui versa lo Stato in Libano. La comunità religiosa non può essere una patria, la religione non può essere una patria. La patria è lo Stato in quanto quadro organizzativo che accoglie in sé le esigenze della società politica. Ugualmente non mi trova assolutamente d’accordo l’idea di ridurre la religione, la comunità o la confessione a un partito preciso, indossasse pure il turbante o la tiara. Il partito è un’istituzione politica che rappresenta unicamente i suoi membri e mi rifiuto di prendere ordini da loro, chiunque siano, musulmani o cristiani. […]. Penso che questa realtà in cui viviamo resterà la grande debolezza del Libano. A Ta’if abbiamo deciso di cancellare il comunitarismo politico. Ma il mio consiglio oggi a tutti quelli che hanno responsabilità è di ritirare dalla circolazione questo progetto e questo slogan fino a quando Dio solo sa, perché nella situazione presente non è possibile cancellare il comunitarismo politico. Si può razionalizzarlo, indirizzarlo al bene, trovare al suo interno dei criteri di giustizia. Ma cancellarlo richiederebbe di pensare e agire molto per far maturare uno Stato civico nel senso che ho presentato. Alla fine dobbiamo riuscire a separare completamente tra l’elemento della società civile-civica e quello della società politica. […] Chi passa in rassegna la questione della laicità non ne troverà traccia nella nostra eredità intellettuale, come musulmani e come cristiani orientali. La laicità non è un prodotto cristiano, ma è il prodotto di una crisi nell’Occidente cristiano. Questa crisi ha prodotto la laicità nella sua formula marxista e nell’altra formula più raffinata che è stata applicata nell’Europa occidentale. Né il Cristianesimo orientale né l’Islam hanno conosciuto una crisi di questo genere. Perciò consiglierei di non crearci un problema immaginario per poi apportarvi una soluzione che non viene da noi stessi. È vero, nel mondo islamico e arabo abbiamo un grandissimo problema ed è quello delle libertà e della democrazia, dei diritti umani: è il frutto di fattori e meccanismi di potere e sociali che vanno corretti. Nel nostro specifico libanese abbiamo poi un altro grandissimo problema: non viene però dalla religione, Islam o Cristianesimo, ma dalla nostra incapacità a consolidare un’autorità civile su un fondamento non religioso.

 

[Intervento a un convegno sullo Stato civico tenutosi il 6 luglio 1995 presso l’associazione filantropica culturale (al-Jamaʿiyya al-khayriyya al-thaqâfiyya) di Beirut. Brano tratto da: Muhammad Mahdî Shamseddine, Lubnân al-kiyân wa-l-ma‘nà [Libano, essere e senso] Imam M.M. Shamseddine Foundation for Dialogue, Beirut 2005, pp. 92-98, traduzione di Martino Diez]

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