Boko Haram insanguina il Paese africano che non aveva ancora visto in azione un simile e sistematico terrorismo
Ultimo aggiornamento: 02/07/2024 12:48:04
Nigeria. Boko Haram insanguina il Paese africano che, pur avendo conosciuto una guerra civile cruenta, non aveva ancora visto in azione un simile e sistematico terrorismo. La matrice islamista di questo fenomeno non può essere tralasciata e chiama chi governa a una nuova responsabilità.
Nella cultura nigeriana, come credo in ogni altra cultura al mondo, è presente la violenza. Oltre alle guerre intertribali del passato, alla conquista coloniale e alla resistenza opposta ai conquistatori, dopo l’indipendenza la Nigeria ha vissuto una guerra civile segnata da grande violenza e uccisioni su larga scala[1]. In seguito a questa esperienza il Paese ha dovuto fare i conti con criminali, briganti armati, militanti e sequestratori, molti dei quali sono il frutto degli ultimi decenni. Non va poi dimenticata la violenza comunitaria che di tanto in tanto coinvolge gruppi etnici, sociali o politici. Le elezioni sono state spesso segnate da grande violenza. In questo contesto la dimensione religiosa finisce per inserirsi semplicemente in uno schema relativamente “normale”.
Il terrorismo in Nigeria invece è un fenomeno nuovo. Con “terrorismo” intendiamo azioni violente che implicano l’uccisione indiscriminata di persone innocenti senza chiare ragioni logiche. Il terrorismo che vediamo oggi all’opera nella Nigeria settentrionale, in particolare Boko Haram nella Nigeria Nord-orientale, rappresenta perciò un’anomalia per il Paese. I terroristi sono per lo più autoctoni, ma hanno sicuramente legami con l’estero e dall’estero ricevono sostegno. È verosimile che gli stessi leader abbiano militato in precedenza in movimenti terroristi al di fuori della Nigeria, nei punti caldi del terrorismo islamico, come Iraq, Pakistan, Afghanistan, Somalia e, recentemente, il Mali. Talvolta i terroristi puntano a colpire persone specifiche, per esempio rappresentanti di istituzioni governative e, purtroppo, anche chiese e cristiani. Se gli attacchi a chiese e cristiani siano specificamente religiosi, e per quale motivo, è ancora molto difficile da comprendere. Tuttavia i terroristi manifestano talvolta il desiderio di imporre con la forza in tutta la Nigeria uno Stato islamico, governato da una forma molto severa di sharî‘a. In altre circostanze è capitato che ordinassero a tutti i non-musulmani di abbandonare una determinata regione del Paese: un ordine inutile, che denota la loro incapacità di riconoscere la complessità della presenza musulmana e cristiana sul territorio nigeriano. In tutto ciò, il terrorismo è diventato sempre più virulento se si considerano i danni che esso causa vite umane e proprietà.
In ogni caso, per parlare del terrorismo religioso in Nigeria occorre prima di tutto offrire alcune informazioni sulla religione in questo Paese. Si dice spesso che in Nigeria vi siano tre religioni: la religione tradizionale africana, l’Islam e il Cristianesimo. Eppure la maggior parte dei nigeriani, oltre il 90%, si dichiara cristiana o musulmana. Allo stesso tempo, molti di loro affermano di mantenere un forte legame con la religione africana tradizionale. La distribuzione delle diverse fedi è tutt’altro che uniforme: il Nord è per la maggior parte musulmano, il Sud-Est è per lo più cristiano, mentre nel Sud-Ovest e al Centro la popolazione è fortemente mescolata. Questo è tutto ciò che si può dire. Parlare di un Nord musulmano e di un Sud cristiano è a dir poco estremamente approssimativo. Il fatto è che ogni parte della Nigeria presenta elementi sia d’Islam sia di Cristianesimo.
Caino e Abele
In generale, i rapporti tra nigeriani di fedi diverse sono buoni e cordiali e continuano a rimanere tali nonostante i recenti avvenimenti. Ed è proprio su questi buoni rapporti che fondiamo i nostri sforzi per superare le sfide attuali. Le tensioni legate al terrorismo che stiamo vivendo costituiscono un’anomalia che, più presto che tardi, riusciremo a superare. Già negli ultimi tempi si parla con più frequenza di dialogo con quanti sono pronti a deporre le armi in vista di una possibile amnistia, secondo condizioni ancora da definire. Recentemente il governo federale ha istituito una commissione formata per lo più da musulmani devoti incaricati di aprire un contatto con i militanti e individuare tutte le modalità possibili per attuare tale programma di amnistia. Ad oggi però la commissione deve ancora presentare dei risultati tangibili.
La violenza religiosa in Nigeria è spesso causata da molteplici ragioni. Ciò che a prima vista appare come scontro religioso potrebbe avere ragioni etniche, politiche o socio-economiche. Per esempio, nel caso in cui due gruppi etnici confinanti o addirittura coabitanti, uno cristiano e l’altro musulmano, si contendano le scarse risorse, il conflitto che li divide diventa automaticamente una lotta tra cristiani e musulmani, anche se il ruolo svolto dalla religione è secondario nella genesi dell’ostilità o del tutto assente. Così si stanno verificano numerosi casi in cui comunità di agricoltori generalmente cristiani si scontrano con gruppi di allevatori nomadi di bestiame musulmani. L’antico antagonismo tra agricoltori e pastori – la storia di Caino e Abele – continua ancora. Poiché una parte viene percepita come cristiana e l’altra come musulmana, il conflitto viene percepito come una guerra di religione. In realtà, i casi in cui la violenza scaturisce da ragioni puramente religiose sono molto rari. L’importante adesso è assicurarsi che la religione, un aspetto molto importante nella vita dei nigeriani, sia messa ovunque a servizio della pace nella maniera più efficace possibile.
Consideriamo ora nel dettaglio il gruppo terrorista del Nord-Est della Nigeria Boko Haram e il suo impatto sulla religione in Nigeria. Innanzitutto occorre precisare che l’organizzazione ha in realtà il nome arabo di Jamâ‘a ahl al-sunna li-l-da‘wa wa-l-jihâd (Associazione dei sunniti per la predicazione e il jihad), ma è diventata nota in Nigeria e poi all’estero come Boko Haram per via del suo rifiuto della cultura occidentale (in lingua hausa “boko”) sia nella sua dimensione politico-istituzionale (regime democratico), che in quella religiosa (il Cristianesimo), che vengono dichiarati proibite (“haram”). A un’analisi superficiale tale gruppo viene percepito come religioso. Tutti infatti definiscono i suoi militanti “terroristi islamici”, appellativo che suscita il risentimento di molti musulmani nigeriani che considerano le loro attività contrarie ai principi dell’Islam. Ciò non toglie che essi siano effettivamente musulmani e che si autodefiniscano tali. E non solo: durante le loro azioni e i loro attacchi, specialmente contro i cristiani, urlano sempre lo slogan islamico Allahu akbar. Pertanto la comunità musulmana in Nigeria non può disconoscerli come per molto tempo ha tentato di fare, anche se è incoraggiante sapere che questi terroristi non rappresentano il volto autentico dell’Islam del Paese. Per questa ragione riteniamo che i leader religiosi abbiano un ruolo importante nel contenimento e nella risoluzione del problema. La recente richiesta di amnistia per i terroristi da parte del sultano di Sokoto, il leader più in vista della comunità islamica nigeriana, e il sostegno che la sua proposta sta ricevendo da parte di alcuni leader cristiani, ha generato un dibattito che credo sarà molto fecondo. A questo proposito ho già menzionato il passo compiuto dal governo per istituire una commissione preposta allo studio della questione e a proporre azioni utili.
Non solo un problema d’ordine
Nel complesso, sembrerebbe però che l’azione del governo manchi di coerenza. Per molto tempo il governo ha avuto la tendenza a sottovalutare la gravità del fenomeno, affrontandolo nell’ottica del mantenimento della legge e dell’ordine. A trattare con Boko Haram sono stati mandati prima la polizia e successivamente l’esercito. Nonostante i vigorosi sforzi in questa direzione, sembra che i terroristi siano diventati più forti di prima e siano andati aumentando di giorno in giorno. Si è affermato che i metodi brutali messi in campo dagli agenti della sicurezza abbiano spesso alienato le comunità nelle quali vivono i terroristi, rendendo in questo modo il loro compito sempre più difficile. Ma come può un soldato comportarsi in maniera “gentile” quando ha a che fare con militanti armati senza uniforme che si mescolano con la gente dei villaggi e usano i civili come scudo umano? Questo ha esposto il governo a dure critiche rivoltegli da alcune organizzazioni dei diritti umani. Potrebbe essere questa la ragione per la quale il governo ha deciso di adottare una posizione dialogante e offrire l’amnistia ai militanti pronti a deporre le armi e imboccare la strada della riconciliazione. Si presenta ora il grande problema di chi negozierà con chi. Il ramo d’ulivo del governo è stato immediatamente rifiutato da un esponente che pretende di parlare a nome di Boko Haram. Si spera che almeno qualcun altro accetti l’offerta di pace.
La responsabilità di chi governa
Per molto tempo, la classe politica nigeriana ha avuto la tendenza a sfruttare per il proprio tornaconto la sanguinosa insicurezza in cui versava il Paese. Il governo ha accusato l’opposizione di fomentare la ribellione e l’opposizione ha accusato il governo di essere incompetente e incapace di governare la nazione. Nel caos delle accuse incrociate, i nigeriani continuavano a essere uccisi e la vita economica e sociale nelle zone più colpite dalla violenza si è bloccata. Tuttavia sembra che ai livelli più alti si siano manifestati recentemente dei segni di cooperazione politica. Lo dimostra chiaramente la dichiarazione dello stato di emergenza in tre Stati situati lungo il confine nord-orientale della Nigeria, tra i più colpiti dalla ribellione: Borno, Yobe e Adamawa. In questi Stati sono state mantenute le strutture democratiche, e i governi statali di Borno e Yobe, che pure sono governati da un partito politico che a livello federale è all’opposizione, stanno collaborando con il governo federale nell’affrontare il pericolo comune.
Con lo stato di emergenza il governo ha lanciato una vigorosa e convinta azione militare per mezzo della quale è già riuscito a disperdere con successo i militanti dai loro campi e dalle loro basi. Dai campi di battaglia giungono poche notizie. Le azioni militari coinvolgono sia le truppe nigeriane sia le truppe non nigeriane dei Paesi limitrofi. Si mormora inoltre che il Paese abbia accettato l’assistenza specializzata di esperti di diverse nazioni come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e Israele. Si attende e si spera il meglio.
Mentre l’azione dei soldati prosegue, occorre pensare a ciò che verrà dopo questa fase d’impegno militare. Attendiamo ancora di vedere quali piani verranno messi in campo per una vera riconciliazione, per il recupero e il ri-orientamento di quanti erano stati convinti a rivoltarsi contro la propria nazione. È in questo ambito che le comunità religiose potranno svolgere un ruolo importante. Questi pochi anni di violenza settaria hanno seriamente danneggiato il fragile clima di buoni rapporti tra musulmani e cristiani in Nigeria, ottenuto con tanta fatica. Entrambe le comunità dovranno lavorare duramente per ripristinare e promuovere la reciproca comprensione e il rispetto, ciò che presuppone molto lavoro e pazienza soprattutto da parte dei leader religiosi di entrambi i campi.
Detto questo, dobbiamo anche sottolineare che Boko Haram è un fenomeno complesso. Esso presenta una dimensione sociale, politica ed etica di cui occorre tener conto al pari della dimensione religiosa. La religione è perciò uno dei diversi modi di affrontare il problema. Dal punto di vista religioso, la “Casa dell’Islam” dovrebbe fare tutto quanto è in suo potere per riportare l’ordine al suo interno, mentre noi cristiani, da parte nostra, dovremmo porci in maniera positiva nei confronti dell’Islam in generale, in modo tale da poter affrontare insieme ai musulmani la sfida lanciata dal terrorismo islamico. Non è facile per un Cardinale andare da cristiani che hanno appena visto saltare in aria la propria chiesa e morire i propri cari e dire loro di non incolpare i musulmani in blocco, perché la loro risposta è «chi dobbiamo incolpare allora?». Ma se non aiutiamo la nostra gente a distinguere tra le attività dei terroristi e le comunità islamiche con le quali viviamo, prepariamo il terreno a divisioni settarie molto più gravi. Ciò presuppone la ricerca di terreni comuni, e la messa in risalto degli aspetti che ci uniscono e dei valori religiosi che condividiamo. Inoltre, siamo chiamati a lavorare insieme per affrontare le sfide che ci accomunano come la povertà, il malgoverno e le malattie… Se agiamo insieme saremo capaci di dar vita a una comunità che cammina e opera insieme, unita in un solo corpo, una sola comunità, una sola nazione nonostante le differenze religiose. Ma tutto questo richiede il coordinamento degli sforzi, ciò di cui è responsabile il governo. E di questa responsabilità purtroppo, a oggi, esso non ha ancora dato prova.
*Questo articolo è una versione rivista e aggiornata della riflessione preparata per un incontro sulla libertà religiosa organizzato a Parigi dal 10 al 12 aprile del 2013 dalla Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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[1] Si tratta della guerra detta del Biafra, 1967-1970 [N.d.R.].