Una riflessione aperta sulle origini e l'evoluzione del terrorismo
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:45
Tre chiavi di analisi: una fisica, una etica e una teologico-politica; per cercare di descrivere e circoscrivere il fenomeno nato in Francia dopo la caduta di Robespierre, sviluppatosi poi in diverse fasi storiche e percorsi ideologici e oggi riferito soprattutto a un certo fondamentalismo islamico. Una riflessione aperta, senza pregiudizi né risposte preconfezionate, ritmata dall'incalzare degli interrogativi che inquietano l'uomo musulmano come l'uomo cristiano, l'occidentale come l'orientale.
Il termine terrorismo è nato in Francia dopo la caduta di Robespierre nel 1794 per indicare la politica della ghigliottina. In seguito è stato applicato a fenomeni molto vari. Oggi viene soprattutto riferito ad azioni di violenza perpetrate da associazioni politico-religiose islamiste. Ma che cosa è il "terrorismo"? È possibile darne una definizione fisica, etica o teologico-politica. Chiamiamo "fisica" una definizione che prescinde dalla dimensione etica. Clausewitz ha definito la guerra "un atto di violenza volto a costringere l'avversario ad eseguire la nostra volontà" [1]. Questa definizione si applica al terrorismo. Osservato nelle sue manifestazioni, il terrorismo è una forma di violenza. Concepito nella sua essenza, "è una delle forme della guerra" e come tale lo strumento di una politica. Perché un conflitto prende la forma di una guerra terroristica e antiterroristica? A causa della "asimmetria". La strategia indiretta[2] consiglia al debole di sfuggire lo scontro con il forte. Oggi la sproporzione delle forze è tale che per il debole "fare la guerra" in senso classico è un suicidio. Che cosa farà il debole se esclude contemporaneamente resistenza non violenta, combattimento inutile e capitolazione? Non sarà più uno Stato perché uno Stato che insorge contro uno Stato forte verrà distrutto. Sarà una entità nebulosa. La guerra diventerà occulta. Il soldato clandestino non ha uniforme. Nascosto fra i civili, non attacca i militari, se non con imboscate (hit and run). Il bersaglio è soprattutto il civile, nemico o collaboratore. Secondo il debole, definita secondo il suo fine, la guerra asimmetrica è resistenza; definita secondo il suo mezzo, è terrorismo. Per "difendere la libertà" o "terrorizzare i terroristi", il forte sorveglia tutto e riduce lo spazio della vita privata.
L'ideale di sicurezza gli suggerisce l'idea di democrazia autoritaria. L'azione terroristica non avrebbe effetto senza la cassa di risonanza mediatica: questo gli suggerirà delle limitazioni alla libertà di informazione. La forza del terrorista è nel terrore; il forte allora è tentato di instaurare un terrore simmetrico. Il forte e il debole rischiano quindi di trovarsi entrambi davanti al seguente dilemma: resistenza criminale o non resistenza. Il diritto di resistere comprende anche il diritto di utilizzare tutti i metodi per farlo? Il carattere perverso di alcuni metodi crea un obbligo morale di non resistenza? È necessario superare la guerra per andare verso il dominio della violenza? Quando l'etica viene messa tra parentesi, la violenza è forza e la forza è violenza. Ogni potere stabile è legittimo. Ogni mezzo efficace è buono. L'essenza della guerra è "costringere l'avversario". Ciò che costringe non è la forza ma la paura dei suoi effetti: distruzione, ferite, infermità, morte. Questa paura si chiama terrore. Se non c'è una morale, qualsiasi mezzo che produca terrore è in guerra un metodo come un altro. Prescindendo dalla morale, il terrorismo non è il privilegio della guerra asimmetrica, esso tende a diventare l'essenza della guerra. È vero che ogni guerra[3] è violenta se con questo intendiamo che essa infligge distruzione e morte. La paura, ecco l'elemento della guerra. Escludendo alcuni rari mostri, nessuno prescinde fino in fondo dal bene e dal male. Occorre quindi distinguere fra forza e violenza, anche in guerra. Il bene tende ad esprimersi in un diritto. Questo diritto, nazionale o internazionale, viene applicato soltanto se esiste un potere capace di opporsi a chi si oppone all'applicazione del diritto[4]. Non esiste diritto internazionale senza la minaccia di ricorrere alla forza, senza persone e istituzioni che hanno come missione la prova di forza, con i rischi che questa comporta. Queste persone sono i soldati del diritto. Queste istituzioni sono le forze armate dei paesi che ammettono l'idea del diritto. Il ricorso alla forza al servizio del diritto non è in sé una violenza. Il termine violenza legittima è contraddittorio così come la definizione di stato attraverso il monopolio della violenza legittima. Se il concetto di guerra giusta ha un senso, esiste una differenza fra la guerra e il terrorismo. Altrimenti no. In una prospettiva etica quindi può essere chiamato terrorismo ciò che all'interno della guerra è intrinsecamente perverso. Il terrorismo è il crimine della guerra.
Il Debole e il Forte
Nella misura in cui il mondo diventa una unità, esso deve essere strutturato secondo un insieme unico coerente di principi. In mancanza di una sintesi abbastanza comprensiva, la globalizzazione potrebbe condurre ad un conflitto fra l'Occidente e il resto del mondo con lo scopo di detenere il potere costituente supremo. Così alcuni capi americani pensano che la difesa della Libertà richieda ormai una universalizzazione del loro concetto di Libertà. È necessario considerare nel suo concetto puro la guerra che minaccia di scoppiare, senza dimenticare che alcuni fatti moderatori impediscono alla realtà di rispecchiare questo concetto (guerra pura non è la guerra reale). Il terrorismo prende il suo significato a partire da questo concetto puro. In un mondo globalizzato, una guerra terroristica, o asimmetrica, pura sarebbe una guerra sociale mondiale. Infatti, il forte è il colto, l'equipaggiato, il ricco; il debole è colui che presenta, relativamente, le caratteristiche opposte. Una guerra asimmetrica pura sarebbe una guerra internazionale, una guerra sociale, una guerra etnica, senza dubbio anche una guerra di culture o di religioni. Essa coniugherebbe tutti i fattori di divisione e questo ne farebbe una guerra integrale più che una guerra totale. Classicamente la pace è il risultato dell'equilibrio, la cui idea è distrutta dalla superpotenza. La pace allora non può essere che imperiale. Il diritto unilaterale di una nazione forte alla sua sicurezza implicherebbe al limite che gli altri siano privati del diritto ad una protezione autonoma e vengano sottomessi a protettorato. Una simile situazione non è certamente accettabile e provoca una reazione simmetrica.
Al neo-colonialismo risponderà così l'"immigrazione rivoluzionaria". I differenziali demografici e la regola democratica "un uomo, una voce" farebbero equivalere alla fine l'immigrazione come dominata da radicali e provocherebbero la conquista politica da parte dei poveri. Il terrorismo avrebbe senza dubbio un ruolo in questa rivoluzione. Ma questa abdicazione politica non è affatto immaginabile. Prima di questo, se il più debole cercasse di sottrarsi al dominio, la soluzione per lui sarebbe di disporre di uno stato-santuario a motivo della detenzione di armi di distruzione di massa e di movimenti terroristici amici, così dotati di una base operativa sicura. Il terrorismo diventerebbe una delle dimensioni organiche di un'azione politico-militare. La parata del forte, secondo il concetto puro, è impedire la realizzazione di questa risposta. Il casus belli risale più a monte. La guerra diventa preventiva, poiché, una volta ottenuto il possesso dell'arma assoluta, il terrorismo ha le mani libere e l'antiterrorismo ha perso. Senza dubbio non esiste altra soluzione in realtà che tendere a sistemi di sicurezza collettiva.
Ma questi sistemi politici sollevano l'obiezione della loro debole efficacia strategica e tattica. Una sicurezza collettiva sarebbe una contraddizione in termini? Per Kant, il progresso degli armamenti doveva mettere fine alle guerre attraverso la certezza della distruzione assicurata. Ma questo non basta più nel momento in cui alcuni pensano che la sicurezza passi attraverso l'attacco preventivo[5]. Inoltre, secondo alcuni responsabili della sicurezza, di fronte a simili pericoli l'applicazione di una "etica della responsabilità" rischia di fare prevalere massicciamente il bene comune sul bene individuale, sulla libertà individuale e su qualsiasi altro principio. Paolo VI affermava che "lo sviluppo è il nuovo nome della pace" [6]. Ma oggi appare una nuova difficoltà perché lo sviluppo permette l'armamento. È necessario quindi sviluppare impedendo l'armamento? Controllare la politica estera e militare dei paesi in via di sviluppo? Le dittature sarebbero una soluzione provvisoria se fossero amiche e stabili, ma alla fine è necessario un minimo di democrazia che tuttavia può portare al potere degli avversari. Il cinismo consiglierebbe allora di installare con la forza delle democrazie che siano poco stabili, di manipolare il loro funzionamento e di contenere i rivoluzionari attraverso la forza e la legittimità di queste giovani democrazie, che d'altra parte dovrebbero rimanere a lungo divise e deboli? Il cinismo è assurdo.
La globalizzazione dell'informazione e della trasparenza mina le due condizioni principali del machiavellismo politico: segreto e ragione di Stato. Per gli scettici ed i cinici, il terrorismo è per un gruppo umano quello che viene chiamato con questo nome. La descrizione del referente sostituisce la definizione del nome. E per costoro, al di fuori del gruppo, i giudizi di valore oggetto di questo referente non hanno valore. Alcuni utilitaristi giustificano metodi atroci[7] al servizio dell'azione antiterroristica. Per sofisticato che sia, l'utilitarismo può giustificare praticamente qualunque cosa a seconda delle conseguenze e delle circostanze, in funzione dell'imperativo della sopravvivenza collettiva. In Europa, le tesi di questi utilitaristi fanno scandalo in campo militare. Allo stesso tempo un cumulo di giudizi normativi sono messi in discussione in questa stessa Europa in nome di un superamento radicale delle nozioni di bene e di male. Il nichilismo libertino soffre qui di una notevole incoerenza. I metodi criminali sono veramente criminali in sé o soltanto per convenzione? Porre un limite assoluto all'azione presuppone un Assoluto che abbia il potere di limitarla. L'Assoluto personale, Dio, si trova al fondo di un imperativo o di un divieto morale. Ma se l'uomo fosse l'Assoluto, perché non porrebbe numerosi divieti differenti? Non credere in Dio non evita lo scontro dei fanatismi perché anche il nichilismo può diventare fanatico. In ogni caso, se ogni valore viene semplicemente deciso, in guerra tutto è terrorismo o niente lo è. Ma se esiste una verità su Dio, la guerra di religione è possibile quando un conflitto di doveri insorge fra l'esistenza stessa della religione e l'attaccamento alla pace. Se Dio autorizza la guerra giusta, anche per un motivo semplicemente temporale grave, egli ne fa per questo una guerra santa? Impedisce incondizionatamente di usarvi certi metodi? In che misura la volontà divina trascende le leggi morali che essa instaura? La guerra può essere santa? La guerra santa può utilizzare ogni metodo? Sono domande per i teologi delle varie religioni e per il dialogo interreligioso.
Scontro di Civiltà?
Il conflitto asimmetrico comporta una tensione fra sistemi tradizionali di pensiero e di vita e l'egemonia assoluta del pensiero tecnico nella quale finisce per riassumersi la modernità, o post-modernità, dell'Occidente. Il terrorismo ha il significato di un rifiuto totale e assoluto del pensiero occidentale, ridotto a questo nichilismo che ne è la forma più povera e degradata. In questo senso la guerra terroristica è uno scontro di civiltà. Ma questo scontro, che è interno anche all'Occidente, non ricalca più le fratture fra ricchi e poveri né d'altronde fra l'Occidente preso in tutta la sua tradizione e il resto del mondo. L'odio espresso dalle azioni dei terroristi non ha senza dubbio una spiegazione più profonda. Eppure non è in Europa, dove il nichilismo è maggiormente dominante, che la reazione antiterroristica è più vigorosa. La situazione quindi è velata di confusioni e attraversata da contraddizioni. Gli avversari del nichilismo libertino, con il quale l'Occidente è sempre più identificato, e quelli della democrazia, intesa come società libertina nichilista, hanno inghiottito anch'essi una dose di nichilismo. Del resto non possono lottare senza tecnica. Il loro cinismo dipende dall'inumanità tecnica almeno quanto dal fanatismo teologico di una religiosità in crisi. L'identità è tanto più violentemente affermata quanto più è malata. Il terrorismo mondializzato deriva forse meno dallo scontro delle civiltà che da quello dei nichilismi. In Occidente è necessario ritrovare la sostanza etica della democrazia, la buona società libera.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
[1] C. Von Clausewitz, Vom Kriege, De la Guerre, Prima parte, capitolo 1, 2, Definizione.
[2] Come insegna in dettaglio Basil Hugh Liddle-Hart, Strategy, passim.
[3] «Il coraggio assoluto è infinitamente raro. [] Sempre davanti al pericoloil sentimento animale di conservazione prende il sopravvento. L'uomo ha il terrore della morte. La disciplina ha come scopo di far violenza a questo orrore con un orrore piùgrande ma arriva sempre il momento in cui l'orrore naturale prende il sopravvento sulla disciplina e in cui il combattente fugge». A. Du Picq, Etudes sur le combat, (1868), Economica, Parigi 2004, 79.
[4] Come sottolinea Kant, Principi metafisici della dottrina del diritto, Introduzione, E, «Il diritto rigoroso può essere rappresentato come la possibilità di una costrizione generale reciproca che si accorda con la libertà di ciascuno secondo leggi universali».
[5] La dissuasione nucleare si fonda sulla razionalità, intesa come preferenza naturale per la sopravvivenza. In regime di disperazione, una soluzione di distruzione reciproca assicurata può sembrare, a conti fatti, accettabile alla parte più debole. E la parte forte può aver voglia di correre dei rischi che non avrebbe mai osato correre nei tempi in cui era più sana.
[6] Paolo VI, Populorum Progressio, 26 marzo 1967, titoletto prima del 76.
[7] F. Allhoff, Terrorism and Torture, in «International Journal of Applied Philosophy», 17-1.
Per citare questo articolo
Riferimento al formato cartaceo:
Henri Hude, Nuova politica della vecchia ghigliottina, «Oasis», anno II, n. 3, marzo 2006, pp. 15-17.
Riferimento al formato digitale:
Henri Hude, Nuova politica della vecchia ghigliottina, «Oasis» [online], pubblicato il 1 marzo 2006, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/nuova-politica-della-vecchia-ghigliottina.