Ali Mérad, Le Califat, une autorité pour l'islam?

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:02

Perché non esiste un’autorità morale abilitata a rappresentare l’Islam nelle alte istanze internazionali? Gli Stati musulmani sono irrimediabilmente incapaci di stabilire un’istanza unificatrice capace di offrire ai popoli musulmani una nuova opportunità di affermare la loro presenza – e i loro valori – sulla scena della storia?». Sono queste domande a spingere Ali Mérad, specialista del pensiero islamico moderno e professore emerito all’Università di Parigi III, a una riflessione su una delle istituzioni cardine della cultura e della società islamiche: il califfato. A più di ottant’anni dalla sua abolizione, decisa nel 1924 dalla Turchia laica e nazionalista di Atatürk, la possibilità di restaurarlo continua ad animare le speranze di molti musulmani. L’autore ne spiega il perché: «Per quasi tredici secoli (632-1924) il califfato ha rappresentato, per la maggior parte dei popoli musulmani, il modello per eccellenza dello Stato islamico». Eppure, l’istituzione califfale è tanto suggestiva quanto problematica, come dimostrato dalla frattura tra sciiti e sunniti, generata proprio dalla loro diversa concezione del califfo. Benché radicato «nel fondo originario dell’islam», né il testo coranico, né la tradizione profetica sono particolarmente espliciti sulla sua natura. Il califfo, dall’arabo khalîfa, è letteralmente il vicario di Maometto. Ma non è chiaro chi abbia diritto a succedergli, né quali siano le sue prerogative, cioè in che modo egli possa esercitare le funzioni religiose e politico-militari riunite un tempo nella figura di Maometto. Secondo la dottrina sunnita classica, ben compendiata per Mérad dalla concezione del grande Ibn Khaldûn, l’Islam è sia dîn (religione) che dunya (sfera temporale). Il califfo è pertanto detentore di entrambi i poteri, che restano tuttavia distinti sia per natura che per fine: il potere politico avrebbe un fondamento razionale, benché sempre doverosamente illuminato dalla fede, e fini terreni, riassumibili nel binomio giustizia (‘adl) e carità (ihsân); il potere religioso dipende invece esclusivamente dalle fonti canoniche, e in questo campo il califfo deve limitarsi a salvaguardare quanto in esse contenuto. Ma al di là delle sue funzioni, ciò che forse veramente conta è il suo significato simbolico di rappresentante dell’unità della umma, anche perché – fatto forse non adeguatamente messo in luce dall’autore – non sempre nel corso della storia alla presenza nominale del califfato è corrisposta una sua effettiva capacità di esercizio del potere. Per questo l’autore insiste nel dire che, per la maggior parte dei musulmani, la sua abolizione è solo una congiuntura storica e non può in alcun modo essere considerata irreversibile. Infatti, dal 1924 a oggi, molti pensatori musulmani si sono dedicati all’elaborazione di teorie che rendessero conto della sua vacanza. Sono principalmente tre le posizioni sviluppatesi da quel dibattito: la prima, che ha origine nella controversa posizione del giurista ‘Alî ‘Abd al-Râziq, postula che il califfato non trova una giustificazione legale nei testi fondatori ed è pertanto non necessario all’Islam; la seconda, ispirata alla tesi di ‘Abd al-Razzâq Sanhoury, ritiene che nel mondo contemporaneo il califfato debba assumere la forma di una “società delle nazioni orientali”; la terza, che vede nella restaurazione del califfo la possibilità di istituire un autentico stato islamico, invita a ripristinare il califfato secondo il paradigma medinese e dei primi quattro califfi, i cosiddetti “ben guidati” (râshidûn). A prescindere dalle singole posizioni prese in esame, sullo sfondo del libro si legge un’evidente nostalgia per uno dei segni più tangibili dell’unità della comunità musulmana. E ancora di più il desiderio, condiviso da Mérad e ben evidente nelle sue scelte lessicali (successione apostolica, magistero, ecumenismo), che anche il mondo islamico possa dotarsi, sull’esempio della Chiesa cattolica, di una figura che gli permetta di esprimersi all’unisono. Nel combinare passione personale e rigore scientifico, il libro è, pur nella sua sintesi, un’accurata ricostruzione della storia e della natura di un’istituzione che ben rappresenta i sogni, ma soprattutto il travaglio, delle società islamiche contemporanee. Michele Brignone  

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