Intervista a Mons. Joseph Coutts, Arcivescovo di Karachi e Presidente della Conferenza episcopale del Pakistan
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:38:50
Dopo la strage di Peshawar Paul Bhatti ha puntato il dito contro “forze straniere” che vogliono destabilizzare il Paese e ha accusato il governo di non proteggere a sufficienza le minoranze. Crede che abbia ragione Bhatti ad accusare le forze esterne al Paese per gli attentati contro i cristiani in Pakistan oppure ritiene che sia un problema tutto interno al Pakistan? Dall’elezione di Nawaz Sharif è cambiato l’atteggiamento del governo nei confronti delle minoranze pakistane o è rimasto simile a quello di Gilani?
È una domanda molto politica, a cui è difficile rispondere. Deve comunque tenere a mente che il gruppo estremista che ha attaccato la chiesa a Peshawar ha esso stesso diramato un comunicato in cui rivendica l’attacco e afferma che continueranno a farne di simili per far cessare gli attacchi dei droni americani in Pakistan. Sa cos’è un attacco con i droni? Questo gruppo estremista ha detto chiaramente che fintanto che non smetteranno gli attacchi dei droni continueranno ad attaccare sempre più chiese. Quindi, il punto non è cosa ha detto Paul Bhatti, ma cosa hanno detto coloro che hanno compiuto l’attacco. È troppo presto per vedere se con Nawaz Sharif cambierà il comportamento governativo, ma certamente il problema dei gruppi religiosi estremisti e dei talebani è un problema molto grosso per il governo stesso. Deve sapere che mentre prima era solo un fenomeno afghano, ora abbiamo anche i talebani pakistani che combattono apertamente contro il nostro governo. Il governo parla di dialogo, ma alcuni ritengono che il dialogo non possa funzionare con questo tipo di gruppi estremisti. Scegliere come procedere, cosa fare, è una decisione molto problematica, e non c’è nessuna risposta facile alla minaccia dei talebani pakistani, che apertamente dicono di non accettare la democrazia, mentre in Pakistan abbiamo un governo democratico. I talebani sono un vero elemento anti-stato.
Dove ritiene che si coltivi l’odio contro i cristiani in Pakistan? Crede che abbiano un ruolo le numerose madrasse che si trovano nel vostro Paese?
È una storia molto complessa. Non tutte le madrasse sono problematiche, alcune sono attive da secoli. È soltanto quando l’URSS invase l’Afghanistan nel 1979 che la situazione peggiorò: eravamo in una situazione in cui il mondo occidentale aveva paura, c’era la guerra fredda, il comunismo, in Europa c’era ancora il muro di Berlino, l’Urss era una superpotenza e c’era il pericolo che l’Afghanistan diventasse comunista, permettendo l’ingresso sovietico nel Golfo. La strategia occidentale fu quindi di fermare i comunisti con l’aiuto dell’Arabia Saudita. Persone e gruppi sono stati costituiti nel nome del jihad, la guerra santa, e alcuni di essi hanno subito il lavaggio del cervello in alcune madrasse con questa idea di guerra santa: vai e combatti gli atei comunisti. È qui che nasce la storia di Osama bin Laden, che non veniva dall’Afghanistan, ma dall’Arabia Saudita, ed era insieme all’America. Quindi, come può vedere, tutto ciò è un esito della politica americana. E ora soffriamo in Pakistan, dove la guerra continua in un’altra forma. In Afghanistan ci sono le forze Nato e quelli che prima erano i combattenti per la libertà contro l’Unione Sovietica ora vengono chiamati terroristi. Ma i talebani dicono: «Ci chiamate terroristi? Gli Stati Uniti sono i terroristi, sono loro che ci bombardano con i droni, uccidendo donne e bambini». Quando legge sui giornali che cinque terroristi sono stati uccisi, non vede quanti altri sono morti nell’attacco, perché questa è guerriglia, non è guerra convenzionale. Gli Usa fanno volare i droni in Afghanistan, ma da lì lanciano i missili in Pakistan. E con cinque terroristi a volte muoiono anche 25 donne e bambini. C’è molta rabbia nei musulmani, o almeno nei talebani.
Che cosa resta della testimonianza di Shahbaz Bhatti presso la comunità cristiana pakistana?
Lo consideriamo un martire, perché quando riceveva minacce dai terroristi e alcuni amici gli suggerivano di andare all’estero, dai suoi fratelli in Canada o Italia, lui si rifiutava dicendo: «Io sono il ministro delle minoranze, voglio fare il mio dovere, non ho fatto nulla di male quindi perché dovrei avere paura? Sono un cristiano, un cattolico praticante». Aveva il coraggio di dire la verità e di stare saldo nella responsabilità che aveva. Un grande testimone della fede. E i cristiani pakistani già prima che morisse si riferivano alla sua figura, perché non era un politico e basta, ma era piuttosto un attivista dei diritti umani. Lo conoscevano tutti e quando fu ucciso fu un grande choc. Non solo i cristiani soffrirono per la sua morte, perché era Ministro di tutte le minoranze e al dolore si unirono anche hindu, sikh, zoroastriani…Tutti, furono scioccati dalla sua morte, perché dava voce in modo autentico alle minoranze religiose.
Intervista a cura di Claudio Fontana