Amalio Blanco, Rafael del Águila e José Manuel Sabucedo (Eds.), Madrid 11-M. Un análisis del mal y sus consecuencias, Trotta, Madrid
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:46
Molto e da prospettive e secondo generi molto differenti è stato scritto in spagnolo su quanto è avvenuto a Madrid l'11 marzo 2004, quando un attentato terrorista uccise 191 persone di 14 nazionalità e ne ferì più di millecinquecento. Questo volume probabilmente pretende d'analizzare l'interpretazione gnoseologica degli avvenimenti e delle loro ripercussioni, dalla teoria politica alla sociologia, alla psicologia, alla storia, a partire dalla categoria di "male". Figlio di un decostruttivismo orchestrale e della commistione con altre fonti della modernità, questo libro vuole essere un'incursione nei processi di genesi, definizione e ripercussione delle vicende che alterano l'ordine con cui si prevede e si padroneggia la realtà personale e sociale. Nel momento di analizzare il male e la sua irrefrenabile forza e presenza, si avverte in questo libro una tendenza rousseauiana che privilegia le cause sociali come origine.
Non a caso, Zygmunt Bauman è il teorico di punta di molti degli autori dei contributi, quando afferma che: «La crudeltà va posta in relazione con alcune norme d'interazione sociale molto più che con tratti di personalità o con altre caratteristiche individuali degli attentatori. La crudeltà è sociale nella sua origine, molto più che dipendente dal carattere del singolo» (p. 172). La pretesa sistematica della modernità in Spagna potremmo parlare della transizione che iniziò nel 1975 con la morte di Franco che ha voluto stabilire l'esistenza di una cornice di convivenza nella quale la sicurezza si dà per sottointesa, come ci ricorda il politologo Fernando Vallespín della Universitad Autónoma di Madrid si vide smentita in modo impressionante dall'esplosione di alcune bombe che segnano ormai una nuova fase nel gioco della vita politica, sociale e culturale spagnola, una sfida di prima grandezza non solo per la ragione, ma anche per la sensibilità morale. La modernità che si era autoconferita il compito di imporre l'ordine, di costruire una società senza conflitti, con uno stato che ricerca, volenti o nolenti, il benessere di tutti e la trasparenza e prevedibilità del sistema, si scontra con un'incognita che deve risolvere, pur non sapendo bene come.
Dobbiamo premettere che, anche se il libro si compone dei contributi di più di una ventina di autori, di chiara provenienza accademica Rafael del Águila, Rogelio Alonso, Mónica Alzate, Pedro J. Amor, Mateo Ballester, Amalio Blanco, Eva Borreguero, Paz del Corral, Luis de la Corte, Enrique Echeburúa; Antonio Elorza, Pilar Hernández, Javier Jordán, Ana Lillo, Fernando A. Muñoz, Enrique Parada, Antonio Puerta, José María Ruiz-Vargas y José Manuel Sabucedo , gli autori hanno scritto i loro contributi a partire dalla lettura di alcuni capitoli fondamentali, che influiscono sulla prospettiva di esame degli aspetti complementari della questione presentata, sotto forma di tesi. Occupano una posizione centrale i primi quattro contributi, sotto l'intestazione «La naturalezza sociopolitica del male o il disincanto del mondo», dedicato alle politiche perfette: ideali, moralità e giudizio; terrorismo e religione; il terrorismo islamista in Spagna; il nuovo terrorismo: fattori di trasformazione e di continuità. I paragrafi dedicati all'istituzionalizzazione dei risentimenti ed alla manifestazione del dolore si articolano, principalmente, in una riflessione circa le questioni della libertà e della pace, dal punto di vista per lo più della psicologia sociale e della psicologia applicata alle conseguenze degli attentati terroristici sui livelli di intervento e di trattamento successivo.
Varie sono le possibilità ed i livelli di analisi critica del libro. Ci concentreremo principalmente su due di essi: quello che si riferisce ai fondamenti della presenza articolata del male nella nostra storia e quello che fa la radiografia della presenza del terrorismo islamista in Spagna. A dare il tono dell'analisi filosofica è Rafael del Águila con la sua teoria del «pensiero implacabile». Egli considera che il pericolo del nostro tempo sia costituito dagli ideali e non dall'assenza di ideali, vale a dire dalle dottrine politiche, sociali, religiose articolate ed articolanti forme di vita che creano la realtà come il più alto scopo dell'azione politica. L'esempio più chiaro è la creazione della realtà mediante il terrore che promette la liberazione totale. L'autore non è molto lontano da Nietzsche che diceva che «tutti gli ideali sono pericolosi perché abbassano e stigmatizzano il reale». Tuttavia del Águila è ben lungi da un'osservazione rigorosa ed una differenziazione chiara di quali siano le matrici di questi ideali, soprattutto si parliamo del fatto religioso e del fatto cristiano. Per lui: «Dio, la legge islamica o la democrazia perfetta del popolo eletto o la provvidenza divina, la nazione, il radioso futuro dell'armonia universale, la sicurezza perfetta o la lotta contro il male assoluto che i nostri nemici rappresentano sono i grandi ideali che scopriamo continuamente alla base dell'assassinio». Il pensiero implacabile, secondo l'autore, elimina la complessità.
Non esiste una risposta a priori al male; solo la parola, il dialogo, l'esempio, il dovere civico, la responsabilità garantiscono la possibilità di uscire dall'imprevedibile. Il problema afferma non è che gli uomini liberi operano il male, ma che «ancora non esiste un mondo in cui essi non ne dovrebbero aver bisogno» (Adorno) (p.34). Se ci avviciniamo un po' di più alla relazione tra religione e terrorismo, troviamo un capitolo che presenta una visione generale del buddismo, del giudaismo, del cristianesimo ed una più ampia dell'Islam. Circa il Cristianesimo, gli autori riconoscono alcuni principi basilari nella relazione tra fede cristiana e violenza, anche se la tesi di fondo è ben più che discutibile: l'opposizione del Vangelo alla violenza è stata via via dimenticata lungo la storia a causa del sorgere della realtà istituzionale con le sue implicazioni di potere e dominio. È ciò che gli autori chiamano la densità cristiana. Come il lettore comprenderà, questo giudizio non scaturisce da una corretta comprensione storica del fatto cristiano e della Chiesa. La bibliografia che si potrebbe addurre su questo punto è molto abbondante. Un altro capitolo è dedicato alla presenza dell'Islam in Spagna, tema affrontato in una forma descrittiva a cavallo tra sociologia e divulgazione giornalistica, senza entrare nelle questioni di fondo che questa presenza pone e dei problemi d'integrazione. Si coglie infine nel libro un interesse circa la domanda sulle conseguenze politiche dell'attentato dell'11 marzo, domanda che non si può chiudere finché non si conoscerà molto di ciò che attualmente nessuno sa o permette che si sappia. La tendenza generale del libro è cercare di rompere con la dinamica che identifica l'attentato con il cambiamento elettorale; conseguenze dell'attentato, misure del nuovo governo e rottura traumatica con il governo precedente e con il passato. Che cosa manca a questo libro? Potremmo rispondere: quello che manca agli intellettuali spagnoli progressisti o di sinistra. Circa la questione del male, delle sue cause e delle sue origini un dialogo con Sant'Agostino, un utilizzo più organico di Hanna Arendt; per comprendere il fatto religioso, un dialogo con Joseph Ratzinger, ora Benedetto XVI. E per sapere che cosa accadde l'11 marzo e perché, forse, un po' più di tempo.