Credenti e non credenti possono trovare un terreno comune di dialogo e di confronto nel dubbio

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Ultimo aggiornamento: 02/07/2024 12:48:34

È con una ouverture decisamente singolare che si apre l’Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger, un’opera pubblicata nel 1968, nel pieno di una contestazione che coinvolgeva l’Occidente e il Cristianesimo a un tempo. Invece d’indugiare sull’opposizione tra fede e scientismo positivista Ratzinger sottolinea i margini di incertezza e di dubbio che coinvolgono tanto il credente quanto l’incredulo. Non solo il cristiano più autentico, come fu Teresa di Lisieux, può essere assalito, in certi momenti, dall’angoscia e dal dubbio, ma anche l’ateo o l’agnostico non può vietarsi la domanda se la sua visione del mondo sia l’unica possibile e non ci sia dell’altro.

 

Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede; per l’uno la fede si rende presente contro il dubbio, per l’altro attraverso il dubbio e sotto forma di dubbio.

 

La fede non è un possesso dell’uomo, è grazia di Dio, non può escludere la possibilità del dubbio. L’ateismo, al contrario, è l’esito di un’opzione umana la quale, però, non può eliminare il dubbio sulla verità della sua opzione, non può scartare l’ipotesi della fede. In questa duplice incompletezza, della fede e della non credenza – di una fede e di un ateismo non arroganticredenti e non credenti possono trovare un terreno comune di dialogo e di confronto. Le limitazioni a cui la fede è sottoposta, in quanto fides e in quanto donata, non tolgono però, per Ratzinger, che essa abbia un rapporto privilegiato con la ragione e con la verità.

 

È grazie a questo rapporto che la fede dei credenti può realmente dialogare con la ragione dei non credenti. È il tema del III capitolo del volume, dedicato a “Il Dio della fede e il Dio dei filosofi”. È qui che viene alla luce un leitmotiv della riflessione ratzingeriana: l’incontro (essenziale) tra Cristianesimo e filosofia greca, tra fede e Logos, tra fede e Verità, contro la visione “mitica” della religione, propria del paganesimo antico. Il cristianesimo si è collocato, da subito, sul terreno della verità, ha optato per il dialogo con il Logos filosofico in opposizione al Mythos delle religioni tradizionali. Si tratta di un rilievo, fondamentale, che costituisce la tesi portante della Lumen fidei, l’enciclica sulla fede di Papa Francesco, del 2013, che molto deve alla riflessione del suo predecessore. Contro la tendenza “biblicista” che contrappone la fede ebraica alla ragione ellenica, diffusa negli studi teologici dell’ultimo mezzo secolo, il Papa afferma come provvidenziale l’incontro tra Israele ed Ellade, tra l’idea biblica della verità come “essere saldo” e quella greca di “comprensione”, tra la fides ex auditu e quella come “visione”. Udire e vedere non sono modelli contrapposti ma, come mostra il Vangelo di Giovanni, due modalità distinte e complementari di percezione del vero. In tal modo la via del dubbio, che interroga tanto la fede quanto l’ateismo, può chiarirsi nella riflessione razionale sulla verità. È la via che libera dalle chiusure e dai fondamentalismi, sia da quelli religiosi come da quelli del dogmatismo ateo.

 

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