Le correnti spirituali dell’Islam si sono diffuse anche nel vecchio Continente. In alcuni casi si è trattato di un semplice “trapianto”, in altri esse hanno dato vita a forme ibride di religiosità

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:00:48

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Il sufismo tasawwuf in arabo – può essere compreso sia come la dimensione spirituale dell’Islam (posizione spesso assunta dai sufi), sia come un insieme di movimenti religiosi all’interno dell’Islam che hanno assunto specifiche pratiche, dottrine e strutture organizzative (posizione spesso assunta dagli scienziati sociali). Una definizione oscillante tra la dimensione dottrinale e quella storica può aiutarci a comprendere un fenomeno fluido, mutevole ed eterogeneo. Per questo le categorie comunemente utilizzate come spiritualità, misticismo, esoterismo, ascetismo, spiritualità, religione popolare, potrebbero essere utili o fuorvianti, a seconda della confraternita sufi presa in considerazione.

 

Al di là delle peculiarità di ciascun gruppo, ci sono tratti comuni a tutte le confraternite. Il percorso di purificazione dell’anima e di perfezionamento, al-jihād al-akbar, “la lotta più grande”, include diversi maqām (stazioni), prima di raggiungere l’ultimo passo: il fanā’, l’annientamento in Dio. Il principale nemico in questa lotta è il nafs: l’ego dell’essere umano. Il maestro sufi, colui che guida il discepolo in questo percorso, può essere chiamato Shaykh, Murshid, Pir, Baba, Dede, e Mauwlana: nomi che evocano i concetti di anziano, maestro, rispetto o guida.

 

Sufi è colui che ha compiuto un viaggio spirituale, che si realizza in Dio, in una parola un santo: perciò nessun discepolo sufi si autoproclamerà tale. Detto questo, per semplicità espositiva in questo articolo parlerò di sufi per indicare i discepoli del sufismo, anche se i termini più precisi sono: faqīr (povero), tālib (studente), murīd (colui che desidera), salīk, (colui che è in cammino), derviscio (mendicante). Il rituale principale, individuale e collettivo, del sufismo, è il dhikr, l’invocazione dei nomi divini, che può essere recitata ad alta voce o in silenzio, o che può manifestarsi in danze estatiche. La baraka è il potere soprannaturale, l’energia, la benedizione che circola tra il maestro e i discepoli.

Maestro sufi.jpgShaykh Nazim, maestro della Naqshbandyya Haqqaniyya, Lefke, Cipro 2014 [Foto: Piraino]

 

Eretici od ortodossi?

Il sufismo è materia di studio all’università egiziana di al-Azhar, centro nevralgico dell’insegnamento teologico-universitario sunnita. Inoltre, il sufismo di Ibn al-‘Arabī (1165-1240) è stato dottrina di Stato durante l’Impero ottomano, quando molti consiglieri erano sufi, così come lo sono stati dei re in Indonesia e in Libia[1]. In epoca moderna si è addirittura verificato il caso di Stati retti da confraternite sufi, come in Somalia, Caucaso e Kurdistan. Perciò il sufismo è stato, in alcuni contesti, sia il bastione dell’ortodossia religiosa che il rappresentante del potere temporale[2]. L’importanza fondamentale del sufismo nella storia dell’Islam può essere colta anche nel vocabolario: per esempio nel Maghreb è molto comune trovare persone che portano i nomi di maestri sufi; in Pakistan, nella lingua urdu, l’aggettivo bepir, letteralmente senza maestro (sufi), significa cattivo, senza pietà e compassione[3]. Infine, molte arti sacre come la musica, la poesia e la calligrafia nel mondo islamico sono strettamente collegate agli insegnamenti spirituali sufi.

 

Se dunque in molti casi il sufismo è coinciso con l’ortodossia islamica, è vero anche il contrario. Nel corso dei secoli alcune confraternite sufi hanno infatti messo in discussione sia il diritto islamico che le norme religiose riguardanti la vita quotidiana. La Qalandariyya, per esempio, ha promosso atteggiamenti antinomici come il consumo di alcool e di oppio, una forma di provocazione verso i benpensanti. Altre confraternite sufi in Nord Africa e nell’Africa subsahariana hanno inglobato pratiche religiose animistiche, con scopi magico-curativi.

 

Questa dimensione eterodossa del sufismo è probabilmente dovuta sia a una ragione dottrinale che a una antropologica. Per quanto riguarda l’aspetto dottrinale, l’attenzione per la dimensione spirituale e dell’esperienza religiosa, come la presenza di maestri carismatici, implica spesso una concezione della norma come strumento e non come fine. Questo accento sul valore spirituale piuttosto che sulla norma può condurre a interpretazioni antinomiche (ma non è automatico). Mentre per quanto riguarda l’aspetto antropologico, va sottolineato che nel corso dei secoli molte confraternite sufi hanno agito come vettore di islamizzazione in contesti religiosi a maggioranza non islamica. Questi movimenti sono perciò stati influenzati da elementi religiosi locali, assorbendone caratteri che sono stati più o meno armonizzati con le pratiche e le norme islamiche.

 

Tutti i sufi sono musulmani?

Una delle questioni più importanti per il grande pubblico – in Europa e in Nord America, ma anche nel mondo musulmano – è il rapporto tra sufismo e Islam. I sufi sono musulmani? Appartengono ad una religione universale? La risposta è semplicemente: sì, i sufi sono musulmani. Il sufismo senza Islam è una creazione molto recente nata tra gli Stati Uniti e l’Europa ad inizio ‘900, su cui ci soffermeremo in seguito.

Detto questo, il rapporto tra Islam e sufismo varia in base al contesto. Molti sufi non distinguono tra Islam e sufismo, altri praticano rituali sufi (come la ripetizione dei nomi divini o il pellegrinaggio alle tombe dei santi) senza considerarsi diversi rispetto agli altri musulmani. In luoghi in cui le confraternite sufi rappresentano la stragrande maggioranza dei credenti musulmani, come alcune zone del Senegal o del Pakistan, la separazione tra Islam e sufismo perde valore.

In altri contesti, i sufi rivendicano una superiorità rispetto agli altri credenti musulmani, considerando il sufismo come l’unico e vero Islam. Questo avviene soprattutto in Paesi dove sono presenti forti tensioni politiche ed ideologiche. Gli oppositori principali del sufismo sono il wahhabismo e il salafismo, che considerano il sufismo come un’innovazione rispetto al messaggio originario dell’Islam (bid‘a) causata dall’influenza di elementi pagani (shirk). Altre caratteristiche sufi considerate eterodosse dal salafismo sono l’interpretazione spirituale delle norme religiose, l’uso della musica, la mediazione svolta dal maestro sufi tra il discepolo e Dio, il culto dei santi. Mentre le pratiche magiche e le guarigioni miracolose sono considerate problematiche anche all’interno del sufismo stesso. Le tensioni non si limitano al campo teologico. Molte confraternite sufi sono infatti state ostracizzate dal nazionalismo arabo, che considerava il sufismo come una forma religiosa arcaica incapace di rispondere ai problemi posti dalla modernità. In alcuni casi il sufismo è stato anche accusato di impotenza di fronte al colonialismo, o di essere stato troppo accomodante verso gli invasori europei.

Pubblicità Konya.jpgPubblicità della città di Konya, Sarajevo, Bosnia-Erzegoniva 2018 [Foto: Piraino]

 

Il contesto dell’Europa occidentale

La presenza del sufismo nell’Europa occidentale risale al medioevo[4], ma delle confraternite sufi presenti nelle attuali Spagna, Italia e Francia, rimangono poche tracce[5]. Solo i testi dei grandi maestri, come Ibn Masarra (m. 931) e Ibn al-‘Arabī (m. 1240), testimoniano un’eredità oramai perduta. Un discorso a parte deve essere fatto per i Balcani, dove il sufismo è fiorito nel ‘400 e ha continuato a svilupparsi fino ai giorni nostri[6].

 

Le tensioni tra ortodossia ed eterodossia, così come la fluidità culturale e religiosa descritte nell’introduzione sono presenti anche nel contesto europeo. Con il titolo sufismo in Europa e d’Europa, ho voluto sottolineare sia il processo di diffusione dell’Islam dal mondo arabo, turco e asiatico in Europa, sia l’influenza di elementi autoctoni europei, come l’esoterismo e la cultura New Age. Allo scopo di facilitare la comprensione di un mondo eterogeneo e in continuo mutamento, preferisco descrivere delle tipologie, capaci di descrivere diversi gruppi religiosi. Nello specifico queste sono:

  1. il sufismo trapiantato
  2. il sufismo de-islamizzato
  3. il sufismo esoterico europeo e intellettuale
  4. il sufismo frammentato
  5. il sufismo impegnato nella sfera pubblica

 

Il sufismo trapiantato

Marcia Hermansen[7] usa il termine “trapianto” per identificare le confraternite sufi che, nei Paesi occidentali, sono formate esclusivamente da migranti di prima e seconda generazione e caratterizzate da un gruppo etnico omogeneo. Queste confraternite riproducono le dottrine, i rituali e le strutture organizzative del Paese di origine[8]. Esempi di ordini sufi trapiantati in Europa sono la Murīdiyya (proveniente dal Senegal), la Tijāniyya (proveniente dall’Africa occidentale) e la Chistiyya (proveniente dal Bangladesh).

 

Esse funzionano come una “camera di acclimatazione” per i migranti appena arrivati ​​in Europa[9], fungendo da Stato sociale e da mediatore culturale tra i migranti e la nuova società circostante. Come tutte le confraternite sufi, quelle trapiantate non sono statiche. Infatti, alcuni rami di questi ordini nell’Europa hanno recentemente superato la dimensione “trapiantata” e si sono aperte alle società circostanti. Ad esempio, la Tijāniyya Fayda sta attirando nuovi discepoli sia tra convertiti bianchi che tra i già musulmani, contribuendo in tal modo alla produzione di una conoscenza islamica, ciò che è stato anche descritto attraverso il termine “Afropolitanism[10]. Inoltre, Shaykh Mahy Cissé, nipote di Ibrahim Niasse e khalīfa ufficiale della Tijāniyya Fayda, sta raggiungendo un nuovo pubblico grazie alla ONG impegnata nel sociale Alfityanu Humanitarian Internaltional. Allo stesso modo, la senegalese Murīdiyya ha accolto nuovi discepoli grazie ai matrimoni misti[11].

Momento relax.jpgMomento di relax dopo la preghiera, Jerrahiyya-Khalwatiyya, Istanbul, Turchia 2014 [Foto: Piraino]

 

Il sufismo de-islamizzato

Secondo la letteratura agiografica, Hazrat Inayat Khan (1882-1927), nato a Vadodara (precedentemente Baroda), in India, era un talentuoso musicista alla ricerca di un sistema universale nella musica[12] e membro della confraternita Chistiyya. Seguendo i suggerimenti del suo maestro, Inayat Khan lasciò l’India con l’obiettivo di introdurre il sufismo nei Paesi occidentali e di armonizzare l’Oriente e l’Occidente[13]. L’incontro di Inayat Khan con la Società Teosofica di Blavatsky, Henry Steel Olcott e William Quan segnò la fondazione dell’“Ordine Sufi”. I libri di Inayat Khan sono stati un grande successo editoriale, stampati in inglese, francese, spagnolo e italiano. Nel corso del ‘900 sono state create numerose comunità in Olanda, Inghilterra, Svizzera, Francia e Italia.

 

L’Ordine Sufi ha subito un processo di de-islamizzazione che è continuato durante la guida del successore di Inayat, Vilayat Inayat Khan (1916-2004), il quale ha accolto con favore le influenze della Beat Generation e della cultura New Age[14]. Questo processo ha influenzato le dottrine (riducendo l’importanza dei riferimenti islamici), le pratiche (in alcuni casi adattate e sostituite da rituali religiosi eclettici) e le strutture organizzative (creando nuove gerarchie diverse da quelle tipiche del sufismo tradizionale). A partire dagli anni 2000, il figlio di Vilayat, Zia Inayat-Khan (nato nel 1972), guida questo ordine Sufi, ribattezzato Ordine Inayati nel 2000, mantenendo i suoi aspetti universali, ma approfondendo alcune dimensioni islamiche, in una sorta di processo di re-islamizzazione[15].

 

Idris Shah (1924-1996) e Omar-Ali Shah (1922-2005), particolarmente attivi negli anni ’60, ’70 e ’80, rappresentano un’altra forma di de-islamizzazione del sufismo, considerato come una conoscenza psicologica e terapeutica universale, distaccata dall’Islam[16]. Nonostante questi autori non abbiano creato dei movimenti religiosi rilevanti, hanno avuto un impatto enorme sull’immagine del sufismo in Europa, influenzando scrittori come Doris Lessing e Paulo Coehlo, che hanno poi riportato narrazioni sufi nei loro best-seller, disconnettendole dal contesto islamico.

 

 

L’esoterismo europeo, il mondo accademico e il sufismo

Figura chiave dell’esoterismo occidentale del XX secolo, René Guénon (1886-1951) ha dato vita ad una corrente intellettuale eterogenea conosciuta come “Tradizionalismo”[17]. All’inizio della sua carriera si concentrò sull’occultismo e sull’esoterismo, per poi dedicarsi all’induismo e successivamente al sufismo. Grazie alla mediazione del pittore svedese Ivan Aguéli, si unì all’ordine sufi della Shādhiliyya e successivamente si trasferì al Cairo, dove visse fino alla sua morte. Guénon prese il nome musulmano di Abd al-Wahid Yahya e durante la sua ricca vita intellettuale si occupò di moltissime tradizioni religiose (filosofia greca, gnosticismo, Cristianesimo, religione celtica, Ebraismo e cabala, esoterismo islamico, massoneria, Induismo, alchimia e Taoismo).

 

Secondo Guénon, le religioni sono composte da due dimensioni, una essoterica, espressa da rituali, dogmi e cosmologie, e l’altra esoterica/metafisica, che trasmette verità sovranazionali e universali nascoste[18]. Queste verità o principi metafisici universali sono il riflesso di un’unica “tradizione primordiale”[19]: l’essenza di tutte le religioni. Seguendo questo approccio, tutte le religioni condividono la stessa verità metafisica e differiscono solo nelle loro forme esteriori. Tra le religioni, alcune hanno meglio preservato la connessione con la fonte primordiale, mentre altre l’hanno quasi totalmente persa, diventando dei simulacri.

 

Dall’escatologia indù Guénon ha attinto l’idea dell’evoluzione ciclica. Secondo l’esoterista francese, le società moderne e contemporanee sono iscritte nel ciclo del Kali Yuga, l’era della discordia, o “l’Età del Ferro”, caratterizzata da corruzione spirituale e violenza. La modernità occidentale è un “carnevale perpetuo”[20] in cui tutti i valori sono invertiti, una decadenza spirituale e sociale dovuta alla perdita della conoscenza esoterica all’interno del Cristianesimo europeo. Le forme religiose alternative nate nel ‘900, come lo spiritismo, l’occultismo, la teosofia, la psicanalisi di Carl Gustav Jung, sono considerate agenti di tale decadenza, addirittura come vera e propria opera dell’anti-Cristo. L’uomo europeo deve rivolgersi altrove per ricollegarsi alla tradizione primordiale perduta: Induismo, Taoismo, sufismo, etc, dal momento che l’Oriente possiede “la consapevolezza dell’eternità”[21] che protegge dagli effetti nefasti della modernità.

 

Guénon può essere considerato una figura essenziale nello sviluppo del sufismo in Europa dal momento che molti europei, soprattutto in Francia, Spagna, Belgio e Italia, hanno scoperto il sufismo grazie ai suoi libri[22]. Ma Guénon non è stato solo una porta verso il sufismo. La sua opera ha contribuito anche a creare un fenomeno sufi unico nel panorama islamico. Infatti, a partire dagli anni ’30, in Europa si sviluppò una forma specifica di sufismo, composto solo da europei bianchi interessati alla filosofia di Guénon e provenienti dal mondo esoterico e massonico, che hanno riprodotto le dottrine, le pratiche e le strutture organizzative dell’esoterismo occidentale[23]. Le figure più importanti di questo tipo di sufismo in Europa sono Frithjof Schuon (1907-1998, membro della ‘Alawiyya e poi fondatore del Maryamiyya), Roger Maridort (1903-1977, Darqāwiyya), Abdelhaqq García Varela, Yahya Olmedo (‘Alawiyya) e Abd al-Wahid Pallavicini (1926-2017, Ahmadiyya Idrīsiyya Shādhiliyya).

 

L’eredità guénoniana non si limita solo a queste particolari forme di sufismo. Molti intellettuali europei convertiti o cresciuti nell’Islam hanno infatti utilizzato i testi dell’esoterista francese. Molti di questi intellettuali sufi europei lavorano in ambiente accademico, impiegando metodologie ed epistemologie tipiche delle scienze umane e sociali (storia, filologia, sociologia, ecc.). Se il sufismo esoterico occidentale ha riprodotto i rituali, le dottrine e le strutture organizzative dell’esoterismo occidentale, questi intellettuali sufi si conformano all’ordine sufi al quale appartengono. Sono loro ad aver realizzato la maggior parte delle traduzioni dei libri sufi dall’arabo alle lingue europee. Tra i più importanti e famosi rappresentanti di questa categoria si possono citare Michel Valsan (1907-1974), Martin Lings (1909-2005), Charles André Gilis (1934-), Éric Geoffroy (1956-), Michel Chodkiewicz (1929-), Denis Gril, Claude Addas, Juan Jose Gonzalez Rodriguez, Halim Herbert, Abdelmumin Aya, Abdelhaqq Belver e Abdennur Prado.

 

 

Il sufismo frammentato: l’incontro con il mondo New Age

La cultura New Age, intesa come l’insieme di narrazioni e credenze religiose sviluppatesi tra gli anni ’60 e ’80 del ‘900[24]  hanno influenzato il sufismo europeo in diversi modi. Prima abbiamo descritto come il sufismo sia stato de-islamizzato. In altri casi, la distinzione tra sufismo “ortodosso-tradizionale” e la cultura New Age non è netta. È il caso per esempio della Naqshbandiyya Haqqaniyya in Europa, che potrebbe essere etichettata come un ordine sufi “frammentato” a causa della varietà di visioni ed approcci.

 

Shaykh Nazim Adil al-Qubrusi al-Haqqani è nato nel 1922 a Larnaca, Cipro. Nel 1940, si trasferì a Istanbul per studiare ingegneria chimica. Nel 1945 fu iniziato alla Naqshbandiyya a Damasco dal maestro sufi Abdullah al-Daghestani (1891-1973), che gli chiese di diffondere la conoscenza sufi nei paesi occidentali[25]. Alla fine degli anni ’70, iniziò il suo viaggio in Inghilterra, attirando molti discepoli. A partire dagli anni ’80, Shaykh Nazim visitò numerosi Paesi occidentali come Stati Uniti, Francia, Svizzera e Germania, e alcuni dei suoi primi discorsi furono pubblicati nel libro Mercy Oceans[26].

 

Uno dei motivi della frammentazione del sistema Haqqaniyya è la forte enfasi sull’escatologia e l’avvicinarsi della fine del mondo. Ciò ha portato a intense attività di proselitismo, che a loro volta hanno portato a conversioni rapide e alla creazione di diversi centri Naqshbandi, con maestri più o meno riconosciuti. La Naqshbandiyya assume quindi forme molto diverse in Europa. A Parigi, ci sono tre sedi e due di esse non mostrano il processo di frammentazione sopra descritto, probabilmente a causa della forte presenza di già musulmani tra discepoli e leader locali. I loro leader locali promuovono un atteggiamento relativamente liberale nei confronti della segregazione di genere e dell’interpretazione del fiqh e della sharī‘a, mentre incoraggiano i loro seguaci a seguire le pratiche sufi e islamiche.

 

Nel contesto italiano, la Naqshbandiyya è guidata da due leader tedeschi: Shaykh Hassan Dyck e Shaykh Burhanuddin Herrmann. Shaykh Burhanuddin Herrmann (1962-) ha organizzato numerosi seminari in Italia, Spagna, Sud America, India e Cina. Sono stati inoltre pubblicati tre libri sulla base dei suoi discorsi[27]. Il cuore dei suoi seminari è la condivisione delle emozioni e il raggiungimento della felicità, nella vita di tutti i giorni. Herrmann insegna ai suoi discepoli come trovare il coraggio, la pace, la stabilità e l’amore.

 

Shaykh Herrmann, ben definito da uno dei suoi discepoli come spiritual trainer, usa linguaggi provenienti sia dalla psicologia che della psicanalisi. L’influenza della cultura e degli insegnamenti della New Age è evidente nei suoi discorsi: parla di elfi, extra-terrestri e vibrazioni della madre terra. La maggior parte dei seguaci di Herrmann vive un sufismo “su misura”, dove le pratiche sufi sono adattate ai bisogni personali. Quindi, la dimensione terapeutica della religione diventa centrale in questo ordine sufi, a scapito del discorso religioso islamico.

 

Shaykh Hassan Dyck (1946-), musicista talentuoso che viaggia con la sua band Caravan of Love, è un personaggio chiave della Naqshbandiyya-Haqqaniyya in Europa. Se Shaykh Herrmann rappresenta “la spiritualità della performance”[28], dove rituali, dottrine e relazioni con i discepoli sono strumenti malleabili nelle mani del trainer spirituale, Shaykh Dyck rappresenta la spiritualità dello spettacolo. In effetti, i concerti sufi di Dyck non sono solo strumenti per promuovere la Naqshbandiyya, ma diventano un evento religioso: un concerto di dhikr. Le melodie provengono dall’eredità arabo-islamica, ma le influenze della musica indiana, classica e blues-rock sono chiaramente riconoscibili. Le parole di questi brani provengono da famose poesie sufi (Hāfiz, e in particolare Rumi). Le strutture dei pezzi sono spesso improvvisate, adattate all’entusiasmo del momento. I contenuti del suo insegnamento sono incentrati sull’amore illimitato e incondizionato e sull’importanza di combattere il nostro ego. Shaykh Dyck incoraggia i discepoli a non avere paura, ad accettare la vita e i suoi alti e bassi. Nonostante la forma peculiare e spettacolare delle sue esibizioni, la dimensione islamica è ancora fondamentale e Shaykh Dyck cita spesso il Corano durante i suoi insegnamenti-concerti.

 

 

Il sufismo e l’impegno nella sfera pubblica

Tra gli ordini sufi più importanti in Europa ci sono la Būdshīshiyya e la ‘Alawiyya, radicate in Marocco (Madagh) e Algeria (Mostaganem), ma con una presenza globale[29]. Queste confraternite condividono molte caratteristiche, specialmente in Europa, dove sono impegnate in attività culturali che promuovono il pluralismo religioso, la conoscenza dell’Islam e del sufismo, incoraggiando l’impegno democratico e opponendosi all’islamofobia. Questo impegno non è solo una reazione alle pressioni dell’islamofobia o dell’islamismo, ma è anche dovuto a un’interpretazione specifica dell’Islam, che può essere definita “universalismo inclusivo”[30] e che attira persone di varie origini etniche, culturali, sociali ed economiche. Questi movimenti sottolineano l’importanza del pluralismo religioso come valore islamico. Per questioni di limiti di spazio, mi focalizzerò sulla ‘Alawiyya.

 

Nel 1911, Ahmad Ibn Mustafā al-‘Alawī fondò la ‘Alawiyya a Mostaganem, in Algeria. La sua personalità carismatica attirò migliaia di seguaci da tutto il Maghreb e dall’Europa. Dagli anni ’30 fino agli anni ’80, in Francia la ‘Alawiyya poteva rientrare perfettamente nella tipologia della confraternita trapiantata, ma a partire dagli anni ’90, la confraternita si è aperta sia sul piano epistemologico (accettando il dialogo con le scienze sociali), che sul piano politico-sociale, svolgendo un ruolo chiave nel dialogo interreligioso.

 

È stato l’attuale maestro dell’ordine, Khaled Bentounes (1949-), che guida questa confraternita dal 1975, a svolgere un ruolo chiave in questo cambiamento. Secondo l’interpretazione di Bentounes, l’Islam è un messaggio universale di liberazione dall’idolatria, un messaggio di apertura verso l’altro. Ciò non implica un processo di de-islamizzazione, infatti i libri di Bentounes contengono molte citazioni coraniche e i suoi discepoli osservano le pratiche e rituali islamici, con un atteggiamento liberale nei confronti della sharī‘a. Questa interpretazione della verità religiosa implica un’attenzione per la dimensione etica e sociale. Seguendo le idee di Bentounes, il musulmano è «il cittadino per eccellenza»[31]. Quindi, lo shaykh consiglia ai suoi seguaci di partecipare attivamente alla vita politica. Inoltre, l’Islam e il sufismo dovrebbero secondo il maestro franco-algerino rivitalizzare le democrazie contemporanee: «l’Islam ha un appuntamento con la Francia», afferma Khaled Bentounes, e aggiunge che «l’Islam ha bisogno della Francia, così come la Francia ha bisogno dell’Islam».

 

La ‘Alawiyya si organizza in varie ONG. La principale è la Association International Soufie Alawiya, che nel suo acronimo AISA, richiama il nome del profeta Gesù, in arabo ‘Īsā. Alla ONG è anche stato riconosciuto dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite uno status consultivo speciale. Le attività di questa confraternita/ONG possono essere raggruppate in cinque categorie:

  1. la trasmissione del patrimonio islamico e sufi
  2. la promozione di una coscienza ecologica
  3. la promozione di cittadinanza attiva
  4. la promozione dei diritti delle donne
  5. la promozione del dialogo interreligioso e interculturale

Nel 2017, l’ONG AISA e shaykh Bentounes, attraverso lo Stato algerino, sono riusciti a far accettare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite la celebrazione della giornata internazionale del vivere in pace, il 16 maggio.

 

 

Conclusioni

In questo articolo ho tentato di fornire una panoramica del sufismo europeo, che condivide molte tendenze con il sufismo globale[32]. Per limiti di spazio non è stato possibile trattare correnti come quelle Rom[33], il sufismo sciita, o l’antimodernismo dei Murabitun[34]. Abbiamo visto come gli elementi autoctoni europei, come la cultura New Age e l’esoterismo guénoniano, abbiano portato alla creazione di un sufismo peculiare, diverso rispetto al sufismo turco o arabo. Detto questo, nel corso degli anni questi elementi autoctoni stanno perdendo forza, a vantaggio di un processo di islamizzazione sia del sufismo esoterico che di quello New Age. Allo stesso tempo, le confraternite trapiantate, quindi formate prevalentemente da un gruppo etnicamente omogeneo di migranti, si sono aperte nel corso degli anni ad influenze locali. Un’apertura dovuta sia alla presenza di convertiti di origine europea, sia alle scelte delle confraternite e dei propri intellettuali e personaggi pubblici, che si impegnano a dialogare con le scienze sociali e umane, ma anche a svolgere un ruolo di mediazione interculturale e interreligiosa.

 

Questo articolo sintetizza i risultati della ricerca finanziata dal programma dell'Unione Europea Horizon 2020, Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowship: "Sufism, Ethics and Democracy", Project ID 751729". 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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[1]Gilles Veinstein e Alexandre Popovic, Les Voies d’Allah: les ordres mystiques dans l’islam des origines à aujourd’hui, Fayard, Paris 1996.

[2]Martin van Bruinessen, Les soufis et le pouvoir temporel, in Gilles Veinstein e Alexandre Popovic (a cura di), Les voies d’Allah: les ordres mystiques dans le monde musulman des origines à aujourd’hui, Fayard, Paris 1996, pp. 242-253.

[3]P Lewis, Pirs, Shrines and Pakistani Islam. Part One, Saint and Shrine Cult: A Case Study, «Al Mushir: Theological Journal of the Christian Study Centre», vol. 26, n. 1 (1984), pp. 1-22.

[4]Mohammed Arkoun, Histoire de l’islam et des musulmans en France du Moyen Âge à nos jours, Albin Michel, Paris 2006; Francesco Barone, Islām in Sicilia nel XII e XIII secolo: ortoprassi, scienze religiose e tasawwuf, «Incontri mediterranei. Rivista semestrale di storia e cultura», vol. 6, n. 2 (2003), pp. 104-115; Steven Michael Ebstein, Mysticism and Philosophy in Al-Andalus: Ibn Masarra, Ibn al-‘Arabi and the Isma‘ili Tradition, Brill, Leiden 2014.

[5]Barone, Islām in Sicilia nel XII e XIII secolo: ortoprassi, scienze religiose e tasawwuf; Arkoun, Histoire de l’islam et des musulmans en France du Moyen Âge à nos jours.

[6]Alexandre Popovic, Les turuq balkaniques à l’épreuve de la modernité, «Archives de sciences sociales des religions», n. 135 (2006), pp. 141-163; Gianfranco Bria, Post-Socialist Sufi Revival in Albania, «Journal of Muslims in Europe», vol. 8, n. 3 (2019), pp. 313-334.

[7]Marcia Hermansen, What’s American about American Sufi Movements?, in David Westerlund (a cura di), Sufism in Europe and North America, Routledge-Curzon, London-New York 2004, pp. 40-63.

[8]Sophie Bava, Reconversions et nouveaux mondes commerciaux des mourides à Marseille, «Hommes & Migrations» vol. 1224, n. 1 (2000), pp. 46-55.

[9]Ottavia Schmidt di Friedberg, Islam, solidarietà e lavoro: i muridi senegalesi in Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2006.

[10]Usaama Al-Azami, Neo-Traditionalist Sufis and Arab Politics, in Francesco Piraino e Mark Sedgwick (a cura di), Global Sufism. Reconfiguring Boundaries, Structures, and Politics, Hurst, London 2019, pp. 225-236.

[11]Ousmane Oumar Kane, The Homeland Is the Arena Religion, Transnationalism, and the Integration of Senegalese Immigrants in America, Oxford University Press, New York 2011.

[12]Regina Miriam Bloch, The Confessions of Inayat Khan: Sufism Is the Religious Philosophy of Love, Harmony and Beauty, The sufi Publishing Society, London 1915.

[13]Zia Inayat-Khan, A hybrid Sufi order at the crossroads of modernity: The Sufi Order and Sufi Movement of Pir-o-Murshid Inayat Khan, Ph.D. thesis, Duke University 2006.

[14]Michael Muhammad Knight, William S. Burroughs vs. the Qur’an, Soft Skull Press, Berkeley 2012.

[15]Alix Philippon, De l’occidentalisation du soufisme à la réislamisation du New Age? Sufi Order International et la globalisation du religieux, «Revue des mondes musulmans et de la Méditerranée», n. 135 (2014), pp. 209-226.

[16]Mark Sedgwick, Western Sufism: From the Abbasids to the New Age, Oxford University Press, New York 2016.

[17]Mark Sedgwick, Against the Modern World: Traditionalism and the Secret Intellectual History of the Twentieth Century, Oxford University Press, New York 2004; Jean-Pierre Laurant, René Guénon: les enjeux d’une lecture, Dervy, Paris 2006; David Bisson, René Guénon: une politique de l’esprit, Pierre-Guillaume de Roux, Paris 2013.

[18]René Guénon, Orient et Occident, Payot, Paris 1924.

[19]Id., Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues, Marcel Rivière, Paris 1921.

[20]Id., Symboles fondamentaux de la science sacrée, Gallimard, Paris 1962.

[21]Id., Orient et Occident.

[22]Francesco Piraino, René Guénon et son héritage dans le soufisme du XXIème siècle, «Religiologiques», n. 33, (2016), pp. 155-180.

[23]Francesco Piraino, Esotericisation and De-esotericisation of Sufism: the Ahmadiyya-Idrīsiyya Shādhiliyya in Italy, «Correspondances», vol. 7, n. 1 (2019), pp. 239-276.

[24]Wouter J. Hanegraaff, New age religion and western culture: Esotericism in the mirror of secular thought, Suny Press, New York 1998.

[25]Muhammad Hisham Kabbani, The Naqshbandi Sufi Tradition Guidebook of Daily Practices and Devotions, Islamic Supreme Council of America, Washington DC 2004.

[26]Nazim Haqqani, Mercy Oceans’ Divine Sources: The Discourses of Our Master Sheikh Nazim Al-Qubrusi (Imam Ul-Haqqaniyyin), Sebat, Konya 1984.

[27]Burhanuddin Herrmann, Il derviscio metropolitano: vivere oggi la tradizione Sufi, Armenia, Milano 2007.

[28]Danièle Hervieu-Léger, La religion en miettes ou la question des sectes, Calmann-Lévy, Paris 2001.

[29]Marta Dominguez-Diaz, Women in Sufism: Female Religiosities in a Transnational Order, Routledge, London 2014; Francesco Piraino, Who is the Infidel? Religious boundaries and social change in the Shadhiliyya Darqawiyya Alawiyya, in Francesco Piraino e Mark Sedgwick (a cura di), Global Sufism.

[30]Francesco Piraino, Les Politiques Du Soufisme En France : Le Cas de La Qādiriyya Būdshīshiyya, «Social Compass» vol. 66, n. 1 (2019), pp. 134-146.

[31]Francesco Piraino, Who is the Infidel?

[32]Francesco Piraino e Mark Sedgwick (a cura di), Global Sufism.

[33]Fabrizio Speziale, Adapting Mystic Identity to Italian Mainstream Islam: The Case of a Muslim Rom Community in Florence, «Balkanologie. Revue d’études pluridisciplinaires», vol. 9, n. 1-2 (2005), pp. 195-211.

[34]Nils Bubandt, Gold for a Golden Age Sacred Money and Islamic Freedom in a Global Sufi Order, «Social Analysis», vol. 53, n. 1 (2009), pp. 103-122.

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