Negli anni ’50, un intellettuale musulmano e un frate domenicano collaborarono a una traduzione araba del Salterio. Un raro esempio di lavoro islamo-cristiano su un testo biblico
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:57
Nel 1961, la casa editrice cairota Dār as-Salām diede alle stampe una traduzione araba dei Salmi realizzata da un intellettuale musulmano, Mohammad al-Sadeq Hussein, con la partecipazione del domenicano francese Serge Laugier de Beaurecueil. Questo raro esempio di lavoro islamo-cristiano su un testo biblico, a cui prese parte anche il futuro Arcivescovo di Algeri Henri Teissier, recentemente scomparso, rimane straordinario nel suo genere, come straordinaria fu l’atmosfera culturale in cui il progetto vide la luce. Fatto ancor più notevole, la resa araba, prodotta sostanzialmente a partire dalla Bible de Jérusalem, ottenne l’imprimatur del Vicario Apostolico di Alessandria dei Latini. Nonostante il suo statuto eccezionale, quest’opera non è stata oggetto, a quanto mi risulta, di alcun studio specifico[1].
Alle origini del progetto
La traduzione nasce dall’incrocio tra l’interesse di al-Sadeq Hussein per la cultura occidentale e la dimensione spirituale e il desiderio da parte di Serge de Beaurecueil di arrivare a una liturgia più “inculturata”.
Benché non si sappia molto su al-Sadeq Hussein, le scarne note biografiche che possediamo (in sostanza, un breve brano che introduce il primo saggio di quindici Salmi pubblicati su «MIDEO» nel 1957) bastano a lasciar intendere che l’intellettuale egiziano appartenesse, al pari del suo più celebre fratello Kamel Hussein autore del romanzo di successo Qarya zālima (‘La Città Iniqua’), a quell’ambiente di professionisti colti e alti funzionari che ebbero un ruolo determinante nella “età liberale del pensiero arabo”, per parafrasare la nota espressione di Albert Hourani. Spesso insoddisfatti delle ristrettezze di vedute degli ulema tradizionali, questi liberali egiziani erano spesso animati da una domanda religiosa che condusse alcuni di loro a guardare con occhi nuovi al Cristianesimo, andando oltre le tradizionali controversie e polemiche del passato.
Il secondo protagonista della traduzione, Serge de Beaurecueil (1917-2005), è invece tra i fondatori dell’IDEO, l’Istituto Domenicano di Studi Orientali del Cairo, che svolse un ruolo di primo piano nel rinnovare l’approccio cattolico all’Islam. Giunto al Cairo nel 1946, de Beaurecueil scelse di dedicarsi, dopo alcune esitazioni iniziali, allo studio del mistico hanbalita ‘Abd Allah Ansārī di Herat (1006-1089). Nel tempo, questa scelta lo porterà a trasferirsi in Afghanistan, dove trascorrerà vent’anni, dal 1963 al 1983, accogliendo in casa propria circa 60 bambini di strada, prima di essere rimpatriato in Francia dopo l’invasione sovietica del Paese.
Durante i suoi 17 anni in Egitto, de Beaurecueil si dedicò, oltre che allo studio, anche all’accompagnamento dei giovani, in particolare degli Scout locali. Questa esperienza lo convinse rapidamente della necessità, anche per i cattolici latini, di una liturgia araba autoctona, in un’epoca in cui l’obiettivo degli ordini religiosi era ancora quello di creare una élite egiziana occidentalizzata e francofona. In forza di questa sua convinzione de Beaurecueil ricevette il permesso da Roma di adottare il rito copto. Tuttavia, già in un articolo del 1953, lo studioso domenicano lamentava lo scarso livello linguistico dei testi liturgici copti, esprimendo l’auspicio di arrivare a un «linguaggio corretto, semplice, trasparente, comprensibile, capace di mettere alla portata di tutti la ricchezza della liturgia e dei testi biblici da cui essa trae ispirazione»[2]. È probabilmente questo il momento in cui gli si affacciò alla mente per la prima volta l’idea di una nuova traduzione del Salterio.
Un motivo aggiuntivo fu poi il desiderio di de Beaurecueil di mettere a disposizione dei lettori arabi i frutti del grande rinnovamento allora in corso negli studi biblici. Indicativa è in questo senso l’adozione della Bible de Jérusalem come testo di partenza, insieme a una vecchia versione del Salterio in arabo[3]. Questa scelta fu comunque accompagnata, per i primi 15 Salmi, da «un costante riferimento al testo ebraico»[4] grazie al giovane Henri Teissier (1929-2020), a quel tempo stagiaire presso l’IDEO. Tuttavia, dopo la pubblicazione nel 1957 del primo saggio di 15 Salmi, Teissier fu costretto a lasciare il Cairo e interrompere la sua collaborazione. È possibile che il duo al-Sadeq Hussein / de Beaurecueil abbia continuato a consultare di tanto in tanto l’originale ebraico – de Beaurecueil aveva probabilmente studiato un po’ di ebraico durante il noviziato – ma il grosso del lavoro fu certamente svolto sulla versione francese.
Da ultimo, vale la pena sottolineare che, anche se de Beaurecueil può aver desiderato ridimensionare il proprio ruolo nell’iniziativa, non c’è ragione di dubitare del fatto che la paternità della traduzione vada effettivamente attribuita ad al-Sadeq Hussein. La divisione dei compiti è chiaramente espressa nell’introduzione all’edizione del 1961[5].
Un sapore coranico
Come abbiamo appena visto, de Beaurecueil aveva espresso già nel 1953 il desiderio di una liturgia in un arabo corretto. Ma la partecipazione di un traduttore musulmano e la maturazione personale del domenicano francese attraverso i suoi studi sul Sufismo lo spinsero a compiere un passo ulteriore. Mentre nel 1953 de Beaurecueil aveva messo in guardia circa i rischi inerenti all’uso dell’arabo coranico, ora dichiara apertamente:
Lungi dall’evitare le espressioni correnti nel linguaggio religioso islamico, non abbiamo esitato ad adottarle ogni volta che corrispondevano esattamente al senso originale del testo, senza peraltro “islamizzarlo”[6].
De Beaurecueil offre solo alcuni esempi delle scelte lessicali compiute con al-Sadeq Hussein, ma esse sono di grande rilevanza[7]. Un esempio basterà. Una questione spinosa nel tradurre la Bibbia in arabo è come esprimere la nozione della bontà divina. Molti arabi cristiani ricorrono al termine sālih, ma nella visione coranica questo attributo non può essere predicato di Dio, applicandosi solo al credente che compie le “buone opere”, al-sālihāt. Al suo posto, al-Sadeq Hussein e de Beaurecueil fanno ricorso alla parola karīm, “generoso, nobile”. La loro traduzione evita anche di utilizzare Rabb (“Signore”) allo stato assoluto preceduto dall’articolo (al-Rabb), com’è comune tra i cristiani arabi, perché nel Corano il termine ricorre sempre allo stato costrutto.
Naturalmente, tutte le volte in cui arabo ed ebraico condividono una stessa parola, i traduttori si sforzarono, almeno finché poterono beneficiare dell’assistenza di Henri Teissier, di preservare la parentela lessicale. Tuttavia – e cito la testimonianza personale di Mons. Teissier – «l’evoluzione delle parole nelle due lingue rendeva difficile utilizzare la radice ebraica per scegliere la parola araba»[8]. Perciò, piuttosto che insistere sul forzare la lingua di destinazione perché ricalcasse il testo di partenza sul piano lessicale, la versione di al-Sadeq Hussein cercò di riecheggiare l’originale ebraico a livello stilistico. In effetti, la caratteristica più rilevante di questa traduzione è l’uso del saj‘ (“prosa rimata”) ogni volta che sia possibile. Tratto distintivo dello stile coranico, questo strumento stilistico è perfettamente adattabile al parallelismo, principio formale organizzativo della maggior parte dei Salmi e più in generale della cosiddetta “retorica semitica”.
Tuttavia queste scelte non forzano il testo entro il calco islamico. Come dichiara già il titolo, il Sifr al-Mazāmīr resta una traduzione cristiana, fedele all’originale e anzi pensata anche per l’uso liturgico, benché mossa dalla convinzione che il Salterio, se ben reso, può toccare alcune corde dell’anima musulmana[9]. Comunque sia, l’esistenza di una traduzione araba dei Salmi realizzata da un musulmano e con imprimatur ecclesiastico non è certamente un fatto irrilevante. Vale la pena tirarla fuori dal dimenticatoio e riprenderla in esame – e forse anche ricominciare a usarla negli incontri islamo-cristiani.
*Questo articolo è stato originariamente pubblicato in inglese sul blog Biblia Arabica con il titolo The ‘Qur’anic’ Translation of the Psalms by Mohammad al-Sadeq Hussein and Serge de Beaurecueil: https://biblia-arabica.com/the-quranic-translation-of-the-psalms-by-mohammad-al-sadeq-hussein-and-serge-de-beaurecueil/.
Per uno studio più ampio si veda Martino Diez, The Translation of the Psalms by Mohammad al-Sadeq Hussein and Serge de Beaurecueil, in John C. Cavadini Donald Wallenfang (a cura di), Evangelization as Interreligious Dialogue, Pickwick Publications, Eugene (OR) 2019, pp. 163-186.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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Per saperne di più
Dominique Avon, Les Frères prêcheurs en Orient: les dominicains du Caire (années 1910-années 1960), Cerf, Paris 2005.
Jean-Jacques Pérennès, Passion Kaboul: Le père Serge de Beaurecueil, Cerf, Paris 2014.
Serge de Beaurecueil, Un Problème Crucial : La Langue Liturgique, «Les Cahiers Coptes» 4 (1953), 9-11.
Mohammad al-Sadeq Hussein, Serge de Beaurecueil (trad.), Sifr al-mazāmīr: naqala-hu ilā al-‘arabiyya Muhammad al-Sādiq Husayn bi-l-ishtirāk ma‘ al-ab S. Dī Būrikī [De Beaurecueil] al-Dūminikī, Dār al-Salām, al-Qāhira 1961.
Mohammad al-Sadeq Hussein, Serge Laugier de Beaurecueil, Henri Teissier, Quinze psaumes traduits en arabe, «MIDEO» n. 4 (1957), pp. 1-26.
Mohammad al-Sadeq Hussein, Serge Laugier de Beaurecueil, Les psaumes 1 à 25 traduits en arabe, «MIDEO» n. 5 (1958), pp. 1-46.
Mohammad al-Sadeq Hussein, Serge Laugier de Beaurecueil, Les psaumes 26 à 50 traduits en arabe, «MIDEO» n. 6 (1959), pp. 1-54.