Violenza: tra attualità e testi fondativi
Ultimo aggiornamento: 27/06/2024 14:16:52
Tentazione violenza. Oasis non poteva sottrarsi alla provocazione, in un momento in cui i conflitti sembrano moltiplicarsi senza sosta. Ha scelto di parlarne a Sarajevo, «città-simbolo del XX secolo» secondo la felice espressione di Giovanni Paolo II[1], nel centenario esatto del celebre attentato al Ponte Latino che diede fuoco alle polveri del primo conflitto mondiale. La riflessione che ne è scaturita, e che costituisce l’asse portante di questo numero, si articola su tre livelli e apre ad un’ipotesi.
Il primo livello è quello dell’attualità: diversi contributi passano in rassegna i principali focolai di tensione – il Levante siro-iracheno, la Nigeria, il Sahel, l’Egitto, il sub-continente indiano – nel tentativo d’individuare le radici delle crisi in corso, senza dimenticare alcuni esempi positivi come l’Albania o il tentativo d’edificare un Islam gandhiano tra le bellicose tribù pashtun dell’attuale Pakistan. In questa ricerca delle cause (historìa direbbe Erodoto) spicca appunto la prima guerra mondiale, che decretò la fine del califfato ottomano. L’istituzione aveva da secoli un valore quasi unicamente simbolico, ma la sua abolizione nel 1924 provocò un moto di sconcerto fin nella lontana India: se si vuole capire il neo-califfato di ISIS, ma anche il progetto dell’Islam politico, bisogna risalire almeno fino a quello spartiacque. Per altro verso, la prima guerra mondiale fu, per le minoranze cristiane del Medio Oriente, anche il tempo delle promesse mancate e dei tentativi d’edificazione di nuove e fragili identità nazionali.
Eppure l’attualità, anche estesa fino a ricomprendere quella fatidica estate del 1914 e il suo “rischio calcolato”[2], che poi tanto calcolato non fu, non basta. Occorre scavare più a fondo, toccando – secondo livello – i testi fondativi e quindi, per il mondo musulmano, la questione del jihad, nel mondo sunnita come in quello sciita, attraverso un confronto sulle loro interpretazioni. Resta però ancora un terzo passo da compiere, perché la chiave interpretativa ultima del fenomeno della violenza sembra essere antropologica – fondamentali le tesi di René Girard – e teologica. Il lettore risalirà così, attraverso le pagini semplici e profondissime di Guardini, al cuore della questione, l’archetipale giardino di Eden e quel che ne seguì.
E l’ipotesi? È l’idea, sviluppata di recente dalla Commissione Teologica Internazionale, che il faticoso percorso che ha condotto il Cristianesimo, tra mille contraddizioni, a prendere congedo dalla logica della violenza sacrale inizi a riecheggiare anche nelle altre culture religiose, incontrando accoglienza e ostilità. Sempre più accoglienza e sempre più ostilità, perché il tempo corre verso il suo termine ultimo, l’Ora e il suo Segno.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
[1]Giovanni Paolo II, Viaggio apostolico a Sarajevo, 12-13 aprile 1997, Discorso ai membri della presidenza della Bosnia ed Herzegovina, 13 aprile 1997, n. 2.
[2]Cfr. Gian Enrico Rusconi, 1914: Attacco a Occidente, Il Mulino, Bologna 2014.