Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:46
«Sebbene gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 abbiano lasciato l’attualità immediata e siano entrati ormai nella storia, al-Qaeda rimane un fenomeno inafferrabile». Nasce da questa constatazione l’iniziativa di pubblicare alcuni dei testi dell’organizzazione identificata ormai per antonomasia con l’islamismo terrorista. Se dei suoi militanti sappiamo poco, se i suoi metodi e criteri di reclutamento rimangono pressoché ignoti, se i suoi dirigenti continuano a essere ricercati eccellenti, più accessibile è il suo apparato dottrinario. Non si tratta di un corpus sistematico, bensì di un complesso di scritti, articoli, pamphlet, interviste e interventi video, riconducibili ai suoi ideologi e fondatori, parte dei quali vengono proposti in questo libro sapientemente curato da Gilles Kepel e Jean Pierre Milelli.
Attraverso la produzione di quattro tra le sue figure più rappresentative «la cui risultante produce al-Qaeda», Osama Bin Laden, Abdallah ‘Azzam, Ayman al-Zawahiri e Abu Mus‘ab al Zarqawi, viene ricostruito il profilo ideologico del movimento nato per contrastare l’armato rossa in Afghanistan e rivoltosi poi alla lotta contro i regimi islamici “corrotti” e ai loro alleati occidentali. Ogni scritto è preceduto da un profilo biografico del suo autore, e tutti i testi sono corredati da un utile apparato di note che aiuta, soprattutto i non specialisti, a districarsi tra i tanti riferimenti alla storia e alla tradizione islamica, dalle gesta dei compagni di Muhammad ai trattati medievali di giurisprudenza.
Al di là delle differenze tra i suoi diversi interpreti, emerge con chiarezza il nucleo dell’identità di al-Qaeda: si tratta del jihad, nel sua accezione di lotta armata, come modalità di affermazione dell’Islam. Il “dovere dimenticato”, come lo definiva un altro ispiratore dell’islamismo radicale, Abd el-Salam Faraj, è il compito cui i musulmani non possono più sottrarsi. Possono variare gli obiettivi tattici (secondo alcuni il nemico vicino, cioè i regimi islamici corrotti, secondo altri il nemico lontano, cioè gli Stati Uniti), o la modalità d’azione (il jihad guidato da un’avanguardia oppure immediatamente esteso a tutti i musulmani), ma non cambia l’essenza della predicazione. Il jihad non è un’opzione, ma una necessità stessa dell’Islam in quanto unico metodo adeguato all’edificazione di una società islamica e di un califfato mondiale. Come scriveva ‘Abdallah ‘Azzam: «Il
jihad e l’esilio a scopo di
jihad costituiscono un aspetto fondamentale di questa religione, perché una religione privata del
jihad non può costituirsi su alcuna terra […]. L’autenticità del
jihad, parte integrante di questa religione che pesa completamente sulle bilance del Signore dei mondi, non è una circostanza occasionale del periodo in cui il Corano fu rivelato, ma una necessità che accompagna la carovana che accompagna questa religione».
Ci troviamo evidentemente di fronte a un caso acuto di intreccio tra politica e religione. Ma se è vero che tale intreccio fa inevitabilmente parte della storia islamica, la variante jihadista non è l’unica possibile. Secondo la teoria classica dell’Islam infatti, ben compendiata dal dotto medievale al-Ghazali, compito della politica era la creazione delle condizioni necessarie a far regnare l’ordine religioso: «il giusto ordine della religione – sosteneva al-Gahazali – si ottiene tramite la conoscenza e il culto, per i quali sono necessari un corpo sano, la preservazione della vita e la soddisfazione dei bisogni derivanti dalla sete, dalla fame, dalla necessità di avere una dimora e dall’insicurezza, il male più grave […] La religione non può essere adeguatamente ordinata se non attraverso la soddisfazione di questi bisogni essenziali». Nella versione jihadista al contrario, la politica perde di vista ogni obiettivo concreto per diventare, soprattutto nella forma incarnata da Osama Bin Laden, una pura rappresentazione sottoposta «all’imperativo dell’efficacia e dell’impatto mediatico», «in cui tutto avviene in tempo reale e in diretta».