Il secolarismo, che oggi pervade la società iraniana, si presenta come una forza culturale che punta a garantire la libertà dell’azione repubblicana rispetto alla sovranità divina
Ultimo aggiornamento: 02/07/2024 12:46:44
Iran. Il secolarismo si presenta come una forza culturale che punta a garantire la libertà dell’azione repubblicana rispetto alla sovranità divina. Nonostante, o piuttosto a causa di 35 anni di teocrazia, esso pervade oggi la vita ordinaria del popolo iraniano, deluso dalla rivoluzione e alla ricerca di nuove vie.
Presentare una mappatura mentale dei cambiamenti sociali e concettuali avvenuti negli ultimi 30 anni in Iran significa tra le altre cose mostrare come il secolarismo possa essere concepito, più che come una visione anti-religiosa, come uno spazio socio-culturale sufficientemente largo per ospitare molte forme di dissidenza religiosa. È perciò importante indagare le molteplici dimensioni e configurazioni della divisione tra il secolare e il religioso nella sfera pubblica e nell’identità iraniana. L’aspetto più interessante di questa operazione è capire come e perché il secolarismo, inteso come interiorizzazione della “contemporaneità”, si sia inserito nell’Iran odierno integrandosi in un discorso e progetto politico particolare. In questo senso, anche se in Iran il secolarismo non è un valore del tutto condiviso, esso è diventato il principio di libertà di tutti gli iraniani. Molti non iraniani saranno forse sorpresi nell’apprendere che, nonostante quasi 35 anni di governo teocratico, il secolarismo è penetrato nelle pratiche della vita quotidiana e sorregge tutte le espressioni della vita sociale, come il divertimento e la sessualità. Stranamente, la pratica iraniana del secolarismo non è mossa né da un desiderio di affidare allo Stato (come in Francia) la protezione dei cittadini dalla religione, né da una volontà di proteggere la religione dallo Stato, come nell’esperienza anglo-americana. Lungi dall’essere un progetto ideologico, esso è una forza motrice culturale che ha l’obiettivo di proteggere l’azione repubblicana dalla sovranità divina. Lo sviluppo della teocrazia iraniana non ha dunque avuto come esito la fine del secolare ma, al contrario, la presenza crescente del secolare nella costruzione simbolica dell’identità.
Sovranità divina e sovranità popolare
Il processo di secolarizzazione della sfera pubblica iraniana non va visto necessariamente come riflesso di un modello occidentale ideale. Al contrario, per descrivere le modalità con cui il secolarismo è stato collettivamente immaginato e praticato dagli iraniani dobbiamo comprendere da vicino lo scontro tra due principi di sovranità, uno scontro che risale alla fondazione stessa della Repubblica Islamica. Fin dai primi giorni si sono infatti fronteggiate due sovranità: quella divina e quella popolare. Il concetto di sovranità popolare, che deriva dalla volontà indivisibile della nazione iraniana, è iscritto nell’articolo 1 della Costituzione della Repubblica Islamica. La sovranità divina, che deriva dalla volontà di Dio attraverso la mediazione delle istituzioni sciite dell’imamato, è invece conferita al faqîh in carica in quanto governante legittimo della comunità sciita, secondo una visione che costituisce il fondamento della dottrina della velâyat-e faqîh. Progressivamente, la sovranità divina è diventata sempre meno una questione religiosa e sempre più una questione di teologia politica. Per quanto riguarda la sovranità popolare, essa ha trovato il posto che le spetta nei social networks e nell’azione politica della società civile. La presenza di queste due concezioni di sovranità, autorità e legittimità, incompatibili e confliggenti, è sempre stata l’oggetto del contendere della politica iraniana e ha spesso definito i contorni ideologici della lotta tra le forze concorrenti. Per questo, fintantoché la Costituzione attuale rimarrà in vigore, il repubblicanesimo islamico presenterà dei paradossi pratici e la tensione fra il “repubblicano” e il “teocratico” continuerà a manifestarsi.
Di tutti gli Stati islamici esistenti, l’Iran è il caso più interessante ma anche il più problematico da valutare. Per esempio, «è l’unico esempio di Stato islamico instaurato attraverso una rivoluzione popolare»[1]. Il dualismo presente nelle strutture non è solo palese nel titolo stesso di Repubblica Islamica, che fa riferimento a un corpo repubblicano eletto, con un presidente e un parlamento che operano nella stessa struttura politica che prevede il governo di un faqîh, ma è anche legato al fatto che questa Repubblica Islamica dichiara l’unità e la fratellanza di tutti i musulmani in un’unica umma e tuttavia rafforza il nazionalismo iraniano. In realtà, il concetto di governo del giureconsulto, in base al quale lo Stato è sostanzialmente un quadro amministrativo per l’applicazione della sharî‘a, costituiva solo uno degli elementi dell’interpretazione khomeinista della natura dello Stato. Khomeini infatti vedeva in tale principio anche l’espressione di un modello di governante-filosofo, dotato di una saggezza e di una conoscenza superiori alla legge. Ma l’interpretazione di Khomeini dell’autorità è dovuta scendere a patti con le interpretazioni moderne provenienti dall’Occidente[2] e il risultato è stato una Costituzione in cui predominano la sharî‘a e l’autorità fondata sulla volontà di Dio, ma che incorpora anche la volontà del popolo e la sua sovranità. Questa miscela ha prodotto molte contraddizioni, in particolare nei termini di un conflitto tra la legislazione parlamentare e la sharî‘a e dello scavalcamento delle strutture legittime da parte dell’autorità del giureconsulto. La Costituzione dell’Iran è perciò formata in realtà da due Costituzioni: una, che mette l’accento sull’autorità e sui diritti del popolo, l’altra che è una Costituzione divina di diritti clericali. Qualsiasi dibattito circa la struttura del potere del regime islamico in Iran e la lotta tra le varie istituzioni dipende da come questa dicotomia viene percepita e praticata.
Come si sfida il governo religioso
Nel sistema politico iraniano è oggi del tutto assente l’equazione tra capitale morale carismatico e capitale morale istituzionale. La seconda vita della Repubblica Islamica, dagli anni ’90 in avanti, si è tradotta in un vuoto di credibilità del regime che ha generato una sfiducia permanente nei confronti delle istituzioni politiche e del principio della sovranità teocratica. La crisi di legittimità che si ritiene abbia colpito il sistema politico iraniano a partire dagli anni ’90 è stata una crisi di cui Rafsanjani, Khatami e Ahmadinejad sono stati, in misura consistente, tanto sintomi quanto cause. A essere coinvolti nella crisi erano anche lo Stato e i suoi vari enti, la società iraniana, i cittadini e il mito fondatore della Rivoluzione iraniana come espressione della sovranità popolare, a cui tutti sono rimasti legati per molto tempo. Si è trattato, per dirla in modo un po’ enfatico, di una crisi della Rivoluzione che ha condotto a una divisione netta tra sovranità popolare e governo autoritario. Se l’Iran era uscito dalla Rivoluzione del 1979 certo della fondamentale bontà del suo cammino, riaffermata dalla sconfitta dello Shah e dalla guerra contro Saddam, il sigillo eroico e il fervore rivoluzionario hanno rapidamente lasciato spazio alla disillusione e al cinismo.
Giovani alternativi
È perciò quasi impossibile raccontare la storia del secolarismo nell’Iran teocratico se non si tiene conto della modalità di sfida del governo religioso ed esclusivista nella sfera pubblica. Lungi dall’essere una modalità di governo dello Stato, il secolarismo è diventato in Iran un insieme di valori morali per l’autogoverno. È un principio organizzativo della vita sociale che ha creato un habitus non-religioso, anche se ultimamente spirituale, e una serie di cambiamenti nella cultura politica tradizionale. Tali cambiamenti si sono tradotti in una cultura del dissenso in tre importanti gruppi sociali: le donne, i giovani e gli intellettuali. Queste tre sfere del dissenso hanno incarnato forme di resistenza deliberate e consapevoli. Le donne iraniane si sono battute per una maggiore libertà sia nella sfera pubblica che in quella privata. Per quanto riguarda gli intellettuali iraniani, negli ultimi vent’anni hanno messo l’accento sulla responsabilità democratica e il pluralismo dei valori come fondamenti per potenziare e allargare la società civile. I giovani appartengono invece a una nuova generazione che non ha fatto esperienza della rivoluzione del 1979 e che vuole un altro Iran. Molti di essi non erano ancora nati o erano troppo piccoli per ricordare la Rivoluzione, ma oggi rappresentano un terzo degli aventi diritto al voto nelle elezioni presidenziali. A causa del discorso politico egemonico e dell’islamizzazione forzata, è emersa una cultura giovanile alternativa e ribelle che è andata sempre più inserendosi in un movimento culturale globale più ampio. Pratiche come l’interazione tra uomini e donne nello spazio pubblico, l’amore libero, il modellare il velo islamico secondo il gusto personale e la nascita di ideali secolari tra gli intellettuali religiosi sono tutte forme differenti della visibilità secolare nella sfera pubblica. Più specificamente, la gioventù ha sfidato l’equazione stabilita tra personalità religiosa e personalità iraniana e ha elaborato una politica performativa alternativa. Come risultato, il secolare è diventato parte dell’interpretazione e della definizione irriflessa di sé per tutti quei musulmani iraniani che cercano di rifondare il proprio senso di identità nazionale nel mondo odierno.
Dissidenza sofisticata
Inoltre, diversamente dai modelli assertivi di secolarismo nei quali lo Stato esclude la religione dalla sfera pubblica, nel caso dell’Iran contemporaneo è presente un ethos sociale secolare che va di pari passo con le particolarità religiose dei giovani cittadini. È anche in questo contesto che vediamo comparire non una totalità ontologica ma una realtà emergente, che definisce il modus vivendi et operandi di un immaginario secolare. Questo processo ha portato a una contestazione sempre più aperta e sofisticata della teocrazia da parte delle voci dissidenti. Così, gli attori civici rivendicano la loro visibilità secolare nella sfera pubblica prendendo le distanze dal nazionalismo islamico del potere statale organizzato e immaginando forme di solidarietà orizzontale.
Solidarietà femminile
La maggior parte delle richieste di libertà rispetto ai modelli teologici di comportamento e di pensiero sono esemplificate dall’emergere di una solidarietà di genere senza precedenti tra le donne laiche e le donne islamiste-moderniste. Le prime hanno giocato un ruolo significativo nel tentativo di dar vita a un movimento consapevole di genere. Tuttavia, data la limitata possibilità di incidere in uno Stato fortemente religioso, esse hanno cercato l’alleanza con le donne islamiste. E con i cambiamenti prodotti dalla nuova generazione di donne islamiste, le donne laiche, che erano state precedentemente estromesse dalla sfera pubblica, hanno incominciato a ricomparire gradualmente nel campo lavorativo. Le donne laiche attive hanno creato propri gruppi informali e iniziato a organizzare dibattiti sui temi rilevanti per la condizione femminile. Per generare un cambiamento reale, le donne laiche e le donne islamiste necessitavano di una tribuna per dibattere le questioni sociali, economiche e politiche più rilevanti. Insieme, esse sono riuscite a creare una maggiore consapevolezza di genere e favorire riforme laicizzanti sia nella sfera pubblica che in quella privata. Questa cultura secolare del dialogo è stata promossa anche dalla nuova generazione di intellettuali iraniani, nei quali riecheggia una sfiducia in qualsiasi forma trascendentalmente valorizzata di pensiero monistico. In questo caso l’intervento laico non è solo una riflessione sui meccanismi pluralistici della politica, ma anche sulla personalità politica. L’aspetto importante dell’opera di questi intellettuali è che essi non pensano né a imitare l’Occidente né a tornare alle tradizioni religiose iraniane. Il loro obiettivo filosofico non è né quello di iniettare la modernità nella religione, né quello di iniettare la religione nella modernità. La prospettiva è piuttosto quella di salvaguardare la nozione di intellettuale dalla religione ideologizzata promuovendo il concetto e la pratica del dialogo come ombrello ontologico per tutte le relazioni sociali. Il punto non è l’imitazione di pratiche e istituzioni secolari così come si sono strutturate in Occidente, ma la possibilità d’identificare un insieme comune di scopi e obiettivi ben descritti dagli intellettuali iraniani con l’idea di responsabilità secolare. Il concetto di “responsabilità” può introdurre una nuova complessità e una nuova chiarezza nel valutare le difficoltà a cui deve far fronte in Iran il processo di transizione secolare, sia definendo i suoi prerequisiti intellettuali che per quanto riguarda la sua attuazione.
Una fine, un nuovo inizio
Durante gli ultimi trent’anni, l’Iran post-rivoluzionario ha dunque visto fallire sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista teorico i due progetti politici che stavano al cuore della Rivoluzione del 1979: il marxismo-leninismo e l’Islam fondamentalista. Se un tempo questi elementi fungevano da aggregatori popolari e pretendevano di costituire una base di legittimità, essi perdono sempre più credito nella maggior parte della cittadinanza. Come è evidente dalle loro pratiche sociali e culturali, gli attori civici iraniani non identificano più il loro ruolo con l’impegno per un secolarismo ideologico e assertivo, quanto con l’espressione di punti di vista critici rispetto agli aspetti antidemocratici e autoritari della politica e delle tradizioni teocratiche. Oggi il Paese attraversa un ciclo di oscillazioni irregolari, in cui fasi d’idealità secolare si alternano a momenti di grande angoscia teocratica. Tuttavia tale situazione di incertezza, per sua natura instabile, si accompagna all’assenza di una visione romantica e dogmatica del secolarismo come ideologia d’avanguardia. Lo shock della rivoluzione e la rivalutazione degli ideali politici sono stati parte di un processo di apprendimento che ha generato un senso collettivo di responsabilità tra gli attori sociologici post-rivoluzionari e tra i giovani, portandoli a optare per il secolarismo come forma di dissenso culturale più che come ideologia politica. L’esperienza della società civile iraniana dimostra che sarebbe più costruttivo rispondere alle sfide dell’Islam ideologizzato attraverso un secolarismo “de-santificante”, ripensando cioè le relazioni sociali in un modo nuovo che apra possibilità di dialogo con le voci anti-teocratiche nella sfera pubblica.
Diversamente dallo stereotipo che vede la società iraniana come un’entità teocratica ermetica, la società civile post-rivoluzionaria è percorsa da un dialogo e da un dibattito ininterrotti sulle virtù e sulle varianti del secolarismo. Nonostante il suo carattere islamico, la forma che la società iraniana dovrebbe assumere è ancora in via di elaborazione, almeno per quanto riguarda gli attori civici. A questo proposito possono essere messe in risalto due caratteristiche principali del discorso secolare complessivo. Primo, come già menzionato, esiste una correlazione diretta tra gli sviluppi politici in atto e l’intensità e la direzione generale del discorso sul secolarismo. Un secondo aspetto collegato a questo è stato il ruolo che gli intellettuali religiosi hanno attribuito al progetto di fornire una definizione di secolarismo che potesse allo stesso tempo cogliere l’essenza di tale categoria così come essi sono giunti a interpretarla e trovare applicabilità nel travaglio sociale, culturale e politico dell’Iran contemporaneo. Detto in parole povere, il primo compito degli intellettuali religiosi in Iran è stato definire che cosa significhi per loro e per l’Iran la parola “secolarismo”. Il secondo passo è stato quello di mettere alla prova tale definizione applicandola al retroterra storico e politico del Paese. La società civile è una società intrinsecamente non-religiosa o anti-religiosa? Ha una qualche rilevanza sugli orientamenti religiosi della società? Definire il secolarismo in Iran in un modo non assertivo, come “sfera non-teologica” è importante, in quanto dimostra una comprensione chiara e sofisticata dei limiti e delle sottigliezze di una sfera pubblica plurale.
Questo contrasta duramente con la percezione più populista e in un certo senso ingenua del secolarismo come esclusione degli attori religiosi dallo spazio pubblico. Diventa allora importante vedere se il concetto di “secolare”, così definito, ha una qualche applicabilità all’Iran, data la difficile situazione politica, storica, sociale e culturale del Paese. Fra gli ostacoli politici che il secolarismo deve affrontare in Iran, la storia della sua importazione dall’Occidente appare oggi il meno significativo, data l’atmosfera critica prevalente. La maggior parte degli intellettuali iraniani che hanno scritto sul tema del secolarismo in Iran affermano da un lato che la teologizzazione della politica non è stata capace di compromettere la possibilità di emersione di una società civile secolare. Dall’altro lato, se questa società civile secolare riuscisse a raggiungere i propri obiettivi, potrebbe potenzialmente facilitare il raggiungimento di un accordo generale tra gli attori civici sul fatto che uno spazio pubblico secolarizzato non autoritario rappresenti la soluzione a molti dei problemi sociali e politici del Paese. Ciò significa che l’idea secolare introdotta in Iran è più misurata, più analitica e molto meno statalista e ideologica che in qualsiasi periodo precedente.
Il nuovo discorso secolare ha sostanzialmente restituito alla sfera pubblica iraniana il ruolo sociale a cui aveva aspirato a lungo ma di cui era stata privata con la forza, e cioè l’educazione del popolo. Pensando al futuro, la società civile iraniana rappresenta la più grande speranza del Medio Oriente. Il secolarismo dialogico è in grado di portare i musulmani iraniani fuori dalla notte buia dell’Islam teocratico conducendoli verso un dialogo pubblico e trasparente. Se questo avvenisse, avrebbe probabili ricadute sui musulmani di ogni latitudine, com’è stato nel 1979 con la Rivoluzione. È evidente che l’azione non violenta è oggi il nuovo paradigma che cerca di definirsi distintamente, superando le debolezze intellettuali e politiche dei modelli precedenti. Tra i membri della società civile c’è accordo unanime sul fatto che la principale contraddizione dell’Iran contemporaneo è tra la violenza autoritaria e la non-violenza democratica. Sebbene questo paradigma non-violento sia ancora in corso di formulazione, esso può comunque essere definito come “post-ideologico”[3]. Ciò è dovuto al fatto che il movimento di protesta è non-violento, civile nei suoi metodi di realizzazione del cambiamento sociale e allo stesso tempo alla ricerca di una dimensione etica. Questo giudizio significa che la società civile iraniana è pronta a distinguere tra due atteggiamenti: da una parte la ricerca della verità e la solidarietà e dall’altra la menzogna e l’uso della violenza.
Bibliografia essenziale
Akbar Ganji, The Struggle Against Sultanism, «Journal of Democracy» 16 (2005), 4, 38-51.
Asghar Schirazi, The Constitution of Iran: Politics and the State in the Islamic Republic, I.B. Tauris, New York 1997.
Ramin Jahanbegloo, The Two Sovereignties and Legitimacy Crisis in Iran, «Constellations» 17 (marzo 2010), 1, 22-30.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
[1] Sami Zubaida, An Islamic State? The Case of Iran, «Middle East Report» 153 (1988).
[2] Cfr. Ruhollah Khomeini, Islam and Revolution:Writing and Declarations of Imam Khomeini, Mizan Press, Berkeley, 1981).
[3] Cfr. Ramin Jahanbegloo, The Two Sovereignties and the Legittimacy Crysis in Iran, «Constellations» 17 (Marzo 2010), 1, 22-30.