Mosul. L'offensiva contro l'Isis iniziata a ottobre sembra essere arrivata a una svolta: l'esercito iracheno avrebbe ripreso gli edifici governativi
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:07:22
Mosul, ovvero l’antica Ninive, è tagliata in due dal Tigri e giace in una piana fertile, stretta tra il deserto della Jazira e i monti del Kurdistan. Nei suoi 8.000 anni di vita ha visto infinite battaglie e numerosi popoli avvicendarsi sulle sue terre, tanto che ancora oggi, in qualche modo, la città può essere considerata come una sorta di cippo posto a un incrocio di confini tra i più incerti e conflittuali del Medio Oriente. Mosul segna innanzitutto il punto d’attrito tra la faglia araba e quella curda; secondariamente tra le province sunnite, nostalgiche dell’ex presidente Saddam Hussein, e il governo di Baghdad, dominato dagli sciiti; ed è anche la linea del fronte tra le forze del “Califfo”, che proclamò la restaurazione del Califfato dal minbar della Grande moschea cittadina di al-Nuri, e i suoi numerosi nemici, divisi su tutto tranne che sulla lotta allo Stato Islamico. Infine, la città è al crocevia tra gli interessi di Turchia, Iran, Stati Uniti, e dei loro alleati locali. Dunque, nella battaglia in corso per riconquistare Mosul, dietro il comune obiettivo di eliminare Isis, si nasconde una pericolosa eterogenesi dei fini, che sin d’ora pone una grave incognita sul futuro della stabilità nell’area. E se andiamo ad analizzare la composizione delle truppe sul terreno, la complessità della situazione è ben evidente. Infatti, sul fronte sud si trovano la 15a divisione dell’esercito iracheno, la polizia federale e le sue forze speciali, che operano con il supporto dell’artiglieria americana. Il loro obiettivo è, essenzialmente, avanzare lungo l’asse che porta all’aeroporto di Mosul. A sud-est, sull’asse di Khuwair, ci sono le forze curde e la 1a e 9a divisione dell’esercito iracheno, e avanzano lungo l’autostrada per Baghdad a ovest del Tigri; in appoggio sembra abbiano forze francesi e la 9a divisione corazzata irachena, mentre alle loro spalle il territorio liberato è controllato da milizie cristiane, considerata la presenza di villaggi cristiani. Sul fronte est avanzano invece peshmerga curdi – in parte addestrati dagli italiani –, seguiti dalla “Divisione d’Oro”, ovvero la punta di diamante delle forze irachene, composta da unità del Servizio anti-terrorismo. A nord-est, sull’asse di Bashiqa, dove c’è una presenza turca, ci sono peshmerga, ma nella base di Zilkan operano qualche migliaio di militari turchi di concerto con i circa 3.500 miliziani sunniti locali, armati da Ankara e guidati da Atheel al-Nujaifi, ex governatore sunnita della provincia. Peraltro, la presenza delle truppe turche è stata apertamente osteggiata dal governo di Baghdad, ma la Turchia si è rifiutata di ritirarle e la tensione tra i due Paesi è altissima. A nord e nord-ovest sono invece posizionati la 16a divisione irachena, alcuni battaglioni dell’antiterrorismo e alcuni peshmerga. A ovest, sull’asse verso Tel Afar, ci sono invece le milizie sciite delle Forze di mobilitazione popolare – Hashd el-Shaab – appoggiate dall’Iran. Le stime complessive sono estremamente approssimative, ma sul terreno potrebbero esserci almeno centomila uomini. Quel che colpisce è l’esiguità delle forze dello Stato Islamico, stimate tra i 3.000 e i 7.000 uomini, compreso un migliaio di foreign fighters. Il fatto che poche migliaia di miliziani tengano ancora sotto controllo una città di circa un milione e mezzo di abitanti mostra lo stato di terrore creato tra la popolazione da Isis. Il piano della coalizione impegnata nell’operazione a Mosul ha visto un progressivo accerchiamento della zona urbana della città, con la conquista di decine di villaggi circostanti. Poi, l’offensiva è progredita con una serie di attacchi simultanei da quasi ogni direzione, e ora da est le forze irachene avanzano verso il centro della città, mentre a sud l’avanzata è lenta. Tutto ciò accade con l’appoggio aereo delle forze aeree occidentali. In realtà, il successo dell’operazione dipende dalla tenuta di un accordo politico in base al quale, a conquistare la città, devono essere soltanto le truppe regolari delle forze armate irachene; del resto, l’ingresso di paramilitari sciiti o di peshmerga curdi scatenerebbe facilmente scontri tra le diverse fazioni e porrebbe troppe incognite per il futuro. Per ora, la resistenza opposta dalle forze jihadiste è stata meno dura di quanto ci si aspettasse. In realtà, la reazione dello Stato Islamico aumenterà proporzionalmente quanto più ci si avvicina al centro della città, dove la densità urbana, la concentrazione di civili e le difese approntate in due anni renderanno lento e sanguinoso l’avanzamento. Le milizie “califfali” evitano grossi assembramenti e difese prolungate, ciò che le esporrebbe alla minaccia aerea; agiscono piuttosto in piccoli gruppi, muovendosi in tunnel, con attacchi “mordi e fuggi”, usando la popolazione come scudo, impiegando cecchini, veicoli esplosivi guidati da kamikaze e ordigni improvvisati. Peraltro, ci si aspetta che, sotto pressione, le forze jihadiste facciano saltare i cinque ponti della città, concentrandosi nella zona ovest. Una volta conquistata la città, come successo a Falluja e Ramadi, il governo cercherà di garantirne il controllo attraverso forze di polizia e paramilitari locali, mentre i miliziani di Isis torneranno presumibilmente a tattiche da insurgency. A questo punto, però, sorgeranno tre problemi. Innanzitutto l’incognita sunnita, con la sua popolazione da reintegrare nello Stato – ad oggi, infatti, permangono emarginazione e persecuzione politica ed economica, ragioni per cui inizialmente i sunniti avevano sostenuto il “Califfato”. In secondo luogo si pone il problema della ricostruzione economica e istituzionale: se da un lato Baghdad difficilmente accetterà progetti sunniti di decentralizzazione e autogoverno locale, dall’altro, il governo centrale non ha le risorse finanziarie per ricostruire la città. Infine, le pressioni curde e sciite, complicate dall’influenza iraniana e turca, rischiano di riaccendere scontri e tensioni politiche e militari. Dopo la battaglia militare, avrà inizio la battaglia per il futuro della città.