Chi vuole interpretare «il Nobile Libro deve andare a cercare la spiegazione prima di tutto nel Corano stesso», ha scritto Jalāl al-Dīn al-Suyūtī, sapiente egiziano del XV secolo. In particolare, conoscere le circostanze della rivelazione profetica è «un’arte che offre benefici», essenziali a una piena comprensione del testo.

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Ultimo aggiornamento: 19/06/2024 12:45:20

Leggi l’introduzione a questo classico: Nel cuore del sunnismo: il primo interprete è il Profeta, poi i suoi Compagni

 

Circostanze della rivelazione[1]

 

La rivelazione (lett. “discesa”) del Corano si divide in due parti: una parte che è discesa senza alcun elemento che la precedesse[2] e una parte che è discesa in seguito a un evento o a una domanda. […] Qualcuno potrebbe pensare che l’arte [della conoscenza delle circostanze della rivelazione] sia priva di utilità, venendo a confondersi con la storia. Ma sbaglia, perché è un’arte che offre benefici, tra cui:

  • conoscere la forma di sapienza che presiede all’enunciazione di una norma legale;
  • specificare la norma, per quanti ritengono che l’insegnamento [contenuto in un dato versetto] sia legato in modo specifico alla causa [per cui tale versetto è disceso];
  • a volte inoltre l’espressione verbale è generale, ma il referente concreto la specifica. Così, se si conosce la causa [della rivelazione], si può limitare la specificazione a quanto è proprio a essa, escludendo altri casi di forma simile. […]

Tale arte inoltre permette di trovare l’autentico significato del versetto e rimuovere le difficoltà. Al-Wāḥidī[3] ha dichiarato: «Non è possibile spiegare un versetto coranico senza conoscere la sua storia (qissa) e spiegare com’è disceso». Ibn Daqīq al-ʿĪd[4] disse: «Illustrare la causa della rivelazione è una via potente per giungere alla comprensione dei significati del Corano». E Ibn Taymiyya[5] ebbe ad affermare: «Illustrare la causa della rivelazione aiuta a comprendere il versetto, perché la conoscenza della causa induce la conoscenza del causato».

 

Versetti solidi e versetti allegorici[6]

 

L’Altissimo ha detto: «Egli è Colui che ti ha rivelato il Libro: ed esso contiene sia versetti solidi, che sono la Madre del libro, sia versetti allegorici» (3,7).

A questo proposito Ibn Habīb al-Naysābūrī[7] ha menzionato tre ipotesi:

  1. che il Corano sia tutto solido, perché vi si legge «Libro dai saldi Segni» (11,1);
  2. che il Corano sia tutto allegorico, perché vi si legge «un Libro d’allegorie, testi…» (39,23);
  3. che si divida in solido e allegorico, come afferma il versetto da cui siamo partiti. E questa è l’ipotesi corretta. […]

 

Varie sono le opinioni espresse circa l’individuazione dei versetti solidi e allegorici. Si è detto: solido è quello di cui si conosce il senso, o perché appare immediatamente o attraverso l’interpretazione (ta’wīl). Allegorico invece è quel sapere che Dio ha riservato a Sé, come l’Ora del giudizio, la comparsa dell’Anticristo o le lettere isolate che sono poste all’inizio di alcune sure[8]. Secondo altri solido è quello che ha un significato chiaro e allegorico è il suo contrario. Oppure solido è quello che ammette una sola interpretazione, mentre allegorico è quello che ne ammette più d’una. Si è detto che solido è quello che ha un significato accessibile alla ragione, mentre il contrario sarebbe allegorico, come il numero delle preghiere o il fatto che si debba digiunare nel mese di Ramadān invece che in quello di Sha‘bān[9]. Questa è l’opinione di al-Māwardī[10]. Ancora: solido è quello che sta in piedi da solo, allegorico quello che non sta in piedi da solo e ha bisogno di essere ricondotto ad altro da sé. Si è detto: solido è ciò in cui la lettera è l’interpretazione, mentre allegorico è quello che si può comprendere solo con l’interpretazione. Oppure: solido è quello che non si ripete, il contrario è allegorico[11]. O ancora: solido sono le quote ereditarie, la promessa e la minaccia, mentre allegoriche sono le storie e le parabole[12]. […]

 

Un’altra divergenza è nata intorno alla domanda se l’allegorico possa essere conosciuto [dagli uomini] o sia noto solo a Dio. La divergenza nasce dall’espressione coranica «e gli uomini di solida scienza» (3,7), a seconda che la si legga come coordinata alla proposizione precedente o meno. Se infatti la si considera coordinata, si ha: «La vera interpretazione di quei passi non la conoscono che Dio e gli uomini di solida scienza, i quali dicono…», mentre se non la si considera coordinata, si ha: «La vera interpretazione di quei passi non la conosce che Dio. Invece gli uomini di solida scienza dicono…»[13].

La prima opinione è stata sostenuta da un gruppo ristretto di esegeti, come Mujāhid[14], che la riferiva a Ibn ‘Abbās[15], il quale […], commentando «la vera interpretazione di quei passi non la conoscono che Dio e gli uomini di solida scienza», avrebbe affermato: «Io sono tra quelli che conoscono la vera interpretazione». […] Ibn Abī Hātim[16] ha riportato quest’affermazione di al-Dahhāk[17]: «“Gli uomini di solida scienza” conoscono l’interpretazione, altrimenti non saprebbero distinguere l’abrogante dall’abrogato, il lecito dall’illecito o il solido dall’allegorico». L’opinione è stata adottata da al-Nawawī[18] il quale, commentando gli hadīth di Muslim, ha detto: «È il parere più corretto, perché è inverosimile che Dio parli ai suoi servi di cose che nessuna creatura può conoscere». E Ibn al-Hājib[19] aggiunse: «Questo è il significato del testo come appare alla lettura».

 

Ma la maggior parte dei Compagni, dei Successori, dei loro Seguaci e di quanti sono venuti dopo di loro – in particolare i sunniti – ha abbracciato la seconda opinione, che peraltro coincide con la migliore delle letture coraniche attribuite a Ibn ‘Abbās. Ibn al-Sam‘ānī[20] ha affermato: «La prima opinione è stata sostenuta soltanto da un gruppuscolo, ma è stata adottata da al-‘Utbī[21]. Al-‘Utbī era sunnita, ma in questa questione ha preso un abbaglio. Nulla di strano, nessuno è perfetto e capita a tutti di sbagliare». […]

Al-Tabarānī[22] riporta questo hadīth nella sua Collezione maggiore, sull’autorità di Abū Mālik al-Ash‘arī[23]. «Ho sentito l’Inviato di Dio dire: “Tre mali soltanto temo per la mia comunità: che diventino ricchi, inizianndo a invidiarsi e a uccidersi a vicenda; e che aprano il libro e il credente si metta a volerlo interpretare, mentre la vera interpretazione la conosce solo Dio”»[24]. […]

 

Al-Hākim[25] ha riportato quest’affermazione del Profeta sull’autorità di Ibn Mas‘ūd[26]: «“Il Primo Libro discese da una sola Porta in un solo Modo. Il Corano invece discese da sette Porte secondo sette Modi: correzione, comando, lecito, illecito, solido, allegorico e parabole. Considerate lecito ciò che ha dichiarato permesso e illecito ciò che ha vietato; fate quel che vi è stato comandato; astenetevi da quello da cui siete stati messi in guardia; riflettete sulle sue parabole; agite secondo ciò che è solido e credete nell’allegorico”. E [all’udire queste parole del Profeta i presenti] risposero: “Vi crediamo; viene tutto dal Signore nostro!” (3,7)».

 

Abrogante e abrogato[27]

 

Secondo Makkī[28], l’abrogante è di vari tipi:

  1. Obbligo che abroga obbligo, di modo che non è più lecito agire secondo la prima norma. È il caso dell’adulterio: la pena iniziale era il carcere, ma fu abrogato e sostituito dalla pena corporale.
  2. Obbligo che abroga obbligo, ma con la possibilità di continuare ad agire secondo la prima norma. È il caso del versetto della perseveranza (8,65-66)[29].
  3. Obbligo che abroga concessione, come il combattimento che era una semplice concessione, ma poi divenne un obbligo.
  4. E infine concessione che abroga obbligo, come la preghiera notturna che fu sostituita dalla recitazione del Corano: «Recitate dunque quel che vi viene facile» (73,20).

 

Ci sono tre tipi di abrogazione nel Corano:

1) Abrogazione sia del testo sia della norma. È il caso dello hadīth di ‘Ā’isha[30] riportato da al-Bukhārī e Muslim: «Nella rivelazione c’era scritto: “dieci allattamenti contati”, ma furono abrogati e sostituiti con cinque, poi l’Inviato di Dio morì e i cinque allattamenti erano ancora nel Corano»[31]. Il problema è che in realtà questo versetto [di cui parla ‘Ā’isha] non si trova nel Corano, ciò che ha suscitato molte discussioni. […]

 

2) Abrogazione della norma e mantenimento del testo. Su questo tipo di abrogazione si sono scritti fior di libri, ma in realtà è un fenomeno molto circoscritto, anche se la gente tende a esagerarne il numero. […] In totale si parla di 21 versetti abrogati, con opinioni discordanti intorno ad alcuni di essi. Al di fuori di questi, non è corretto parlare di abrogazione. Ho anche composto una poesia su questo, che inizia: «La gente ha molto esagerato il numero degli abrogati / e vi ha inserito anche versetti non cancellati». [...]

E se ti domandi qual è la sapienza divina insita nel cancellare una norma e preservarne il testo, le risposte sono due. La prima è che il Corano viene recitato per conoscere le norme e agire in conseguenza di esse, ma anche in quanto parola di Dio, per ricevere la ricompensa legata a tale azione; e per questa ragione è stata lasciata la recitazione dei versetti [abrogati]. La seconda risposta è che l’abrogazione di solito va nel senso di un alleggerimento della norma. Il testo [della prima prescrizione] è stato mantenuto per ricordare [ai credenti] la grazia ricevuta e il sollievo concesso.

I versetti che nel Corano abrogano pratiche pagane o delle Leggi rivelate prima di noi o degli inizi dell’Islam sono anch’essi pochi di numero, come l’abrogazione della direzione della preghiera verso Gerusalemme nel versetto della qibla, la sostituzione del digiuno di Ashura con quello di Ramadan, e altre cose che ho elencato nel mio libro[32].

Osservazioni sparse: si è detto che nel Corano ogni abrogato precede cronologicamente l’abrogante tranne che in due versetti. [...]. Alcuni ne hanno aggiunto un terzo [...] e un quarto. […] Ibn al-‘Arabī[33] diceva che tutte le parti in cui il Corano invita alla conciliazione con i miscredenti, ad astenersi dal combatterli e a lasciarli stare, sono abrogate dal Versetto della Spada: «Quando poi saran trascorsi i mesi sacri, uccidente i miscredenti» (9,5). Questo versetto ne avrebbe cancellati 124 e poi la fine di questo versetto avrebbe abrogato l’inizio.

 

3) Abrogazione del testo e mantenimento della norma. Alcuni si sono domandati a questo proposito quale sarebbe la sapienza divina insita nel fatto di abrogare un testo, ma mantenere in vigore la norma. Non sarebbe stato meglio in questo caso mantenere anche il testo in modo che norma e testo procedessero di pari passo? La mia risposta è che questo è avvenuto per manifestare la misura dell’obbedienza di questa Comunità, se cioè è disposta a dare tutta se stessa anche per una cosa solo probabile, senza pretendere che ogni questione sia tagliata di netto. I credenti infatti si affrettano a ubbidire anche sulla base del più piccolo indizio, come fece Abramo che corse a sacrificare il figlio sulla base di un semplice sogno notturno, cioè della forma più bassa di rivelazione.

 

 Il buon commentatore[34]

 

Secondo gli esperti di religione chi vuole commentare il Nobile Libro deve andare a cercare la spiegazione prima di tutto nel Corano stesso. Infatti quello che è riassunto in un passo è dettagliato in un altro e quello che è sintetizzato in un luogo è esposto estesamente altrove. Ibn al-Jawzī[35] ha composto un libro proprio su quegli aspetti del Corano che sono riassunti in un passo e dettagliati in un altro e anch’io ho proposto alcuni esempi in materia nel capitolo dedicato a questo argomento.

Se non ci riesce, il commentatore deve interrogare la Sunna, perché essa spiega il Corano e lo chiarisce, come ha detto al-Shāfi‘ī[36]: «Tutti i giudizi che ha pronunciato l’Inviato di Dio derivano dalla sua comprensione del Corano». […]

Se non trova nulla nella Sunna, si riferisca ai detti dei Compagni, perché essi capivano il Corano meglio di noi, essendo stati testimoni delle circostanze e delle situazioni che accompagnarono la discesa del Libro e avendo ricevuto da Dio in modo esclusivo comprensione totale, retta scienza e correttezza d’azione[37].

 

(traduzione di Martino Diez)
 
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

 

 

Note


[1] Tutti i brani qui riprodotti sono estratti da al-Itqān fī ʿulūm al-Qurʾān, a cura di Muhammad Sālim Hāshim, Dār al-Kutub al-‘ilmiyya, Bayrūt 2010. Qui Nawʿ 9, Maʿrifat sabab an-nuzūl, p. 48.
[2] Il riferimento è a una categoria della grammatica araba. Il significato dell’espressione è che tali testi coranici sono “discesi” senza essere preceduti da alcun evento che li abbia in qualche modo sollecitati.
[3] ʿAlī Ibn Ahmad al-Wāhidī al-Naysābūrī (m. 1076) è un noto commentatore, autore di una celebre opera sulle circostanze della rivelazione.
[4] Grande esperto di hadīth e giurista, nacque a Yanbū‘ (porto sul Mar Rosso nei pressi di Medina) nel 1228 e morì al Cairo nel 1302.
[5] Il notissimo teologo hanbalita, oggi punto di riferimento del salafismo, nato a Harrān nel 1263 e morto a Damasco nel 1328.
[6] Nawʿ 43, fī l-muhkam wa l-mutashābih, pp. 309-312.
[7] Esperto di scienze coraniche e letterato, morto nel 1016.
[8] Alcune sure coraniche, come ad esempio la seconda, sono introdotte da alcune lettere isolate di cui non si conosce il significato.
[9] Le norme cultuali non hanno una ragione apparente.
[10] Il celebre giurista morto nel 1058 a Baghdad, autore di un trattato di diritto pubblico che gode tuttora di grande notorietà.
[11] Su questa opinione, per cui i testi allegorici sarebbero “testi simili o ripetuti” cfr. il commento di Ida Zilio-Grandi a 39,23 (Il Corano, Mondadori, Milano 2010, p. 734).
[12] Il Corano presenta diversi generi letterari commisti tra loro: norme giuridiche, come ad esempio le quote ereditarie, brani omiletici centrati sulla promessa (del Paradiso) e la minaccia (dell’Inferno), storie dei profeti e parabole.
[13] Ovviamente nell’originale al-Suyūtī non traduce il passo coranico, ma spiega la differenza di senso attraverso le categorie grammaticali arabe. Si tenga presente che nel Corano non esistono segni di interpunzione.
[14] Mujāhid Ibn Jabr (m. 722) è uno dei primissimi commentatori coranici. Fu discepolo di Ibn ʿAbbās.
[15] Cugino di Muhammad, è considerato il padre dell’esegesi coranica, tanto da essere soprannominato “l’interprete del Corano”. Morì nel 686/687.
[16] Esperto di critica degli hadīth (854-938), è autore di un lessico biografico relativo a più di 20.000 trasmettitori di tradizioni, di cui esamina l’affidabilità.
[17] Tradizionista originario di Balkh, vissuto nell’ottavo secolo.
[18] Celebre esperto di tradizioni, al-Nawawī, vissuto in Siria tra il 1233 e il 1277, compose anche un commento alla collezione di hadīth di Muslim (m. 860).
[19] Giurisperita della scuola malikita e rinomato grammatico, nacque nell’Alto Egitto nel 1174/1175 e morì ad Alessandria nel 1249. È autore di due celebri opere dedicate rispettivamente alla morfologia e alla sintassi dell’arabo.
[20] Noto anche come al-Samʿānī (1113-1166), originario di Merv, è un esperto di tradizioni e autore di un dizionario biografico.
[21] Dovrebbe trattarsi di Muhammad al-‘Utbī, giurisperita della scuola malikita originario di Cordova, morto nell’868.
[22] Uno dei più importanti tradizionisti del X secolo, nato in Siria nell’873 e morto a Isfahan nel 971.
[23] Compagno del Profeta di origine yemenita.
[24] Il terzo male è il disprezzo dei sapienti. La citazione dello hadīth non è completa.
[25] Al-Hākim al-Naysābūrī (933-1014), tradizionista di vaglia, autore del Mustadrak.
[26] Tra i primi convertiti all’Islam e più fedeli Compagni di Muhammad, gli è attribuita una recensione del Corano che sarebbe stata parzialmente diversa da quella canonica.
[27] Nawʿ 47, fī nāsikhi-hi wa mansūkhi-hi, pp. 340-345.
[28] Esperto di letture coraniche nato a Qayrawan nel 965 e morto a Cordova nel 1045. È autore di una Esposizione sull’abrogante e sull’abrogato nel Corano.
[29] In questo brano coranico si legge: «Venti uomini pazienti dei vostri, ne vinceranno duecento […]». Ma al versetto successivo si rettifica: «Ora Iddio vi ha alleggerito il compito, perché sa che v’è debolezza fra voi: cento uomini pazienti dei vostri ne vinceranno duecento […]», portando così il rapporto tra combattenti credenti e miscredenti da uno a dieci a uno a due.
[30] La moglie favorita di Muhammad. Le raccolte di hadīth di al-Bukhārī (m. 870) e Muslim (m. 860) sono le più autorevoli per i sunniti.
[31] Nell’Islam la parentela di latte è equiparata a quella reale. Secondo la testimonianza di ‘Ā’isha, il legame si produceva inizialmente dopo 10 allattamenti, ma successivamente la soglia fu abbassata a 5, «come si legge nel Libro». In realtà il Corano nel suo stato attuale non contiene indicazioni in materia.
[32] Si tratta di alcuni cambiamenti nel rituale che secondo la cronologia tradizionale furono introdotti durante il periodo medinese. La direzione della preghiera (la qibla) è spostata in 2,144 da Gerusalemme alla Mecca; e nella stessa sura il digiuno di Ashura, analogo allo Yom Kippur ebraico, è sostituito dal mese di Ramadan (cfr. 2,183-185).
[33] Giudice e tradizionista di Siviglia (1076-1148), da non confondere con il mistico omonimo.
[34] Nawʿ 78, fī ma‘rifat shurūt al-mufassir, pp. 572-573.
[35] Uno dei più famosi giuristi hanbaliti di Baghdad, Ibn al-Jawzī (1126-1200) compose più di 300 opere, principalmente di hadīth ed esegesi, ma anche di storia e aneddotica. È noto per la sua ostilità non solo contro i non-sunniti, ma anche contro i mistici ortodossi.
[36] Il celebre giurista morto in Egitto nell’820, fondatore di una delle quattro scuole di diritto tuttora esistenti nel mondo sunnita. Fu un grande sostenitore del primato degli hadīth nella codificazione della Legge.
[37] Leggo al-‘amal al-sālih invece di al-‘ilm al-sālih per evitare la ripetizione con la coppia precedente (al-‘ilm al-sahīh).