Al-Juwaynī immagina un mondo islamico che non ha più un califfo né il governo unitario di un “imam d’usurpazione” o sultano

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Ultimo aggiornamento: 19/06/2024 10:14:26

Leggi l’introduzione a questo classico: Fanta-teologia: profezia della Umma che verrà.

 

Al-Juwaynī immagina un mondo islamico che non ha più un califfo né il governo unitario di un “imam d’usurpazione” o sultano. Il giurista indipendente, capace di dedurre nuove norme, si è estinto e della legge coranica sono rimasti vivi soprattutto precetti cultuali e norme del diritto di famiglia. L’alternativa è chiara: o cercare di risuscitare i giuristi indipendenti oppure riconoscere l’autonomia delle realtà temporali.

 

Prefazione

 

8. Le varie norme e le suddivisioni in lecito e vietato, per quanto riguarda i contenuti della Legge e i suoi obiettivi, le sue fonti e le sue derivazioni, sono riducibili a due parti e riconducibili nel loro insieme a due generi. Il primo comprende quella sezione della Legge che si rapporta al governo e agli imam e a quanti sono costituiti in autorità nella umma[1]. Costoro assumono la guida, mentre i sudditi ricevono gli ordini e li eseguono. Il secondo genere invece comprende quella parte della Legge di cui i musulmani legalmente capaci (mukallaf) sono responsabili autonomamente e che ricade in capo a chiunque abbia il potere di agire e sia sotto l’obbligazione legale.

 

9. Con l’aiuto di Dio e il suo soccorso esporrò nella prima parte, in diversi capitoli tra loro collegati, le qualità richieste all’imam, al governante, al pastore e al giudice, a mo’ d’introduzione. […] Poi prenderò a esaminare il caso di un’epoca che si ritrovi priva di difensori della religione e governanti dei musulmani. […] 

 

10. Di lì passerò alla seconda parte, che sarà ugualmente utile per lo specialista e il non specialista, in cui spiegherò che la sharī‘a poggia sui suoi trasmettitori, i quali si caricano singolarmente del suo fardello. Essi praticano l’ijtihād[2] e, rendendo alle scienze legali l’omaggio della pietà e della verità, costituiscono le colonne [della comunità] e il suo fondamento sicuro. E tuttavia, se un’epoca venisse a essere priva di quelle fondamenta, si dovrebbe comunque restare calmi e vigilanti. Ma in una simile ipotesi, a che cosa potranno aggrapparsi i servi[3], nel mare muggente della corruzione? Se gli uomini abbandoneranno la via mediana per lasciarsi andare agli eccessi e i musulmani saranno messi alla prova con ulema di cui non si potranno fidare perché empi e con asceti che non potranno imitare perché stolti, ebbene, in un caso del genere si potrebbe ancora trovare il retto cammino oppure le genti finirebbero sballottate di qua e di là inutilmente, chiamandosi a vicenda sull’orlo dell’abisso? Fin dove mi spingerò nelle mie elucubrazioni, fin dove metterò in dubbio le certezze?

 

È accaduto quel che temevamo / siamo di Dio e a lui ritorniamo.

L’ingiustizia dei governanti è diventata generale e ha sorpassato ogni limite. È scomparsa la prudenza dagli ulema ed essi si sono sprofondati completamente nelle vanità mondane. I capi della comunità e la classe media si sono strappati di dosso il morso della pietà e le città versano in uno stato di crescente ingiustizia e confusione. «E che altro han da attendersi se non che venga ad essi d’un tratto, l’Ora? Già son giunti i Suoi segni premonitori» (Cor. 47,18).

Ora, se riuscirò a trovare un appoggio per la religione e un sostegno per l’Islam anche quando siano cancellati i suoi tratti distintivi e la sua stella sembri giunta al declino, ebbene avrò compiuto opera meritoria come chi prepara la ralla[4] in cui piantare il palo della macina della verità.

 

[Piano dell’opera]

 

12. Il Libro si divide in tre sezioni:

  • La prima, sull’imamato, con le suddivisioni appropriate;
  • La seconda, sull’ipotesi che un’epoca si ritrovi priva di imam e governanti [legittimi] della comunità;
  • La terza, sull’ipotesi che si estinguano totalmente i “portatori della sharī‘a”.

Cominciamo dunque dall’imamato.

 

Prima sezione – l’imamato

 

[Che cos’è l’imamato e perché è necessario stabilire degli imam e delle guide per la comunità]

14. L’imamato è direzione suprema e guida generale, per l’élite e la massa, nelle questioni religiose e mondane. Il suo compito è preservare la proprietà e vegliare al benessere dei sudditi, chiamare all’Islam con le prove e con la spada, far cessare il dissenso e l’iniquità, rendere giustizia agli oppressi dai loro oppressori, reclamare i diritti dai ribelli e assegnarli a quelli che ne hanno titolo. […]

15. Stabilire un imam è un obbligo, quando se ne abbia la possibilità.

 

[L’investitura scritta]

 

41. Quando i Compagni del Profeta si riunirono il Giorno della Veranda[5] per designare una guida e nominare un successore (khalīfa), le opinioni si divisero e le passioni divamparono e […] la gente, nello sconvolgimento e nella confusione, domandò un rifugio alla cui ombra trovare riparo e a cui affidare il compito di legare e sciogliere e l’intera gestione degli affari della comunità. Si accordarono allora per prestare giuramento di fedeltà ad Abū Bakr. Egli assunse la funzione che meritava, gli animi si calmarono e si dissolsero le vane congetture. Ora, se essi avessero avuto notizia della nomina di ‘Alī da parte del Profeta (e per Dio ‘Alī era ben adatto a occupare la carica dell’imamato), certamente qualcuno si sarebbe levato a dire: «Perché v’imbrogliate nelle tenebre e v’impigliate in dubbie elucubrazioni, senza saper che partito prendere? Perché tralasciate la designazione esplicita da parte dell’Autore della Legge?» Insomma, appare immediatamente chiaro a tutti che se ci fosse stata un’investitura scritta, sarebbe stato impossibile nasconderla e celarla.

 

[Caratteristiche dell’imam incaricato di sovrintendere ai musulmani]

 

97. Le caratteristiche richieste agli imam si dividono in varie parti:

  • quelle collegate ai sensi;
  • quelle collegate alle membra;
  • quelle connesse alle qualificazioni necessarie;
  • e quelle collegate alle virtù acquisite.

 

[Il lignaggio]

 

106. Tra le qualificazioni necessarie [all’imamato] vi è il lignaggio: si richiede infatti che l’imam appartenga alla tribù dei Quraysh[6]. Solo Dirār Ibn ‘Amr[7] si discostò da questa limitazione, ma non è un personaggio il cui assenso o dissenso sia rilevante. I tradizionisti hanno tramandato un hadīth secondo cui «Gli imam sono dei Quraysh» e alcuni capiscuola hanno affermato che questo hadīth è ampiamente diffuso (mustafīd) e che, anche se la catena di testimoni si arresta a un Successore[8], resta ugualmente provato perché la comunità lo ha accolto e recepito.

 

107. Ma personalmente non amo questo modo di argomentare perché l’hadīth in questione è trasmesso solo da pochi testimoni e non raggiunge il livello di “tradizione notoria” (mutawātir). Prova ne è che in questa come nelle altre tradizioni trasmesse da un solo narratore (āhād) non avvertiamo quella certezza dei cuori e quella sicurezza assoluta che il detto provenga dalla bocca dell’Inviato di Dio. Pertanto questo hadīth non è sufficiente per dedurre la necessità del lignaggio nell’imamato.

 

108. Il modo per dimostrare quanto stiamo cercando di provare consiste piuttosto nell’osservare che quanti ci hanno preceduto hanno sempre riservato, e in modo manifesto, questa carica ai Quraysh, mentre nessun non-qurayshita ha mai avuto il lustro di accedere all’imamato, lungo tutta la storia e il succedersi dei tempi. E questo nonostante il fatto che, se ciò fosse stato possibile, quelli che hanno il potere effettivo lo avrebbero già fatto da tempo. […] Inoltre in passato hanno assunto l’imamato anche dei qurayshiti che si sono comportati come dei re[9], privi del livello di conoscenza religiosa desiderabile per esercitare questa funzione. Il motivo è che chiunque abbia anche solo un’infarinatura di conoscenze e uno spirito brillante può accampare un sapere; e se il fasto della regalità finisce in mano a un uomo poco colto, nessuno riesce a impedirgli di assumere il potere. Invece il lignaggio non è possibile fabbricarselo e per questo nessuno che non avesse una genealogia immacolata ha reclamato per sé l’imamato. Questo è un modo per dimostrare che il lignaggio fa parte delle qualificazioni necessarie.

 

109. Razionalmente non possiamo pensare che l’imamato abbia bisogno del lignaggio. Tuttavia Iddio ha riservato questa carica elevata e questa nobile funzione alla gente della Casa del Profeta. È stato un dono di Dio, che Egli concede a chi vuole.

 

Seconda sezione – l’imamato di usurpazione

 

436. Il discorso su un’epoca che risulti priva di un imam legittimo si articola in tre capitoli.

Prima ipotesi: scomparsa delle qualificazioni richieste all’imam, nel loro complesso e singolarmente.

Seconda ipotesi: usurpazione da parte di un candidato dotato di mezzi, forza e potenza.

Terza ipotesi: comparsa di un’epoca priva di governanti, in nome proprio o altrui.

 

 [Un’epoca priva di governanti]

 

560. Per quanto riguarda i beni affidati agli imam, se un’epoca rimane priva dell’imam e senza un’autorità[10] forte, abile e capace, tali beni sono affidati agli ulema. Gli uomini, nelle loro diverse classi, hanno il dovere di far riferimento agli ulema, che esprimeranno il loro parere su tutte le questioni di governo. Se agiranno così, saranno guidati al retto cammino e gli ulema del Paese ne diverranno i governanti.

 

561. Se radunare gli ulema in un unico luogo risulta difficile, gli abitanti di ogni regione e contrada seguiranno i loro ulema particolari. Se in una regione vi sono molti ulema, bisognerà seguire quello più preparato. Nell’ipotesi invece che siano tutti dello stesso livello (ipotesi questa che non si verifica quasi mai), essi potrebbero concordare. In questo caso è comunque impossibile che tutti emettano il loro parere, vista la contraddittorietà delle richieste e delle opinioni giuridiche, per cui la cosa migliore è che gli ulema si mettano d’accordo per selezionare uno di loro.

 

Se però dovessero disputare tra loro, fino ad arrivare a una condizione di aperta discordia, a mio avviso la soluzione per porre fine alla disputa sarebbe tirare a sorte, di modo che venga selezionato quello su cui cade il sorteggio.

 

Terza sezione – se si estinguessero totalmente i “portatori della sharī‘a

 

568. Con l’aiuto e il sostegno di Dio, il suo favore e il suo supporto, mi accingo ora a organizzare questa sezione in vari livelli, chiarendo di volta in volta ciò che sarà più opportuno. Partiremo prima di tutto dall’ipotesi che un’epoca possa vantare dei muftī[11]. Poi ipotizzeremo che vengano a mancare dei mujtahid[12] indipendenti, ma restino presenti dei trasmettitori che conservino le dottrine delle scuole giuridiche del passato. Quindi immagineremo un’epoca in cui spariscano tutti i trasmettitori affidabili circa le varie opinioni giuridiche delle scuole, ma permangano i tratti generali della Legge e restino noti tra i musulmani almeno i pilastri della religione nel loro complesso. Infine ci addentreremo nel discorso sull’usura della sharī‘a e la cancellazione delle sue basi, per capire se le persone dotate di ragione, in tale ipotesi, dovrebbero ancora sottostare alle obbligazioni divine. I livelli in cui intendiamo articolare questa sezione sono dunque quattro.

 

[Se un’epoca risultasse priva dei fondamenti della sharī‘a]

 

838. Abbiamo considerato il caso in cui scomparisse la conoscenza dei dettagli della sharī‘a, ma restasse vivo il ricordo dei suoi fondamentali. Vogliamo ora esaminare l’ipotesi in cui scompaiano anche i fondamenti della sharī‘a. Diversi dei nostri ulema hanno sostenuto che questo non potrà mai accadere: i fondamenti della sharī‘a rimarrebbero stabili lungo tutto il succedersi delle epoche, fino al giorno in cui sarà dato fiato alla tromba del Giudizio. Per sostenere questa tesi essi si sono appellati alla Parola divina: «In verità Noi abbiamo rivelato l’Ammonimento, e Noi ne siamo i custodi» (Cor. 15,9).

 

839. Ma questa argomentazione non è soddisfacente, perché il versetto in questione parla del Corano e di come esso sia custodito da ogni alterazione e cambiamento, modifica e mutamento. Al contrario ci sono pervenute tradizioni che parlano del ripiegamento della sharī‘a, della cancellazione delle leggi dell’Islam e della scomparsa dei criteri di giudizio, con il restringersi del numero degli ulema. Il Profeta ha detto: «Il sapere si restringerà al punto che due uomini si metteranno a discutere su un precetto e non troveranno chi conosca la norma divina in proposito»[13].

 

840. L’opinione più soddisfacente sembra perciò essere che l’ipotesi di una cancellazione dei fondamenti della sharī‘a sia remota nel breve periodo: se il mondo viene meno ai suoi costumi regolari[14] e se il giorno della Risurrezione si leva tra poco, non c’è bisogno di queste valutazioni. Ma se le cose vanno per le lunghe, non si può escludere che secondo l’ordine delle cose la sharī‘a conosca una progressiva usura, finché venga interamente cancellata. Infatti le realtà religiose e mondane hanno nell’ordine un inizio e una crescita fino a giungere a maturità, ma poi declinano e decrescono fino a scomparire interamente, come se non fossero mai esistite.

 

841. Possiamo anche rappresentarci quello che abbiamo in mente attraverso un’immagine. Supponiamo che un gruppo di persone viva su un’isola in mezzo al mare. Viene a loro l’annuncio [della religione], brilla la prova della profezia, sicché professano l’unicità divina e la profezia. Ma non ricevono alcuna notizia dei fondamenti della Legge e non hanno modo di accedere a degli ulema esperti di sharī‘a. Ora, secondo le dottrine della Gente della Verità [i sunniti], la ragione non sa riconoscere il lecito e l’illecito e non ha modo di apprendere le questioni relative agli obblighi legali.

 

842. Questo principio è tra i più ardui ed è un enigma scivoloso per la maggior parte della gente. Se mi addentrassi nell’argomento, le glosse che dovrei aggiungere si dilaterebbero a dismisura fino a diventare un secondo libro grande quanto questo. Mi accontento quindi di menzionare questo punto di dottrina per bloccare la strada a chi va in cerca dei passaggi più difficili nel gran mare del discorso.

 

843. Ma quello che ci interessa ora è che le persone in oggetto sarebbero tenute soltanto a credere nel monoteismo e nel profeta che è loro inviato, addestrando l’anima a pervenirvi nel futuro, per quanto sarà loro possibile. Con questo non vogliamo negare che la loro ragione li guiderà nelle questioni d’indole naturale ad astenersi dalle cose che conducono alla rovina e a stare lontani delle cause di morte, ma non giudichiamo che la norma divina sia vincolante per la loro ragione.

 

844. Arrivando infine al punto che volevamo dimostrare, affermiamo quindi che se vengono meno i rami della sharī‘a e le sue radici, sicché non resta più un sostegno su cui posare, per i servi finiscono gli obblighi legali e la loro condizione diventa identica a quella di quanti, non avendo ricevuto alcun annuncio, non sono vincolati da alcuna Legge.

 

Brani tratti da al-Juwaynī, al-Ghiyāthī (Ghiyāth al-umam fī iltiyāth al-zulam), a cura di ‘Abd al-‘Azīm al-Dīb, Matba‘at nahdat misr, al-Qāhira 14012 ( = 1981)

(trad. Martino Diez)

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 

Note

[1] La comunità musulmana.
[2] Il ragionamento indipendente, compiuto da dottori della Legge qualificati.
[3] L’espressione significa “gli uomini” in quanto servi di Dio, ma abbiamo preferito mantenere qui, e alla fine del brano, l’immagine contenuta nel termine arabo.
[4] Il supporto in cui si conficca l’albero della macina.
[5] Così è chiamata dalla tradizione islamica la tumultuosa riunione in cui, il giorno della morte di Muhammad, l’8 giugno 632, fu scelto come successore Abū Bakr.
[6] È la tribù a cui apparteneva Muhammad.
[7] Dottore mu‘tazilita di tendenze ascetiche, morto intorno alla seconda decade del IX secolo.
[8] Con Successore s’intende un musulmano della generazione posteriore a Muhammad, mentre un Compagno è un musulmano contemporaneo del Profeta dell’Islam.
[9] L’allusione è agli omayyadi. Nel linguaggio politico islamico il termine “re”, quando non riferito a Dio, indica un governante temporale privo di legittimazione religiosa e con tendenze dispotiche.
[10] In arabo sultān, che designa anche, concretamente, il sultano.
[11] Dottori della legge abilitati a emettere pareri giuridici (fatwe).
[12] Dottori della legge capaci di ragionamento indipendente (ijtihād).
[13] Lo hadīth è citato ad sensum ed è attestato nelle fonti in varie versioni. In quella di al-Tayālisī (m. 819 circa) recita: «Da ‘Abd Allāh Ibn Mas‘ūd. L’Inviato di Dio disse: “Io sono un uomo destinato a morire. Imparate il Corano e insegnatelo alla gente, imparate il sapere [religioso] e insegnatelo alla gente, imparate i precetti e insegnateli alla gente, perché io sono un uomo destinato a morire e anche il sapere si restringerà: compariranno discordie al punto che due si metteranno a discutere su un precetto e non troveranno nessuno che sappia risolvere la loro divergenza”» (cfr. al-Busīrī, Ithāf al-khayra, Kitāb al-farā’id, Bāb al-hathth ‘alā ta‘līm al-farā’id, edizione a cura di Abū ‘Abd al-Rahmān ‘Ādil Ibn Sa‘d e Abū Ishāq al-Sayyid Ibn Mahmūd Ibn Ismā‘īl, vol. 4, Maktabat al-rushd, al-Riyād 1998, nn. 4068-4070, pp. 399-401).
[14] Al-Juwaynī, come tutti gli ash‘ariti, vuole evitare di parlare di “leggi naturali”. Per questo abbiamo tradotto “costumi regolari” e poco sotto “ordine delle cose”.