Per molti politici europei il Cristianesimo è un insieme di “radici” e un’“identità”, è il passato ma non il futuro. Così, però, si secolarizza il Cristianesimo riducendolo a folklore
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:59:25
In Francia, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino al primo decennio del Duemila, il voto dei cattolici praticanti è rimasto stabile: votavano prevalentemente la destra conservatrice e il centro-destra, ma erano sottorappresentati nell’estrema destra. L’episcopato invitava a votare tenendo conto di una visione globale del “bene”, ma lasciava a ognuno il compito di stabilire una gerarchia tra i diversi “beni” (era la visione della Democrazia Cristiana, anche se quest’ultima non ha mai preso piede in Francia come partito politico).
Tutto cambia intorno al 2010. Il tabù contro il voto per il Fronte Nazionale cade, un piccolo gruppo di cattolici militanti, nel 2007, spinge il presidente Sarkozy a difendere un’idea più cristiana della Francia e della società, ma soprattutto La Manif pour Tous (MPT, collettivo di associazioni nato nel 2012 in opposizione alla legge sul matrimonio omosessuale, NdR) porta con sé l’apparizione di un “partito cattolico” che si batte per la difesa dei principi non negoziabili riguardanti la famiglia e la procreazione (si abbandona l’idea di una visione globale del “bene” per concentrarsi su un aspetto specifico, che viene assolutizzato). Inizialmente, la Manif pour tous non si voleva espressione della comunità cattolica ma, nonostante gli sforzi, ha raccolto pochi consensi al di fuori dei cattolici praticanti (a parte qualche psicanalista lacaniano il cui peso elettorale è nullo). Il movimento Sens commun esprime questo passaggio al politico: un “partito cattolico” che gioca su un ricatto elettorale verso i candidati di destra affinché questi si impegnino ad applicare i “principi non negoziabili” (abolizione del matrimonio omosessuale, divieto di procreazione medicalmente assistita, rifiuto della teoria del gender).
Questa strategia elettorale si è rivelata fallimentare. Alle ultime elezioni europee, il capolista dei Républicains François-Xavier Bellamy ha fatto una buona campagna, ma il suo 8,5% è il peggior risultato ottenuto dalla destra conservatrice francese. Occorre innanzitutto rilevare che il peso dei cattolici praticanti in Francia è molto basso (meno del 5% degli elettori); in secondo luogo che la maggior parte dei cattolici praticanti è tornata a votare il centro-destra tradizionale, rappresentato questa volta da La République en Marche (LRM) e, infine, che l’opinione pubblica non è interessata a una “contro-rivoluzione” anti-sessantottina. Rimane, quindi, solo un piccolo nucleo di irriducibili cattolici “osservanti” (secondo l’espressione di Yann Raison du Cleuziou), che danno cioè la priorità ai principi normativi della Chiesa nella loro vita sociale e politica. Al di là di queste considerazioni puramente elettorali, il fallimento della Manif pour tous nel tradursi in politica rivela un cambiamento profondo della società francese, che spinge i cattolici osservanti ai margini della vita politica.
Il fallimento della strategia di lobbying elettorale è strutturale: nessun candidato che desideri essere eletto può impegnarsi nei “principi non negoziabili”, pena la sconfitta. La società francese ha ratificato i nuovi valori emersi dalla rivoluzione antropologica degli anni ’60. La secolarizzazione ha vinto (ciò che ha capito bene Marine Le Pen, che mette la laicità e non il Cristianesimo al centro dell’identità francese).
I valori difesi dalla Manif pour tous sono in linea con l’enciclica Humanae Vitae (luglio 1968), che proclamava il rifiuto esplicito dei nuovi valori del ’68.
Facciamo un piccolo passo indietro. Fino agli anni ’60, i valori dominanti delle società europee erano valori cristiani secolarizzati. L’illuminismo, da Cartesio a Kant, non ha proposto valori diversi, ma un loro diverso fondamento (la Ragione). Ricordiamo che Jules Ferry non ha mai opposto una morale laica a quella cristiana: ha scritto che c’era una sola morale, evidente quanto l’aritmetica. La conseguenza è che, con il Codice napoleonico, il diritto francese (così come gli altri diritti europei) ha ratificato un’antropologia “cristiana” (sulla complementarietà uomo-donna, la procreazione, la famiglia, ecc.). Nel XIX secolo, l’unico conflitto “morale” con la Chiesa ha riguardato il diritto al divorzio, che in Francia ha continuato a fondarsi sulla nozione di “colpa” fino al 1975.
Gli anni ’60 introducono un nuovo paradigma antropologico che, semplificando, pone al centro la libertà dell’individuo desiderante. Questo principio viene pian piano riconosciuto dal diritto: è la destra liberale del presidente Giscard d’Estaing ad avviare la revisione del codice napoleonico. Dopo il diritto all’aborto, tutto ciò sfocia logicamente nel matrimonio omosessuale e nella procreazione medicalmente assistita, provocando una “reazione cattolica” (i protestanti europei scelgono piuttosto di “auto-secolarizzarsi”). Tutti i papi, da Paolo VI a Francesco, richiamano i governanti all’ordine. È Benedetto XVI che ha fatto la lista più dettagliata dei “principi non negoziabili”.
Fondando tutta la loro campagna su questi principi, la Manif pour tous e Sens Commun interpellano l’opinione pubblica e cercano una sponda politica, compiendo una sorta di ricatto elettorale. Il loro obiettivo è una contro-rivoluzione: rimuovere il pensiero sessantottino. È un fallimento totale. Perché?
Come abbiamo detto, nessun politico è pronto a fare campagna a favore dei principi non negoziabili perché i nuovi valori sono entrati nei costumi, anche a destra e tra i populisti.
La sola concessione che i politici possono fare è menzionare “l’identità cristiana”, a condizione che questo non implichi la messa in pratica dei valori cristiani. E quelli di loro che, “a titolo personale”, si dicono contrari all’aborto, si affrettano a dichiarare che non rimetteranno in discussione questo diritto.
È il grande malinteso che inizia con il discorso di Sarkozy al Laterano e termina recentemente con il discorso di Macron su Notre Dame: per la stragrande maggioranza dei politici, uomini e donne, il Cristianesimo è un “patrimonio”, un insieme di “radici” e un’“identità”, mai una fede o un sistema di valori e di norme. Il Cristianesimo è il nostro passato, non il nostro futuro.
I populisti sono figli del ’68, che vogliono ancora godersi la vita, ma solo tra di loro. La destra conservatrice in Europa occidentale non è più cristiana da almeno trent’anni (Berlusconi, Sarkozy, Cameron...).
Non solo il tema dell’identità non è portatore di valori, non solo serve innanzitutto a chiudere la porta ai musulmani, ma l’uso incantatorio che se ne fa contribuisce a secolarizzare il Cristianesimo riducendolo a folklore. L’allestimento di presepi natalizi nei municipi, la collocazione di croci e crocifissi sugli edifici pubblici, il suono delle campane, non produrranno alcun ritorno alla pratica religiosa.
Assistiamo invece a una sempre maggiore esclusione del religioso dallo spazio pubblico: le misure contro l’Islam (la proibizione del velo) fanno sì che gli altri segni religiosi vengano eliminati o relegati nell’ambito della cultura, se non addirittura del folklore (il crocifisso è autorizzato nelle scuole italiane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in quanto “simbolo culturale”).
O si aspetta la “divina sorpresa” (espressione coniata da Maurras in occasione della sconfitta francese del 1940) che consentirebbe di introdurre clandestinamente la contro-rivoluzione (con dure ripercussioni), o si ripiega sull’“opzione Benedetto” (vivere la fede all’interno del proprio gruppo), o si esce da questa battaglia normativa e legalistica che non ha alcuna possibilità di vittoria senza l’adesione dell’opinione pubblica (ricordiamo che negli Stati Uniti gli evangelici hanno una base elettorale solida anche se, nel lungo periodo, commettono sicuramente un errore puntando tutto sul controllo della Corte suprema e sull’applicazione dei loro “valori” con la coercizione giuridica).
La visibilità del “ritorno del religioso” non deve infatti illudere: le vocazioni e le pratiche continuano a diminuire. La volontà di giovani e brillanti intellettuali neo-cattolici di invertire la tendenza è illusoria: combattono i mulini in rovina (il politicamente corretto, il multiculturalismo) e non la mutazione antropologica della società. Si resta su France-culture, Le Monde e Figaro, salmodiando Gramsci a proposito di una nuova egemonia culturale conservatrice che non arriva. Quanto agli scrittori “catto-laici” che, come Houellebecq, dicono di avere nostalgia della Francia cattolica ma si annoiano dopo tre giorni in un monastero, sono l’espressione della loro epoca depressa e non hanno il soffio dei Péguy, Claudel, Mauriac o Bernanos. Il soffio dello spirito, naturalmente.
* Testo della conferenza tenuta presso il Servizio Pastorale di Studio Politico (SPEP), Sainte Clotilde, 27 giugno 2019.
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