Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:18
La società attuale è frammentata, e ancora non si può definire “in crisi”, perché – come spiega Jean Duchesne – la parola crisi implica già la capacità di prendere decisioni collettive. Piuttosto oggi viviamo in una fase di sfida reciproca: i musulmani sfidano i secolaristi, che riterrebbero la religione pura questione privata, e i cristiani che hanno dimenticato il valore della fede come dono per la collettività.
Il XXI secolo è stato definito età post-secolare, le religioni paiono occupare nuovamente uno spazio pubblico. Si trova d’accordo con questa analisi?
Incentrando la mia analisi sulla Francia direi che è ancora prematuro parlare di età post-secolare, il XXI secolo tarda a prendere forma. Da una parte troviamo chi è persuaso che la secolarizzazione sia un fenomeno irreversibile ed ineluttabile. Dall’altra chi ritiene che questa credenza venga contraddetta dalla vitalità delle religioni, soprattutto islamica.
Al momento attuale la società è profondamente frammentata, di una divisione che non è costituita da gruppi differenti, ma interiore a ciascuno, non sapendo decidere tra le molteplici appartenenze (familiare, lavorativa, ecc.).
In che modo il pensiero cristiano può interpretare questo frangente storico? Si tratta di una crisi?
Bisogna intendersi sul concetto di crisi: il vocabolo greco donde deriva significa decidere, giudicare. Attualmente non c’è una crisi perché non si prendono decisioni collettive, si attende una crisi che ci sarà qualora saremo obbligati a decidere. Viviamo un tempo di disagio dovuto all’incertezza e all’indecisione.
La maggior parte delle persone hanno percezioni variegate, causate da un dato positivo: il benessere favorito dalla situazione sociale, tecnica ed economica; si moltiplicano le sollecitazioni esterne, che impediscono l’unificazione del soggetto.
Da almeno 50 anni la Francia e l’Europa non sono più interessate da guerre combattute sui loro territori, ai giovani non è più chiesto di offrire la vita per difendere lo stato. Si acquisisce un’ampia libertà senza avere il campo per esercitarla, manca la crisi perché non c’è l’urgenza di una prova decisiva. Si ritiene che il solo modo per essere liberi sia non impegnarsi liberamente fino in fondo.
A ciò contribuisce anche una differente consapevolezza del tempo, ormai immobile: il passato è ritenuto ostacolo alla libertà, lo si utilizza solo per scopi celebrativi, senza averne coscienza; ma senza sapere donde si viene non si può comprendere verso dove si va.
Quale il contributo alla situazione di «pre-crisi» dalla crescente presenza di musulmani in Europa?
La loro presenza è una sfida. Innanzitutto per i secolaristi, che non prevedono la loro integrazione, ma l’assimilazione: l’appartenenza religiosa sarebbe solo culturale, limitata all’ambito familiare e privato, fino ad una sostanziale scomparsa identitaria, ma questa è un’illusione. L’altro estremo interpretativo è la radicalizzazione.
Si tratta di una sfida per i musulmani stessi, che non hanno mai fatto un’esperienza analoga, nella quale essere minoranza pur godendo di uguali diritti. Non essendosi mai data storicamente manca anche lo strumentario teorico per comprenderla.
Trovandoci al centro di un processo che riguarda parecchi decenni, forse secoli, è impossibile dare linee interpretative. Sappiamo solo che la situazione attuale è instabile, ma non ne conosciamo lo sviluppo.
Anche in Francia, dove predominava l’attenzione alla laicità, a partire dalla «Convenzione cittadina dei musulmani di Francia» del giugno 2014 lo scopo ora è la convivenza; pur avendo chiaro l’obiettivo rimangono da cercare i mezzi per conseguirlo.
In quale modo l’incontro tra musulmani e cristiani può servire reciprocamente circa le modalità di vivere la vita religiosa e il rapporto con la società?
I cristiani hanno da imparare riguardo l’individualizzazione della fede, che li ha interessati nell’ultimo secolo: la fede è percepita dal singolo come una scelta, non come un dono ricevuto con la vita, dalla famiglia e innanzitutto da Dio. Al contrario l’Islam conserva la consapevolezza diffusa, e non solo a livello di speculazione teologica, del fatto che la fede sia un dato, un dono cui la decisione consegue come risposta.
Un altro aspetto riguarda la traduzione nell’ambito sociale e politico della distinzione fra spirituale e temporale: parte dei cattolici ha ancora nostalgia della civiltà cristiana, senza comprendere che la società secolarizzata è culturalmente segnata dal Cristianesimo. Infatti, si può comprendere la secolarizzazione solo a partire dalla nozione di secolo, sviluppata nell’occidente latino. Il cristiano, in virtù della differenza tra gli ordini (spirituale e temporale) dovrebbe saper dare valore a ciascuno di essi, senza ritenerli incompatibili.
A proposito dell’Islam è difficile dire, perché la risposta non può essere data da un osservatore esterno. Ragionando per analogia pensiamo al tema della fedeltà al proprio credo nel confronto con una situazione del tutto inedita. Per esempio con ciò che avvenne in Francia nel 1892: Leone XIII, proprio per difendere la distinzione degli ordini, chiede ai francesi di «riallinearsi» alla Repubblica. Ribadiamolo, si tratta di un’analogia, per cui nella tradizione cristiana si può fare riferimento alla distinzione per giungere all’accettazione della pluralità. I musulmani potranno fare riferimento a categorie teologiche che caratterizzano la loro tradizione.