Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:41:43
Quando sono cominciate le rivolte in Tunisia e Egitto nell’inverno 2010-2011, in entrambi i paesi ci si è chiesti con ansia se i movimenti popolari fossero ispirati alle ideologie islamiste. La rivoluzione iraniana del 1979 era impressa nella mente di molte persone che temevano di vedere gli Stati arabi autoritari di Tunisia ed Egitto, due alleati dell’Occidente liberale e secolare, trasformarsi in repubbliche islamiche. La risposta più frequente a queste domande è stata che le rivoluzioni tunisina ed egiziana non erano “rivoluzioni islamiche”. Infatti, le rivolte non recavano il marchio delle ideologie islamiste: non vi erano slogan relativi all’Islam o a uno Stato islamico. Piuttosto, i manifestanti chiedevano lavoro, giustizia, dignità e un cambio di regime. In entrambi i Paesi, i manifestanti chiedevano l’istituzione di un’assemblea costituente che avrebbe rimodellato radicalmente il loro sistema politico. Il desiderio di cambiamento ha fatto sembrare irrilevanti le vecchie divisioni politiche in Tunisia ed Egitto. I tunisini e gli egiziani di tutte le appartenenze politiche e religiose erano uniti contro i loro regimi, per lo meno fino alla partenza dei loro Presidenti. Hanno manifestato in qualità di cittadini e non come parti di specifici gruppi politici.
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Questo momento eccezionale ed effimero, in cui tutte le divisioni politiche sembrano scomparire, rimane comunque altamente politico: rappresenta l’inclusione di tutte le persone nell’arena politica.
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Durante questo periodo rivoluzionario il futuro non è rappresentato necessariamente come “islamico” o “secolare”. Semplicemente è visto come riconfigurabile, perché l’improvvisa assenza di politiche istituzionalizzate apre a cambi radicali, permettendo una rottura totale con il passato.
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Se la rivoluzione si protrarrà – come legittimazione delle politiche presenti e future – questo avverrà in nuove forme istituzionalizzate che fanno della “democrazia fugace” una cosa del passato. Questo passaggio dalla democrazia fugace alla politica quotidiana istituzionalizzata è illustrato dal nuovo slogan scandito durante le manifestazioni nella Qasbah di Tunisi dopo il 14 gennaio 2011, finché non è stato formato il terzo governo ad interim: «Il popolo vuole la caduta del governo» (al-sha‘b yurȋdu isqât al-hukûma), dove “regime” è sostituito con “governo”.
Infatti, subito dopo le rivoluzioni che hanno portato la sostituzione dei capi del regime tunisino e egiziano con governi ad interim, le istituzioni – e con esse i criteri che escludono taluni partecipanti - hanno costituito nuovamente il quadro per le attività politiche tunisine: le vecchie divisioni sono ricomparse e ne sono emerse di nuove. La società sembrava di nuovo divisa tra i vecchi blocchi politici: distinzioni politiche, distinzioni regionali, reti famigliari e addirittura le affiliazioni tribali, che dall’indipendenza non erano più una categoria politica definita ma venivano usate come strumento di controllo politico, sono emerse come basi di chiare differenze politiche.
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Il testo integrale dell'intervento sarà disponibile sul prossimo numero della rivista Oasis