Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:07:24
[Estratto dell'e-book Europa e Islam: attualità di una relazione]
Le sfide che l’Europa sta affrontando non si esauriranno nel breve tempo, né saranno affrontabili con misure chirurgiche, o affidandosi a un nuovo modello per ora non all’orizzonte. Si tratta di sfide sistemiche, che mettono a nudo le fragilità quanto le potenzialità non solo delle istituzioni, ma della società europea nel suo insieme.
Basti un esempio. Ormai è arcinoto che il cosiddetto
Stato Islamico ha alimentato le proprie forze militari in Medioriente e Nordafrica ingaggiando milizie di disperati, pagandoli con l’abbondante liquidità che è riuscito a procacciarsi proprio mettendo le mani su vaste porzioni di Siria, Iraq e Libia. È dunque fatto di mercenari prima che di volenterosi martiri.
Quando finiranno i soldi, al-Baghdadi perderà molte delle sue truppe. In Europa, la storia è diversa. Chi ha ucciso a Parigi, Bruxelles o Nizza, tanto per citare alcuni degli episodi più clamorosi, non lo ha fatto per denaro. I cosiddetti “kamikaze”, che formano l’assoluta prevalenza delle forze terroristiche sul suolo europeo, sono davvero votati alla causa. Chiudere i rubinetti a Isis non li fermerà. La guerra sul suolo europeo è destinata dunque a durare persino più a lungo di quella per Raqqa, la capitale dello Stato Islamico.
La relazione tra Europa e mondo islamico segnerà dunque a lungo la sfera pubblica europea. Essa, del resto, si è già andata caricando di criticità nelle ultime decadi. Dal crollo del blocco filo-americano e di quello filo-sovietico alla fase post-Primavera araba, sono ben poche le aree a essersi stabilizzate e con le quali i Paesi europei intrattengono rapporti cordiali. Le uniche relazioni che non hanno apparentemente vissuto bruschi cambiamenti sono quelle con i Paesi che hanno subito meno mutamenti, nei quali i regimi non sono stati rovesciati o che non sono stati toccati dalla Primavera araba. Il risultato complessivo sembra essere una serie di legami consolidati con i Paesi meno critici ma anche, in alcuni casi, più estranei ai processi di modernizzazione, mentre sono evidenti le difficoltà d’intervento e prima ancora di comprensione degli scenari più problematici ma anche più dinamici, soprattutto in Medioriente e nell’Africa subsahariana, rispetto ai quali gli interventi dei Paesi europei si sono dimostrati piuttosto miopi.
Negli ultimi cinque anni, il mondo non ha visto soltanto il
fragile avvio della democrazia tunisina; ha anche assistito alla
ri-militarizzazione di Paesi come l’Egitto; al
caos libico; alla trasformazione di
Siria e Iraq in zone di guerra che coinvolgono regimi autoritari, democrazie in difficile avvio, milizie islamiche più o meno organizzate e gruppi di minoranze liberali; alla trasformazione di
Libano e Giordania in zone cuscinetto al rischio di collasso; alla
ricollocazione della Turchia, determinata a perseguire una politica difficilmente decifrabile e sempre più lontana dall’orbita europea, accanto alle
potenze finanziarie del Golfo, coinvolte anche nello scenario yemenita. Il contributo di
Paolo Maggiolini illumina esattamente queste dinamiche e propone delle chiavi di lettura, tentando di anticipare quanto ci attende.
I Paesi europei, però, non sono stati semplici attori passivi dei teatri bellici e politici che catturano l’attenzione mondiale: essi
hanno significative responsabilità in alcune aree (come quella libica) e hanno mostrato una
profonda incapacità nel coordinare i propri sforzi nel Medio Oriente, sul quale muove ora con ampia libertà la Russia. A un livello ancor più profondo, in vaste aree del mondo arabo sono scomparse, nei fatti, le medesime linee di demarcazione generate nel periodo coloniale: non è dunque così strano che siano venuti a mancare alcuni preziosi punti di riferimento. Complessivamente, il rapporto tra il Vecchio continente e il Medioriente ha maturato nuove linee di frattura, ramificandosi in una serie di crisi rispetto alle quali la sfera europea ha segnato il passo, se non visto un vero e proprio stallo.
L’attenzione dell’Europa, incapace d’influenzare positivamente processi politico-istituzionali ad ampio raggio, è ripiegata largamente sulle proprie frontiere, e non senza motivo: mentre l’area mediterranea è impegnata ormai da anni a salvare e organizzare l’arrivo di disperati attraverso le rotte marine, i mesi invernali vedono aumentare le colonne umane in uscita dal Medio Oriente per entrare nel cuore dell’Europa, lungo un percorso nel quale incontrano ostilità, ospitalità, tolleranza o comprensione, secondo il momento o la frontiera che tentano di attraversare. Sentimenti che poi riecheggiano nella politica nazionale ed europea, incrementando la distanza tra i Paesi e scoraggiando, paradossalmente, la coordinazione degli sforzi e il potenziale contributo delle istituzioni paneuropee. (…)