La passione di Gilles Kepel per il mondo arabo raccontata attraverso le "passioni" che questo mondo sta attraversando
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:28
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Recensione di Gilles Kepel, Passion arabe. Journal, 2011-2013, Gallimard, Paris 2013
Passion arabe, l’ultimo libro di Gilles Kepel, professore a Sciences-Po e membro dell’Institut Universitaire de France, non è l’ennesimo trattato sulle rivoluzioni arabe, né un reportage in senso prettamente giornalistico, ma piuttosto un appassionato diario di viaggio in cui l’autore traduce le sue impressioni, colte dal vivo, lungo le tappe che lo portano dalla Tunisia all’Egitto e dallo Yemen al Bahrein, in un arco temporale che va dalla primavera del 2011 all’autunno del 2012.
Il titolo rende alla perfezione il tenore di questo diario, in cui i ricordi personali dell’autore – dal primo viaggio di studio in Siria negli anni ’70 alle più recenti esperienze accademiche – si mescolano con l’infuocata realtà che balza agli occhi, in tutte le sue contraddizioni, violenze, speranze, paure; la passione evocata è così, a un tempo, quella dell’autore per il mondo arabo che studia ormai da quattro decenni, e quella, in senso cristico, di queste popolazioni dilaniate da fame e guerre.
In quest’opera Kepel utilizza, intrecciandoli, registri diversi: flashback, digressioni e narrazioni di sapore squisitamente letterario, inframmezzano il resoconto di stampo giornalistico dei suoi incontri con salafiti, Fratelli musulmani, copti, militari, contadini, laici e liberali, in cui si innestano a loro volta analisi politiche dal tenore più scientifico e accademico, come quelle relative alle ragioni dell’ascesa degli islamisti. Un fenomeno che del resto era al centro degli interessi dell’autore sin dal suo primo libro, Le Prophète et Pharaon (1984), in cui si era occupato, trent’anni prima che salissero al potere, degli studenti islamisti nell’Egitto di Sadat.
Ma ciò che rende Passion arabe veramente interessante non è tanto l’aspetto analitico, per quanto prezioso, ma piuttosto il suggestivo susseguirsi di incontri programmati e fortuiti che l’autore racconta con dovizia di particolari, restituendone l’atmosfera non solo attraverso le parole dei suoi interlocutori, ma anche con la descrizione del loro aspetto e abbigliamento, dei loro modi e degli ambienti, e dai quali è possibile trarre lezioni più efficaci che da un manuale. Il problema dell’informazione manipolata, ad esempio, è mirabilmente sintetizzato nell’episodio del bambino incontrato a Gournah il quale, costretto a lasciare gli studi e a lavorare per la sua famiglia, impoveritasi a causa dell’assenza di turisti in seguito all’11 settembre, descrive quanto accaduto quel giorno in America basandosi su ciò che ne ha appreso a scuola, ovvero che «ebrei e cristiani hanno ucciso migliaia di musulmani in alcune torri a New York» (p. 78).
L’estremismo salafita è ben simboleggiato dal meeting tenuto a Luxor dai fratelli Tareq e Abboud al-Zomor, appena liberati dal carcere in cui erano stati rinchiusi per il loro coinvolgimento nell’assassinio di Sadat, i quali riuniscono i loro seguaci presso il tempio di Hatchepsut, dove nel 1997 erano state uccise decine di turisti. Il sentore del “doppio discorso” dei Fratelli musulmani, racchiuso nell’ambigua espressione dawla madaniyya (stato civico), a significare che lo Stato non sarà teocratico, ma neppure laico, e dietro cui si cela, secondo laici e liberali, il proposito di anestetizzare i loro avversari per preparare l’instaurazione dello Stato islamico, ben si riflette nelle parole del tassista incontrato in Tunisia che, nel commentare l’affermazione di Ghannouchi secondo cui an-Nahda non intende legiferare sull’abbigliamento femminile, esclama, con l’aria di chi la sa più lunga: «È per non spaventare gli stranieri, ma gradualmente si farà!» (p.103).
Ne viene fuori un libro ritmato e vivo, che abilmente innesta gli episodi raccontati su uno sfondo geopolitico dei più complessi, dominato dal combattimento «della tigre e dell’elefante tra il gas qatarino e il petrolio saudita» (p. 305), con il Qatar che finanzia i Fratelli musulmani e l’Arabia Saudita i salafiti, contendendosi il primato sunnita contro le ambizioni dell’Iran sciita e della Turchia.