La rivoluzione che in Sudan ha rovesciato il presidente Omar al-Bashir, per trent’anni alla guida del Paese, ha avuto anche dei risvolti musicali. Chi sono i cantanti che hanno dato voce alla protesta
Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:11:34
Abbiamo già ricordato nella puntata dedicata a Mohammed Wardi quanto il Sudan sia, musicalmente parlando, una miniera inesauribile. Ciò non vale solo per i cosiddetti anni d’oro del passato, ma anche per la più recente rivoluzione ancora in corso.
Quest’abbondanza ci permette oggi di ragionare su due aspetti fondamentali del fenomeno delle proteste arabe (e non solo): la forza dell’estetica rivoluzionaria e il ruolo della diaspora artistica (nel nostro caso, musicale) nell’internazionalizzare la protesta. Due elementi che, oggettivamente, amplificano l’impatto di una qualsiasi rivoluzione.
Estetica rivoluzionaria
I vari movimenti di protesta e di rivolta sudanesi sono stati particolarmente “fotogenici” e hanno suscitato un’eco internazionale anche grazie alle loro potenti manifestazioni femminili, confermando quanto il topos della “bella rivoluzionaria” attiri, soprattutto se la donna che si ribella è “insospettabile” (leggasi: nera e velata) per una certa forma mentis “occidentale”.
Allo stesso modo, le rivoluzioni sudanesi sono state eminentemente “vocali”: cori, mantra, discorsi, poesie e ovviamente, musica. Negli ultimi anni sono state prodotte decine e decine di canzoni di protesta, dal rap, al pop, al super-pop; da canzoni con milioni di visualizzazioni a brani sottotitolati o nel linguaggio dei segni; dall’afrobeat alle tantissime voci femminili più o meno conosciute. Si è addirittura parlato di una nuova frontiera della musica sudanese che rispecchia fedelmente l’eterogeneità del tessuto sociale.
Insomma, un panorama musicale che ha facilitato la diffusione del suo messaggio anche al di là dei confini nazionali, a conferma che l’estetica rivoluzionaria (araba e non) piace, e quella musicale è una delle sue espressioni più efficaci.
Diaspora rivoluzionaria
L’altro elemento chiave della musica (rivoluzionaria e non) sudanese è la sua diaspora. Da quando sono iniziate le rivolte del 2019, la solidarietà artistica sudanese non si è mai fermata. La maggior parte dei cantanti della diaspora ha sfornato canzoni prima contro l’ex-presidente al-Bashir e poi contro lo stallo politico in cui tutt’ora si trova il Paese. Alcuni nomi? I famosi Alsarah & The Nubatones, la talentuosa Rasha, il rapper Ramey Dawoud con la canzone per il cugino ucciso durante le proteste, l’attivista e musicista Flippter, l melodie “contemporanea” di Sinkane e, meno esplicitamente, pure le sonorità mistiche dell’italo-sudanese Amira Kheir (senza menzionare artisti di altre nazionalità, come Ramy Essam, protagonista della prima puntata di T-arab, che alle proteste in Sudan ha dedicato una canzone).
Altri cantanti si sono recati fisicamente in Sudan per aggiungere la propria voce (famosa) alla protesta. L’esempio più lampante è il rapper sudanese Ayman Mao, residente negli Stati Uniti: qui lo si vede nel centro di Khartoum, mentre canta i suoi brani in una piazza che poche settimane dopo diventerà teatro di scontri in cui perderanno la vita 128 persone.
Non è stato il solo: molti musicisti che avevano dovuto o preferito lasciare il Sudan, magari dopo che le loro canzoni erano state vietate, sono tornati durante il periodo delle proteste o poco dopo. È questo il caso del gruppo Hip-Hop Nas Jota, esibitosi in Sudan dopo anni di assenza, insieme a diversi altri artisti, per “celebrare il cambiamento”.
Una dinamica, quella dell’artista rimpatriato, che avevamo già osservato qualche decennio prima proprio con il celebre Mohammed Wardi, e che mostra chiaramente l’influenza, anche indiretta, delle voci della diaspora sul Paese di origine.
In un “villaggio globale”, il grado di internazionalizzazione di una rivolta o di una rivoluzione è un elemento da non sottovalutare, che spiega come mai, cercando rapidamente su internet (in italiano o in inglese) canzoni di protesta sudanese, i primi risultati sono spesso canzoni della diaspora e non canzoni più “popolari” in Sudan ma completamente inaccessibili al mondo non arabofono. Sarà stata una di queste canzoni “accessibili” che ha spinto Rihanna a twittare il suo famoso sostegno al Sudan?
Segui la playlist di T-Arab su Spotify: esplora i brani degli episodi passati e scopri quelli in arrivo
Sempre quest’internazionalizzazione spiega iniziative di solidarietà come Artists for Sudan oppure A Colors Sudan Show. Quest’ultima recita: «Concentrandosi sul Sudan, il progetto mostra la musica della nazione dell’Africa nord-orientale e della sua diaspora come mezzo attraverso il quale sensibilizzare sulla situazione politica del paese […] Il progetto trasmette lo spirito creativo della campagna di protesta contro il governo autocratico del presidente Omar Al Bashir e il regime militare che gli è succeduto, sottolineando come la musica, la poesia e l’arte siano centrali per l’energia culturale al centro del movimento».
Seguono tre video perfettamente accessibili a un pubblico non arabofono, con tanto di sottotitoli, contenuti extra e presentazione degli artisti in inglese.
Uno degli “artisti della diaspora” che ha partecipato a questo progetto, e di cui vi parliamo oggi, è Sammany Hajo. Residente in Qatar, e poco convinto del suo impatto da espatriato, ha composto Sudan Revolts e si è ritrovato a sua sorpresa a esser definito «La voce dietro la traccia rivoluzionaria del Sudan». Benché abbia lavorato su molto altro (musicalmente più interessante e sperimentale), è famoso per la sua Matalib (“Richieste”), che è la quintessenza di quanto detto finora: un artista della diaspora, una canzone di protesta (senza dubbio semplice e orecchiabile), metà in arabo (con versi del poeta Umar Mustafa Abu Minna) e metà in inglese, accessibile a tutti, esteticamente curatissima e su cui si trovano numerosi articoli in inglese con approfondimenti sulle rivolte.
Vale meno perché non viene dal cuore di Khartoum oppure vale di più, perché ha raggiunto e sensibilizzato qualche milione di persone? È un’azione concreta ed encomiabile volta a dare un contributo artistico personale dall’estero o si tratta di una mera appropriazione dell’estetica e della retorica rivoluzionaria per far successo? Questioni interessanti, a cui non è semplice rispondere, ma sulle quali vale la pena riflettere.
Buon tarab!
Canzone: Matalib
Artista: Sammany Hajo
Data di uscita: 2019
Nazionalità: Sudan
Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.
Qui tutte le precedenti puntate.
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Non torno indietro, ho delle richieste!
Non torno indietro, ho delle richieste!
Dateci un governo civile
E il sangue degli islamisti[1] che hanno ucciso gli studenti[2]
La gente sta ritta in piedi davanti alle canne dei fucili
I rivoluzionari gridano: «Non torneremo indietro»
Le nostre ragazze, sempre in prima linea a ogni corteo
Rivoluzionari! Liberi! Non ci pieghiamo all’autorità militare![3]
[in inglese]
È molto semplice tutto ciò che vogliamo è libertà, nessuna violenza né brutalità.
Combattiamo insieme, marciamo insieme, per far del nostro sogno realtà
È molto semplice: tutto ciò che vogliamo è giustizia, nessuna violenza né brutalità.
Combattiamo insieme e marciamo insieme, per la pace e l’uguaglianza.
Non torno indietro, ho delle richieste!
Non torno indietro, ho delle richieste!
Dateci un governo civile
E il sangue dei collaborazionisti che hanno ucciso gli studenti
Civili!
Pacifiche!
Richieste!
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ما راجع أنا ليّ مطالب
ما راجع أنا ليّ مطالب
جيبوا حكومة الحكم المدني
ودم الكوز اللي قتل الطالب
الناس مرقوا وقفوا في وش المدفع
ثوار هتفوا قالوا نحنا ما بنرجع
بناتنا قدّام في كل موكب يطلع
ثوار أحرار لحكم العسكر ما بنخضع
It’s really simple all we want is freedom, no violence and brutality
We fight together and we march together, to make our dream a reality
It’s really simple all we want is justice, no violence and brutality
We fight together and we march together, for peace and equality
ما راجع أنا ليّ مطالب
ما راجع أنا ليّ مطالب
جيبوا حكومة الحكم المدني
ودم الكوز اللي قتل الطالب
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