Chi sono i musulmani europei che vorrebbero vivere come ai tempi del Profeta

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:55:52

I salafiti in Europa sono una presenza in crescita o comunque sempre più visibile, combattuti tra la volontà di pesare sul corso dell’Islam – attraverso l’azione umanitaria, la predicazione, l’attivismo online – e il desiderio di isolarsi da una società che disprezzano moralmente. Mohamed-Ali Adraoui, Visiting Senior Research Fellow alla National University di Singapore ed esperto di salafismo, ci spiega chi sono questi musulmani europei che vorrebbero vivere come ai tempi del Profeta.

 

Intervista a cura della redazione di Oasis

 

Il salafismo è in crescita in diverse regioni del mondo, tra cui l’Europa. È d’accordo con questa affermazione? Se sì, quali sono le cause di questo successo?

 

«Il discorso salafita si presenta come chiaro e autentico, e si colloca chiaramente all’interno di una genealogia prestigiosa. Nello spirito dei suoi seguaci, identificarsi nel salafismo significa far rivivere l’Islam delle origini. Oggi praticamente nessun’altra corrente all’interno dell’Islam pone tanta enfasi sul desiderio di imitare e riprodurre il credo, la pratica e il modello di relazioni sociali che si pensa fossero diffusi nei primi secoli dell’Islam. La bellezza, o se si vuole l’estetica salafita, sono di gran lunga preponderanti. A questo bisogna aggiungere l’efficacia della predicazione. Le argomentazioni utilizzate producono infatti un effetto di verità nella mente delle persone, che spiegano di aver abbracciato l’etica salafita perché convinte da una forma di razionalità religiosa. I Salaf [le prime tre generazioni di musulmani, NdR] hanno cercato di riprodurre lo stile di vita del Profeta. Oggi, tale stile può essere ricavato dai testi. Si tratta semplicemente di riprodurlo ed essere abbastanza forti da non prestare attenzione a quello che i propri contemporanei potrebbero dire. L’immaginario culturale e geografico inoltre è essenziale. Il fatto che oggi i chierici di questa corrente siano spesso legati all’Arabia Saudita dà sostanza e consistenza alle tesi salafite. Aderire a questa visione significa in parte volgersi verso il Golfo, verso una regione del mondo centrale nella storia dell’Islam. Non si tratta di guardare a un “piccolo” Stato ma all’Arabia Saudita, la cui presenza dei luoghi sacri dell’Islam e l’influenza religiosa e politica contribuiscono a rafforzare l’idea che questo Paese sia l’erede delle prime società musulmane. In sintesi, aderire a un immaginario salafita (anche se sarebbe necessario definire i tratti di questa religiosità che presenta in realtà diverse forme) significa assumere un quadro mentale e morale preciso che darà un senso a ogni singola azione della vita dell’essere umano. Il salafismo contribuisce a ridurre i dubbi dell’esistenza e propone di strutturare la vita dalla nascita alla morte, perché il credente possa ottenere l’approvazione divina e dunque guadagnare il diritto al paradiso».   

 

Quanto il sostegno economico dell’Arabia Saudita pesa oggi nella diffusione del salafismo e quanto invece il salafismo è di per sé attrattivo?

 

«L’influenza del salafismo non si spiega in prima analisi con il sostegno finanziario delle autorità saudite alle comunità musulmane in Europa. Il fatto di identificarsi in questa corrente è innanzitutto una questione di adesione personale. Basta guardare la differenza negli investimenti finanziari e religiosi tra un Paese come il Pakistan e la Francia. Direi piuttosto che sono i salafiti francesi a fare il primo passo e non l’Arabia Saudita che, il più delle volte, è restia a rilasciare i visti ai salafiti francesi che vogliono compiere la loro hijra (migrazione salutare per proteggersi dallo stile di vita occidentale) nel Paese dei luoghi santi. Non ripeteremo mai abbastanza che i meccanismi principali che favoriscono l’identificazione con il salafismo (emarginazione psicologica e sociale, assenza di trasmissione religiosa intergenerazionale, Islam come narrativa di opposizione…) si trovano all’interno della stessa società francese.

 

Molti rifugiati e migranti economici che raggiungono l’Europa sono musulmani. I salafiti europei hanno sviluppato azioni specifiche per accoglierli, specialmente i rifugiati siriani, e avvicinarli alla loro particolare visione dell’Islam? E se sì, lo hanno fatto con successo?

 

«Sì, ci sono esempi di associazioni umanitarie la cui azione è chiaramente volta al soccorso e all’assistenza dei correligionari musulmani. La più famosa in Francia è Baraka City, ma anche in Germania, Belgio e Regno Unito ci sono organizzazioni che tentano di coniugare ortodossia religiosa e azione umanitaria. La loro azione ha inoltre come obiettivo quello di attirare l’attenzione sul destino delle comunità musulmane che soffrono nel mondo, come i Rohingya in Birmania. La pratica religiosa perciò non è più l’unico vettore di influenza; anche l’azione umanitaria è diventata un campo importante di visibilità per certe correnti religiose».

 

Come riescono a reclutare i salafiti, soprattutto tra i giovani?

 

«Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, i salafiti non cercano di reclutare nessuno, o almeno non nel senso che diamo noi a questo termine. La loro logica tende spiccatamente alla predicazione e al proselitismo ma si tratta di un proselitismo elitario. Il loro approccio rimanda a un’etica della convinzione, si tratta di vincere la battaglia delle idee sul piano religioso, la disputatio. La visione che cercano di proporre, che sia a livello dell’imam-predicatore o dell’adepto comune, è razionale e legale nel senso di Max Weber. Le loro argomentazioni deriverebbero dalla stretta osservanza delle fonti scritturali dell’Islam (il Corano e la Sunna principalmente). La conversione di un non-salafita al salafismo è interpretata come prova della superiorità di questa corrente, migliore delle altre perché fondata presumibilmente sul ritorno alle fonti dell’Islam. In questo, i salafiti mostrano indubbiamente un’immagine di fedeltà a quelli che alcuni presentano come i primi tempi dell’Islam: abbigliamento, modo di esprimersi, desiderio di vivere in Paesi a maggioranza musulmana… Con il suo modo di vivere il salafita suscita delle vocazioni. Il salafita è in rottura con una società che disprezza dal punto di vista morale, ciò che può generare un effetto di prestigio e una particolare strutturazione del senso dell’esistenza e della vita in epoca moderna in chi s’interroga sul proprio ruolo nella società».

 

I salafiti europei stanno sviluppando una sorta di struttura sociale parallela sul modello dei movimenti islamisti in Medio Oriente?

 

«Sì e no. C’è chiaramente un progetto di costruire delle società con valori e norme alternative, così come molto spesso c’è il desiderio di sottrarsi al salariato classico per accedere alle carriere di commerciante e imprenditore. Il successo economico e mondano è reputato prestigioso nel salafismo: Dio ha stabilito nella pratica di un capitalismo moralizzato secondo i precetti islamici la fonte di una grande ricchezza materiale (valorizzata nel salafismo) e dell’elezione dopo la morte. L’ascesa sociale è interpretata in maniera relativamente simile alle sette protestanti olandesi del XVII secolo studiate da Max Weber. La ricerca di rottura si osserva anche nel desiderio di vivere tra simili, di sposarsi per esempio con un uomo o una donna che condivida le stesse visioni religiose, in modo da rendere perenne il sentimento di elezione che accompagna la carriera religiosa salafita. Tuttavia questo stile di vita non è necessariamente esclusivo di queste comunità. Altri gruppi musulmani ma anche comunità di altre religioni hanno molto in comune con i salafiti. È interessante notare come nella maggior parte dei casi, ancora oggi, dopo anni di presenza in Europa e di cambiamenti importanti nel mondo arabo, sia raro vedere fenomeni di politicizzazione cosciente nelle comunità salafite. Non si può ancora parlare di un movimento organizzato capace di incidere nel dibattito pubblico e interagire con il resto della società sul modello, per esempio, delle associazioni legate ai Fratelli musulmani. Ciò non significa che le cose non cambieranno ma per il momento si ha l’impressione che i salafiti, nella maggior parte dei contesti sociali in cui vivono, siano scissi tra il desiderio di incidere sul corso dell’Islam attraverso la predicazione e il desiderio di proteggersi dal resto della società, ciò che può portarli addirittura ad abbandonarla fisicamente con la hijra, la migrazione salutare che consente loro di raggiungere la terra dell’Islam».

 

Chi sono i più influenti predicatori salafiti in Europa? Quanto sono profondi i loro legami con i salafiti dei Paesi musulmani di origine?

 

«I principali riferimenti religiosi delle comunità salafite europee sono i predicatori del mondo musulmano, benché nel Continente si stiano affermandosi sempre più figure autoctone. In Germania, in Francia, nei Paesi Bassi e in altri Paesi sono emerse figure, spesso giovani imam, capaci di parlare anzitutto ai correligionari europei in quanto essi stessi salafiti europei. Il web è lo strumento di influenza principale perciò è difficile misurare la popolarità reale di questi predicatori molti dei quali, peraltro, non si appellano neppure al salafismo ma si dichiarano sunniti. Ciò è dovuto alla volontà di non attirare inutilmente l’attenzione su di sé e al contempo ampliare il pubblico, prendendo le distanze da inutili dibattiti sugli appellativi degli uni e degli altri».

 

Quali sono i Paesi europei con una maggiore presenza di salafiti?

 

«L’influenza esercitata dalle comunità salafite è correlata alla dimensione demografica delle comunità musulmane in un dato Paese. La Francia per esempio ha comunità salafite formate da diverse migliaia di persone, ma è anche uno dei principali Paesi dell’Europa occidentale in termini di popolazione musulmana. Anche il Belgio, i Paesi Bassi, la Spagna e la Germania sono spesso citati, anche se in misura minore, per aver visto crescere il salafismo negli ultimi anni. Il Regno Unito è un caso interessante: le correnti fondamentaliste più popolari non sono propriamente salafite ma sono perlopiù legate al Tabligh, a certe Jama‘at originarie del Pakistan o dell’India, o ancora al grande partito islamista Hizb al-Tahrir».

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

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