Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:07:26
La commissione permanente dell’episcopato francese ha da poco pubblicato un documento dalle ripercussioni inaspettate in un momento in cui la Francia si sta preparando alle elezioni presidenziali e legislative previste in primavera.
La constatazione iniziale è il cosiddetto
“disincanto del politico”: i cittadini hanno la percezione che, chiunque sia eletto non sarà capace di risolvere i problemi che affliggono la maggior parte delle persone, né di ripristinare l’unità nazionale e la fiducia nel futuro. L’analisi proposta vuole fare luce sulle ragioni di questo disincanto: le ambizioni personali e la difesa di interessi settoriali eclissano il perseguimento del bene comune, le promesse fatte durante la campagna elettorale non sono mantenute e
la “cultura del dialogo sembra cedere il passo a quella dello scontro”. Questo meccanismo fa sì che si cerchi rifugio in maniera difensiva e talvolta aggressiva in
identità specifiche (etniche, locali, religiose, ideologiche). Secondo i vescovi, questa frammentazione sociale traduce una
rottura del “contratto sociale”: il governo e lo Stato non mantengono più i loro impegni al punto tale che i cittadini si prendono tutte le libertà possibili, sapendo che l’uguaglianza non è altro che un sogno e la fratellanza può essere vissuta solamente all’interno di piccole comunità.
Ecco l’ideale repubblicano gettato nella pattumiera della storia.
I responsabili dell’episcopato francese cercano di dimostrare che
è impossibile rassegnarsi al disfacimento di una nazione che, come tante altre, è sempre stata terra di accoglienza. Innanzitutto, ritengono che il fatto di compiacersi in una stagnazione disillusa è ingiustificabile visto che gli esempi di generosità e solidarietà non mancano. Il problema è conciliare le legittime differenze culturali e integrarle in un insieme a livello geografico e storico. Lo dicono in un modo abbastanza bello:
“Più che di armature, ai nostri contemporanei occorre una struttura per vivere nel mondo di oggi”.
Per ricostruire questa struttura, suggeriscono di
ridare alla politica una dimensione che vada oltre la gestione tecnica nel breve termine, interrogandosi sul senso della vita, su che cosa sia l’uomo come persona ed essere sociale, sullo stato del mondo al di là degli orizzonti immediati, dei confini e dello stesso continente europeo, ovvero elevando il livello del discorso pubblico oltre le manovre di seduzione e i tentativi d’intimidazione. In questa prospettiva,
la laicità è presentata come “il quadro giuridico che deve consentire a tutti, credenti di tutte le religioni e non credenti, di vivere insieme”. Oggi, le sfide ecologiche e ambientali incitano a “vivere diversamente”, nella “semplicità, nella sobrietà e nella condivisione”.
Questo discorso non è stato accolto male benché se non sia stato risparmiato dalle critiche. I vescovi si dichiarano peraltro consapevoli del fatto che “tra l’esasperazione di coloro che [...] si disinteressano della vita pubblica e coloro che [...] vogliono rovesciare la situazione [...], il margine di manovra è sempre più ristretto per re-legittimare il discorso pubblico”. Di fatto i vescovi lodano l’impegno come assunzione di responsabilità ma
non offrono alcuna soluzione sotto forma di garanzia o squalifica di un movimento o partito. Ciò delude ovviamente i cattolici che, in nome della loro fede, da qualche anno si sono impegnati in battaglie politiche, in particolare a difesa del matrimonio, della famiglia e dei diritti del nascituro.
Il problema perciò non è sapere se in un periodo di incertezze acuite da scadenze elettorali questa lettera aperta ponga le domande giuste. Si tratta piuttosto di sapere se qualcuno troverà i mezzi per rispondervi. Puntando il dito sui problemi, la Chiesa avrà quanto meno dimostrato di rimanere, in Francia, non un potere ma la voce irreprensibile e insostituibile della coscienza.