Da quasi trenta anni il Gruppo di ricerca islamo-cristiano è protagonista del dialogo interreligioso: il coraggio intellettuale nell'affrontare certi temi, la capacità di collaborare nell'assoluto rispetto reciproco pur raccogliendo la sfida degli interrogativi più radicali e profondi. Al centro della riflessione odierna i temi, centrali per il pensiero musulmano, della natura del Corano e dell'applicazione della legge rivelata.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:49

Dal 1954 al 1992 si sono svolti ben 65 incontri islamo-cristiani. Dopo un promettente avvio si è avvertita la necessità di approfondire la finalità del dialogo interreligioso e di mettere a punto strumenti rigorosi d'indagine scientifica. Questa necessità ha condotto nel 1977 alla nascita del gruppo di ricerca islamo-cristiano, il GRIC. I fondatori hanno così voluto imprimere al dialogo un vigore ed una forza nuovi, codificando negli statuti del gruppo un certo numero di precondizioni accademiche, pedagogiche ed intellettuali (1). Così facendo il GRIC ha inteso colmare le lacune degli incontri degli anni 70, superando lo stadio della sensibilizzazione e della conciliazione. Uno dei maggiori risultati resta lo svincolamento dei suoi membri dai concetti teologici del Medio Evo, quei concetti per cui ogni espressione di spirito critico è giudicata blasfema, proprio mentre la società, i giovani e le élites voltano la schiena alle affermazioni apodittiche di un pensiero religioso trincerato nelle sue convinzioni antiquate. Così gli argomenti dibattuti in seno al GRIC, generalmente contemporanei, hanno richiesto un coraggio intellettuale cosciente delle crisi radicali che, gestite da una certa teologia decadente, hanno votato le religioni ad un fondamentalismo bellicoso. Per portare uno sguardo critico sull'eredità storica delle tradizioni religiose sono assolutamente necessarie una formazione universitaria ed una competenza dottrinale. Così, nel trascorrere del tempo indispensabile per l'approfondimento dei temi essenziali e comuni, una cosa diventa certa: è la "cultura del dialogo", che si acquisisce dialogando. Fatto più importante ancora, cominciando a ristrutturare le proprie costruzioni teologiche specifiche si percepisce in modo vivo la finalità del dialogo interreligioso. La prima opera pubblicata nel 1987 dal GRIC, dopo cinque anni di lavoro collettivo sulle scritture, La Bibbia ed il Corano, offre in modo magistrale la prova della bontà di questo dialogo nella verità. Per la teologia musulmana contemporanea ammettere che la Parola di Dio raggiunge gli uomini in una lingua umana, situata nel tempo, costituisce una nuova tappa. Le conseguenze di questo principio sono considerevoli. Per limitarsi alla questione dell'altro, ci si può domandare se occorra prendere alla lettera il discorso che un testo sacro imposta sul suo omologo o su un'altra religione o se non sia meglio ricollocarlo nel contesto delle conoscenze dell'epoca e del luogo. Eccoci dunque al cuore del tanto spinoso dibattito sulla Rivelazione o Parola di Dio e sull'applicazione della Shari´a o legge rivelata. Senza averne l'aria, il lavoro del GRIC è andato a toccare un "buco nero" della storia della teologia musulmana classica. Cerca di sviscerare la famosa Mihna (letteralmente prova) o Inquisizione. Questa prova, mai risolta in un forum teologico, concerne la natura del testo rivelato. È increato o creato? Il dibattito della Mihna degenerò in un conflitto politico ed ideologico aperto dall'833 all'844 (218-234) tra i mu´taziliti (scuola di apologetica razionale, N.d.T.) ed i tradizionalisti. Al cuore della polemica stava l'interferenza tra il Tempo e l'Assoluto. Il mu´tazilismo sosteneva che la Trascendenza dettasse un messaggio ricorrendo alla temporalità. Gli avversari rifiutavano questa teoria categoricamente e sostenevano che il testo fosse increato, cioè senza origine nel tempo. Il trionfo politico certo di quest'ultima tesi ha bloccato per secoli ogni tentativo di ricerca innovatrice sul testo rivelato. La santità del Corano ha portato con sé un preconcetto ostile ad ogni velleità esplorativa del testo sacro. Questo è d'altronde il motivo per cui uno dei fondatori del GRIC ed eminente conoscitore della teologia musulmana, il Padre Caspar, constata a ragione che i cristiani, anche se possono rimanere stupiti da questi blocchi teologici, devono sempre ricordarsi che la loro concezione della Scrittura ha conosciuto delle evoluzioni e soprattutto devono prendere coscienza che la nozione stessa di Rivelazione non ha per loro il significato che riveste per i musulmani (2). E quando infine il GRIC solleva l'ultima domanda relativa alla Legge rivelata ed alla sua applicazione non si può che approvare questo stile sfumato che non nasconde affatto la disapprovazione della concezione letterale: «Le nostre scritture hanno come scopo di consegnarci informazioni storiche o proporci attraverso esempi e riferimenti storici valori religiosi che attraversano i tempi?» (3). Con questo tipo d'interrogativi si è al centro della problematica politico-sociale del mondo musulmano attuale, al quale si prospetta l'idea dell'"applicazione della Legge" come la panacea ai suoi complessi problemi, andando a recuperare concetti triti e ritriti. Ci si ritrova di nuovo davanti al problema lancinante dell'interpretazione del Testo. Non è forse il rifiuto tacito del principio d'interpretazione (ta'wil) a riapparire, quando ci si infila nel vicolo cieco delle inesauribili e moderne interpretazioni celate dal Testo? L'antico blocco perdura e perpetua la visione medievale del mondo e dell'uomo. Proprio in questa logica si può notare che la quasi totalità delle esegesi coraniche dell'epoca moderna si rifiutano di ripensare il senso della sacralità del testo coranico. Continuano a confondere la sacralità della sorgente con quella della sua comprensione, confondendo sacralità della conoscenza, dell'identità, della storia. Un fattore culturale ha contribuito alla sopravvivenza di questa concezione. Si tratta dell'amalgama tra l'unità della scrittura e l'unità della sua lettura (4). Proprio in questo campo il GRIC deve svolgere un'azione, in particolare attraverso la traduzione in arabo delle sue opere (5). Diffondendo queste tesi tra i giovani ricercatori ed insegnanti si riformulano le grandi domande sotto un'altra luce e con l'aiuto di uno strumento scientifico convincente. Da qui la necessità di ritornare sui blocchi attuali. Si avvertirà l'importanza della rilettura del patrimonio teologico e storico quando si potrà misurare ciò che scelte simili hanno prodotto in altre tradizioni religiose. Così, anche se il dialogo sotto forma di gruppo di ricerca non giunge a conclusioni definitive, arriva quanto meno ad individuare i grandi problemi già sollevati negli incontri pubblici. Meglio ancora, avanza verso un mutuo riconoscimento della "autenticità" di ogni fede.


(1) A proposito del GRIC, cfr. Ces écritures qui nous questionnent, Paris, Le Centurion, 1987; cfr. anche Islamochristiana n°5/1979 e seguenti. (2) Caspar Robert, «Perspectives de la théologie comparée», in Recherche d'islamologie, Louvain neuve, 1977. (3) Les écritures qui nous questionnent, op. cit., pp. 14-147. (4) Ennaïfer Hmida; «Les exégèses modernes du Coran», p.16 e seguenti, PISAI, Rome, 1997. (5) Da segnalare che le sue cinque pubblicazioni 1. Les écritures qui nous questionnent 2. Foi et justice 3. Pluralisme et laïcité 4. Péché et responsabilité éthique 5. Universalité et identités en devenir non hanno conosciuto una copertura mediatica sufficiente e uguale. Solo il primo volume è stato fino ad oggi tradotto in arabo, malgrado i tentativi successivi dei membri del GRIC presso diverse case editrici del Maghreb e del Mashreq e nessun interesse è stato manifestato dalle istanze ufficiali del mondo musulmano.

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