La guerra ha inghiottito un Paese povero economicamente, ma ricco di storia e di cultura
Ultimo aggiornamento: 26/03/2022 07:28:02
Sette anni fa iniziava in Yemen un conflitto tanto devastante quanto dimenticato. Riprendiamo il ricordo che Hamdan Al Zeqri, mediatore culturale, insegnante di arabo e guida spirituale per i musulmani in diverse carceri italiane, ha dedicato al suo Paese.
Mi volto indietro e guardo quell’angolo straordinario chiamato “Arabia Felix”, lo Yemen, ricco di ospitalità, colmo di storia, di polvere, di sabbia e montagne, incenso, alberi e rocce, dolore e Speranza, dove di giorno il sole è molto forte e le stelle di notte sono come uno sciame di api. Così inizio il mio viaggio, un viaggio che non ho scelto ma che ho sempre desiderato fin da quando in quinta elementare ho studiato Michelangelo, Galileo e il Rinascimento. L’ho sognato da un Paese lontano, povero, con tante difficoltà politiche ed economiche, una repubblica con mille problemi ma che in qualche modo andava avanti. C’erano le strade, le scuole, piccoli ospedali, alberghi, università, moschee e giardini. C’era un legame sociale, c’era una storia, un presente con i suoi orizzonti che indicavano una speranza e un futuro. Dimenticavo: c’erano i musei, le librerie e le biblioteche anche se piccole, ma con scaffali pieni di libri e di documenti. C’era vita e il mio Paese era il più bello del mondo: il mio mondo. Perché c’era la Pace.
Rivivo come se fosse oggi, quel 15 marzo 2004 in cui sono atterrato a Roma-Fiumicino all’alba. Erano le 4 e faceva molto freddo. C’era anche la nebbia. Quel freddo era ancora più pungente per me che il giorno prima in aeroporto avevo salutato i miei familiari, i parenti e gli amici, tra lacrime e abbracci. Avevo lasciato tutti dietro a un vetro che mi separava da loro, un vetro molto spesso oltre il quale non potevi passare: li vedevo là, ma non potevo tornare indietro. Fu lì che iniziò un’altra storia. Oggi non c’è più quel vetro e se c’è non serve a niente: nessuno parte e nessuno arriva dallo Yemen. Sono otto anni che c’è la guerra, anche se nel mio nuovo Paese, di cui sono cittadino a tutti gli effetti, nessuno ne parla.
Cos’è la guerra? È quel dolore che raggiunge ogni casa e colpisce con violenza cieca ogni bambino, anziano, uomo, donna, braccia, gambe, alberi e fiori, distrugge muri, demolisce legami e relazioni, ospedali, scuole, asili, università e ponti. Senza fare distinzioni tra le cose e le anime. Brucia il passato, fa evaporare il presente, annerisce il futuro. L’acqua inquinata, il cibo scarso, le medicine scadute, l’odore di polvere da sparo che esala da ogni angolo. Anche l’orizzonte si è ripiegato: il sole non sorge e non tramonta, la luna non appare, le stelle non spuntano in cielo. Gli uccelli non cantano, spaventati dai motori degli aerei e dei carri armati che non cessano di ammutolire la natura. E io sono qui dietro un vetro spesso, impotente e inebetito dal silenzio di chi a quella guerra non dedica che qualche dato drammatico sulla crisi umanitaria in corso. Il cuore trabocca, allora guardo le stelle e odoro la foglia cresciuta da un ramo di menta yemenita messo di nascosto in valigia da mia mamma. Troppo tempo fa. La guerra in Yemen ha annientato anche la menta, quando risorgerà la Pace tornerò con un ramo per reimpiantarlo.