Né lealista, né oppositrice, ma solo dalla parte del popolo: così si definisce Maria Saadeh

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Ultimo aggiornamento: 02/07/2024 12:53:02

Né lealista, né oppositrice, ma solo dalla parte del popolo: così si definisce Maria Saadeh, giovane deputata che rifiuta le ingerenze straniere e denuncia gli errori del regime. Solo il Presidente Asad, tuttavia, può evitare per lei l’anarchia e permettere alla Siria di divenire uno Stato civico pluralista.

 

Intervista a cura di Maria Laura Conte

 

La sua voce è squillante e decisa. Vibrante per l’orgoglio con il quale guarda al suo Paese, crede in una riforma del regime che salvi le strutture statali. In questo progetto la sostiene l’esperienza di architetto, ogni giorno impegnato tra antico e nuovo.

 

Lei è deputata al Parlamento siriano. Qual è il Suo percorso personale? Che cosa L’ha spinta a impegnarsi attivamente in politica?

Come tutti i progettisti ho dovuto confrontarmi con il problema della società tradizionale che non accetta alcuna forma di modernità o contemporaneità e questo mi ha reso più attenta alla realtà della società siriana. Sono entrata in Parlamento per la lettura che ho sviluppato di quanto stava avvenendo in Siria, lettura che mi ha impedito di cadere nella trappola del conflitto interno. All’inizio della crisi ha preso avvio una forte azione mediatica, accompagnata da una partizione della società in lealisti e oppositori al regime e dall’espressione di richieste legittime da  parte del popolo siriano. Poi è cominciata una fase propagandistica in cui si sono diffuse idee ed espressioni travisate che nutrono il confessionalismo. Sulle legittime richieste del popolo siriano sono stati innestati interessi stranieri, in un ambiente favorevole che ha sfruttato tutti quelli che erano animati da spirito di vendetta verso l’autorità. Questi interessi hanno fatto leva sull’istinto e hanno utilizzato la guerra psicologica con mezzi sistematici che hanno sollevato la società contro il regime, facendone “il nemico”.

 

Per quel che mi riguarda, pur avendo sofferto della politica del regime e della sua logica clientelare, ho potuto distinguere tra le richieste che avanzo io come ogni cittadino siriano, proprietà non esclusiva dell’opposizione, e dall’altra il rovesciamento del regime. Che per me significa il rovesciamento dello Stato, quindi l’anarchia. La democrazia è una cultura sociale che cresce gradualmente e non si ottiene con le armi. A partire da questa responsabilità che avvertivo ho cominciato a lavorare con i giovani che erano stati sfruttati per far divampare la guerra. Ma la cosa più importante è che come siriana mi sono sentita umiliata quando alcuni politici occidentali hanno chiesto le dimissioni del presidente Asad. Su questo ho due punti fermi: il primo è la sovranità, una linea rossa da non valicare, perché il Presidente è il simbolo della sovranità della Siria. Umiliarlo significa umiliare ogni cittadino siriano. Non vogliamo che si ripeta quanto avvenuto in Iraq, Egitto e Libia; il secondo punto fermo per me è non lasciarmi confiscare il diritto di decidere il mio destino. Non accetterò che nessuna parte parli a nome del popolo siriano. Anche se non sono d’accordo con questo regime, non significa che accetti qualsiasi tipo d’opposizione, senza alcuna esperienza politica o progetto nazionale che rispetti il pensiero di tutti i siriani.

Perciò ho voluto una tribuna legale da cui difendere la sovranità siriana di fronte a ogni ingerenza straniera e al tempo stesso presentare le richieste legittime dei siriani, ma non attraverso le armi e la distruzione dello Stato. Quando sono entrata in Parlamento sono stata guardata con sospetto sia dai lealisti, sia dall’opposizione, perché parlo una lingua diversa.

 

Qual è la Sua percezione dello stato d’anima del popolo siriano? Come lo sta cambiando la guerra?

Il popolo siriano è uscito dal letargo in cui viveva, che lo aveva privato del senso della responsabilità nazionale. Era lontano da ogni partecipazione all’attività politica, attraverso il Parlamento o la società civile o le iniziative personali. La pratica politica era monopolio del Baath e dei partiti del fronte nazionale, tutti con la stessa visione. Ora si è passati a una fase di reattività per effetto della propaganda sistematica che ha fatto leva sugli istinti, con il risultato di far cadere nella trappola della guerra psicologica. Alcuni hanno cavalcato l’onda e si sono coinvolti nel progetto di rovesciare il regime, per soldi o per odio, e altri hanno reagito prendendo le parti del regime. Si sono formati due poli di confronto, pro e contro. L’uno vuole escludere l’altro ed entrambi non si rendono conto che lo scopo è costruire lo Stato, non distruggerlo. E purtroppo c’è stata anche una maggioranza silenziosa che in parte è restata a guardare, in parte però ha preso graduale coscienza di quanto stava avvenendo.

Tuttavia ben presto il conflitto è diventato armato per effetto del sostegno di alcuni Stati e la crisi siriana ha assunto più livelli, internazionale, regionale e interno. Le formazioni armate hanno cominciato a compiere assassinii, attentati, rapimenti e sono comparse correnti estremiste che uccidono innocenti in nome della religione. L’unico risultato è il terrore, l’esodo forzato della popolazione e gli attentati contro i civili. Si è distrutto lo Stato, non il regime. Ci siamo ritrovati al centro di una serie di diffamazioni interne e internazionali. Tuttavia un’ampia fetta della società consapevole si è accorta della trappola che mirava a dividere la società e lo Stato sotto gli slogan della libertà e della democrazia.

 

Può esplicitare la Sua posizione rispetto alla Siria baathista e al governo e alla Presidenza attuale?

Da parlamentare indipendente ritengo che per risolvere la crisi siriana ci sia bisogno di una visione globale. La questione è nazionale per eccellenza e non di divisione del potere. Occorre riunire i siriani e restaurare la società, diffondere la cultura dell’accettazione dell’altro e della tolleranza per arrivare a costruire insieme uno Stato democratico pluralista.

Siamo prigionieri di due direzioni politiche incapaci di perseguire qualsiasi progetto. La prima è quella del Partito Baath, che ha monopolizzato il potere per decenni. Questo ha portato al logoramento delle istituzioni statali per l’assenza di concorrenza e di libertà d’espressione. Così lo Stato si è trasformato in una comunità di interessi invece che di servizio alla società.

 

Dall’altra le opposizioni. Alcune esistevano da prima, altre sono state create durante la crisi per servire agende straniere. Nessuna di esse ha esperienza di governo né ha un progetto politico chiaro. Esse non rappresentano più del 15% del popolo siriano e sono limitate sul piano, politico e della forza, perché nessuna opposizione politica è in grado di frenare le formazioni armate.

Che Asad resti o se ne vada è una questione interna siriana, spetterà ai siriani decidere attraverso le urne. A prescindere dal fatto che io approvi o non approvi la sua politica, ritengo tuttavia che la sua permanenza sia ormai una necessità perché rappresenta un contrappeso alla diffusione del caos e una garanzia per la sopravvivenza dello Stato.

 

Nel 2011 la rivolta è scoppiata per una richiesta di riforma democratica dello Stato. Ora si parla sempre più della presenza di gruppi jihadisti. A Suo avviso vi sono possibili interlocutori tra i ribelli?

I capitali non fanno le rivoluzioni. Lo scopo dell’operazione era trasformare i regimi del Medio Oriente da nazionalisti a regimi a fondamento religioso. Sono anni che nella regione si finanziano le correnti religiose e si gioca con l’elemento settario per disgregare la società. Alcuni Stati come l’Arabia Saudita hanno alimentato il pensiero salafita mentre la Turchia e il Qatar hanno sostenuto i Fratelli Musulmani. Ma lo Stato civico non può essere costruito a partire dall’estremismo religioso o dall’uccisione settaria. Abbiamo a che fare con formazioni terroristiche e non con rivoluzioni, come le chiama l’Occidente. Con loro non ci si può intendere, mentre si può dialogare con chi è stato ingannato e ha imbracciato le armi per altri motivi, ad esempio per ragioni economiche o di vendetta, pensando di poter cambiare il regime.

 

C’è chi propone una divisione della Siria come soluzione, che ne pensa?

Il progetto di nuova divisione del Medio Oriente, portato avanti dall’America e da alcuni Stati occidentali, ha preso avvio con una serie di guerre. Lo scopo è sollevare i popoli contro i loro regimi su base settaria, in modo che si disgreghino e riconfigurino secondo le linee del conflitto sunnita-sciita invece che secondo quello del conflitto arabo-israeliano. Questo è quanto è successo in Iraq, Egitto e Tunisia. In Siria di fronte all’ostinazione dello Stato, il progetto si è trasformato in uno scontro regionale tra diversi modelli di Stato, come gli Stati del Golfo, la Giordania monarchica e la Turchia che pretende di essere laica, mentre in realtà è religiosa e vuole trasformare l’ultimo regime laico superstite nella regione. Come dice il proverbio, tutte le strade portano a Damasco e Damasco tornerà a essere un centro mondiale.

 

Pensa che l’accordo tra gli Stati Uniti e la Russia possa rappresentare l’inizio di una mediazione tra i contendenti sul campo?

Il nuovo posizionamento aprirà a una riconsiderazione della legalità internazionale e questa è la cosa più importante per una giustizia mondiale, dopo che le potenze emergenti avranno assunto il posto e il ruolo che compete loro in una nuova configurazione dell’ordine mondiale.

 

I cristiani di tutto il mondo sono stati profondamente toccati dagli attacchi a Malula e Saydnaya e precedentemente dal rapimento dei due Vescovi e di Padre Dall’Oglio. Qual è il futuro dei cristiani siriani?

Prendere di mira queste due località, simbolo del Cristianesimo e patrimonio dell’umanità, significa far entrare la Cristianità orientale in un conflitto religioso. Abbiamo a che fare con una grande sfida: tentare di svuotare l’Oriente dei suoi cristiani significa minacciare il Cristianesimo nel mondo perché l’Oriente conserva le radici delle religioni e anche perché il Cristianesimo orientale è il miglior conoscitore del vero volto dell’Islam, che non pratica l’esclusione dell’altro.

Si stanno mescolando tre elementi: un principio di cittadinanza, per cui tutti abbiano gli stessi diritti e doveri (come in Siria); un tentativo da respingere di trasformare l’Islam in una fede criminale; e la volontà di spingere con il terrore e le lusinghe i cristiani ad emigrare portando con sé questa immagine errata dell’Islam. Abbiamo tutti la responsabilità di ristabilire la fiducia islamo-cristiana mentre aspiriamo a uno Stato civico, non un emirato religioso.

 

Sempre riguardo ai cristiani: prima della guerra godevano di uno statuto molto più favorevole rispetto a quelli degli altri cristiani del Medio Oriente. Tuttavia lo Stato che gli permetteva di vivere in pace soffriva di un deficit evidente di democrazia, come prova il numero dei prigionieri politici. Si può immaginare un avvenire in cui i cristiani possano vivere in pace come cittadini senza la necessità della protezione da parte di un sistema autoritario?

Dobbiamo distinguere tra due questioni. Da una parte c’è la questione dello Stato civico, che in Siria è una realtà e ha prodotto una cultura del vivere insieme al riparo da ogni estremismo e fanatismo religioso. Dall’altra c’è la questione dello Stato dittatoriale, che dipende dalla storia: Hafez al-Asad escludendo la libertà di opinione politica, dava la priorità alla trasformazione della Siria in uno Stato forte e indipendente. Ma continuare con la politica del partito unico è stato un errore. Oggi la domanda chiave è sul come cambiare, perché il cambiamento è già cominciato e la storia non si arresta. Il vecchio regime, dopo quello che è successo, non potrà tornare a essere come prima. La sfida oggi è come trasformarci in uno Stato civico pluralista che si oppone all’estremismo religioso. Abbiamo bisogno di ridefinire il concetto di Stato.

 

Le notizie sulla vita quotidiana in Siria sono contraddittorie e comunque molto preoccupanti. Teme per la Sua vita? Si sente minacciata?

Questa questione preoccupa molti siriani, ma nel contesto del conflitto è un dettaglio. Il problema è quando i dettagli diventano un ostacolo alla soluzione generale. Se tutti i siriani scappano, lasceranno spazio ad altri e le cose si complicheranno ulteriormente. Abbiamo una responsabilità comune nel restare attaccati alla terra.

 

Al di là della contingenza siriana, i principi dello Stato moderno liberale, democratico e laico, possono ispirare la costruzione di un nuovo Medio Oriente oppure occorre elaborare formule nuove? La riforma politica richiede una riforma educativa preliminare?

La Siria diventerà il centro di un nuovo Medio Oriente e un perno per un nuovo ordine mondiale. L’ostinazione siriana difende non solo la sovranità siriana, ma anche la sovranità statale, non solo il diritto del popolo siriano a decidere il proprio destino, ma anche la legalità internazionale. Non sfida soltanto il terrorismo e l’estremismo, ma saprà produrre un esempio di Stato civico laico.

 
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Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Maria Saadeh, «Damasco tornerà ad essere un centro mondiale», «Oasis», anno IX, n. 18, dicembre 2013, pp. 84-87.

 

Riferimento al formato digitale:

Maria Saadeh, «Damasco tornerà ad essere un centro mondiale», «Oasis» [online], pubblicato il 1 dicembre 2013, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/intervista-maria-saadeh-siria-assad.

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