Conseguenze impreviste /1. C'è un'ambiguità della nozione di "diritti umani", ed è il fatto della loro estensibilità a qualunque desiderio soggettivo. Ciò non è soltanto frutto della vaghezza della nozione, ma manifesta qualcosa di più grave.
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:49
In un'intervista concessa nel 1993 a due amici polacchi, ma non pubblicata fino a pochi mesi prima della sua morte (Pamiec` i toz.samos`c`, Cracow 2005), Giovanni Paolo II parla di una "ideologia del male" e fa notare che essa non è assente nemmeno in recenti sviluppi di Stati a costituzione democratica. Egli aveva in mente il fatto che, in molti Paesi, parlamenti democraticamente eletti hanno approvato leggi che permettono l'aborto e considerano le unioni omosessuali una legittima alternativa al matrimonio. Questa evoluzione, egli fa notare, rivela che persino della nozione di diritti umani si può far abuso a danno dell'uomo e della famiglia. Sebbene ciò non abbia causato pubblico scalpore (le persone inclini a protestare per questo genere di affermazioni raramente leggono libri pubblicati dai successori di san Pietro), la dichiarazione infrange con ogni evidenza un tabù contemporaneo del mondo occidentale. La maggioranza degli occidentali è infatti convinta che decisioni prese da parlamenti democraticamente eletti siano ipso facto legittime e che per questo dovrebbero essere accettate anche da quelli che vi si sono opposti; in particolare, ciò varrebbe per leggi che garantiscono impunità ad azioni che in passato erano severamente condannate. Persino molti cristiani hanno difficoltà a distinguere il peccato da ciò che uno Stato liberal-democratico non considera un reato. E questo soprattutto nel caso in cui una tale liberalizzazione si attui in nome dei diritti umani. A una donna, essi sostengono, dovrebbe essere concesso liberamente di decidere sul destino della "cosa" che cresce nel suo grembo (dopo tutto, si tratta del "suo" grembo); e se due omosessuali decidono di essere reciprocamente fedeli, come se fossero un uomo e una donna che si sposano, persino le autorità della loro comunità religiosa dovrebbero acconsentire a benedire quest'unione. Dopo tutto, eccetto in alcuni stati totalitari come la Cina, nessuna donna sarà mai forzata a sbarazzarsi del frutto del suo grembo, e nessuno può essere obbligato a comportarsi da omosessuale. Se qualcuno sostiene che l'aborto è un delitto, bene, lasciamogli questa convinzione, e perché un'unione di tipo matrimoniale tra due uomini o due donne dovrebbe minacciare la famiglia? Anzi, dovrebbero avere accesso a tutti i privilegi garantiti alle famiglie, inclusa la possibilità di adottare e allevare un bambino. Fin qui l'opinione dominante attualmente in Europa e negli Stati Uniti. Questa strana piega presa dal modo di pensare di un gran numero di occidentali indica da un lato fino a che punto molte, se non la maggior parte, delle "Nazioni cristiane" trascurino di fatto comincino ad abbandonare le proprie radici storiche. D'altro canto, richiama la nostra attenzione su un'ambiguità della nozione stessa di diritti umani. Quando in passato sia l'aborto che la pratica dell'omosessualità erano considerati crimini, ciò dipendeva dal fatto che le Nazioni occidentali vedevano il Vecchio e il Nuovo Testamento come la Magna Charta della loro cultura e pertanto consideravano ovvio che, in alcuni casi particolarmente importanti, le autorità politiche e/o il sistema legale dovessero difendere, di fatto far rispettare, le norme e i valori depositati nella Bibbia. Per quanto concerne l'aborto, si è quasi completamente dimenticato che esso fu permesso, per la prima volta, in due Stati che oggi tutti considerano criminali, quasi per definizione: la Germania di Hitler e l'Unione Sovietica di Stalin. Per giunta, pare che si sia dimenticato che persino e, anzi, soprattutto nell'epoca moderna, la protezione della vita dei cittadini, anche se solo potenziali cittadini, era annoverata tra i doveri basilari di uno Stato. Inoltre, fino alla metà del secolo scorso, quasi nessuno in Occidente difendeva l'idea che ogni uomo avesse il diritto, da rispettarsi da parte dello Stato, di condurre una vita in accordo col proprio "orientamento sessuale" (il che non escludeva una tacita tolleranza in casi che rimanevano strettamente privati e non avevano alcun influsso su altri, specialmente non sui minorenni). Al contrario, la stragrande maggioranza dei pensatori che fin dal diciottesimo secolo combatterono per i diritti umani e una democrazia liberale erano convinti, anche nei casi in cui non erano profondamente devoti alla fede dei loro padri, che i principi morali riassunti nei dieci comandamenti e specificati nella dottrina cristiana fossero essenziali per una convivenza pacifica e dotata di senso tra noi uomini. La Difesa degli Indios Non è facile spiegare perché le cose siano così radicalmente cambiate. Un motivo certamente è che l'influenza delle convinzioni cristiane, o per meglio dire la fede in un Dio personale, è svanita grandemente nella società. Come dice un personaggio in un romanzo di Dostoevskij, se Dio non esiste, ogni cosa sembra essere permessa. Nella sua intervista, dopo aver sottolineato l'importanza dell'idea che noi siamo creature di Dio e perciò legati a ciò che è buono o cattivo in relazione alla nostra natura, Giovanni Paolo II esprime la stessa idea in termini più sottili: «Si è rigettata la nozione di ciò che in senso più profondo ci fa essere uomini, l'idea della natura dell'uomo come qualcosa che è "un dato di fatto", e la si è sostituita con un "prodotto del pensiero", che si può liberamente cambiare secondo le circostanze». Un altro motivo, comunque, è la vaghezza della reale nozione di diritti umani. Benché le sue radici risalgano all'antichità (accanto all'asserzione biblica che Dio ha creato l'uomo a sua immagine, si può citare soprattutto la nozione stoica dell'"essere cittadini del mondo") e al Medioevo (ad esempio la Magna Charta Libertatum dell'Inghilterra del 1215), l'idea dei diritti umani non è emersa fino al diciottesimo secolo; presto ha sostituito la vecchia nozione dell'obbligo, da parte di chi governa, di rispettare i comandamenti di Dio, dapprima senza peraltro abbandonare l'idea che tali diritti siano dovuti a ciascun uomo e donna per il loro essere creature di Dio. Poiché una delle fonti di questo sviluppo fu la difesa, nel sedicesimo secolo, dei diritti degli Indios da parte dei frati domenicani Francesco de Vitoria e Bartolomé de Las Casas, all'inzio la Chiesa non ebbe seri problemi con questa nozione. Dopo la rivoluzione francese, essa notò tuttavia che la nozione era sempre più spesso usata per difendere libertà che sembravano minacciare la legge e l'ordine come li intendeva la Chiesa. In particolare, sottolineando che l'errore non può avere diritti, essa avversò con passione le idee della libertà di agire secondo la coscienza individuale (e quindi anche la libertà di stampa) e della libertà religiosa. Persino Pio XII, sebbene ammettesse che uno stato può tollerare, nell'interesse della pubblica pace, confessioni dissenzienti, sosteneva che gli errori non possono avere alcun diritto. Fu solo col Concilio Vaticano II che la Chiesa Cattolica, sottolineando la dignità della persona umana invece di concentrarsi sulla nozione di errore, ha trovato una soluzione soddisfacente per questo problema. Si dovrebbe comunque prestare attenzione a ciò che esattamente dice il famoso decreto sulla libertà religiosa, Dignitatis humanae. Esso non sostiene «che io sono libero» di ignorare la verità, ma piuttosto che né lo Stato, né alcun'altra comunità ha il diritto di proibirmi di implicarmi con la fede religiosa di mia scelta. In altre parole, si tratta di un diritto umano di fronte alla comunità politica, non di fronte a Dio. Soltanto Dio, non la comunità o lo Stato, ha il diritto di giudicare la mia coscienza. Inoltre non si dovrebbe trascurare che il decreto fa rilevare che c'è un limite a questo diritto. Molte volte, esso usa frasi come «fino a quando ciò non minacci l'ordine pubblico e la moralità». È questa un'importante clausola restrittiva, dal momento che non esiste una definizione assodata del termine "religione", e pertanto il fatto che un gruppo proclami che la sua è "una religione" potrebbe essere usato come giustificazione di attività illegali. Un esempio, recentemente molto discusso in Europa, è l'ideologia di L. Ron Hubbard sfociata nella fondazione della Chiesa di Scientology. Ma non si potrebbe allora sostenere che ciò è applicabile anche all'aborto e al "matrimonio tra omosessuali"? Non è questo il caso, giacché l'aborto è l'uccisione, a tradimento, di un innocente indifeso (che è la classica definizione di assassinio), e la difesa della vita dei propri cittadini rientra tra i primi doveri di ogni comunità politica. La questione del matrimonio tra omosessuali è un po' più complicata. Sebbene lo consideri un peccato, la Chiesa non si aspetta da un governo che combatta l'omosessualità. Unioni formalizzate di gay e lesbische, comunque, sembrano minare il ruolo unico e l'importanza della famiglia, che la Chiesa ha sempre visto come la cellula base di una sana società. Benché l'aborto sia uno dei più terribili crimini dei nostri tempi, orribile anche perché è quasi diventato un'industria, a me sembra che Giovanni Paolo II avesse in mente qualcosa di più dei due esempi che ha ricordato. Egli richiama l'attenzione su uno sviluppo altamente problematico dell'uso della nozione di diritti umani, uso che presto potrebbe portare a ulteriori ingiustizie. Oggi, spesso piccole minoranze promuovono le loro idee e interessi sostenendo di lottare per un diritto umano. Poiché la difesa dei diritti umani è divenuta una delle più importanti questioni del nostro tempo, quelli che osteggiano tali minoranze devono cercare di dimostrare che questa rivendicazione non è giustificata. Ciò non è facile, dal momento che non esiste una definizione unanime, di cosa sia, o non sia, un diritto umano. Mentre può essere chiaro cosa è un diritto umano, è molto meno chiaro cosa "non è e non può essere considerato" un diritto umano. Nel frattempo si parla di diritti degli animali, il che porta a strane richieste come il dovere di schiacciare la testa a un'aragosta prima di buttarla nell'acqua bollente. Ci sembra che non sia lontano il tempo in cui qualche parlamento approverà una legge secondo la quale un ladro non potrà essere punito se afferma di soffrire di un finora sconosciuto disordine mentale che lo induce a rubare. Senza dubbio, l'intuizione che ciascun essere umano ha diritti che dovrebbero essere tutelati in tutte le circostanze è una delle grandi conquiste culturali dell'era moderna. Forse è uno dei più importanti contributi a una pacifica coabitazione tra noi esseri umani. Di conseguenza è di estrema importanza ricordare costantemente, e far ricordare, la fonte ultima di questi diritti. Se si ignora il fatto che ciascuno di noi deve questo diritto al fatto che Dio ha creato l'uomo a sua immagine, e di conseguenza gli ha dato una ben determinata natura che è in relazione con Lui, si rischia che questa nobile intuizione abbia a rivoltarsi contro di sé e finisca annientata.