Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:48:26

Intrappolata nella morsa del terrorismo islamico degli attacchi di Mumbai e della furia del fondamentalismo indù dei pogrom contro i cristiani dell'Orissa, l'India sembra aver pochi motivi per sperare in un futuro di convivenza e di pace. Eppure la sua stessa esistenza, dalla mezzanotte del 15 agosto 1947, è lì a dimostrare al mondo che è possibile una coesistenza tra gruppi etnici, religiosi e linguistici diversi. Lo si può dire senza chiudere gli occhi di fronte alle mille contraddizioni che contribuiscono a plasmare l'identità di un Paese irriducibile a facili schemi. La violenza e l'odio hanno sempre segnato dolorosamente questo Stato e le tensioni di oggi trovano la propria radice in un passato recente assai turbolento. Tuttavia esistono alcune eccezioni delle quali non si può non tener conto. Lo Stato sudoccidentale del Kerala costituisce, infatti, un esempio coriaceo di convivenza in atto, a dispetto del mosaico di comunità che lo compongono: la maggioranza dei 35 milioni di persone è indù, ma il 25 per cento della popolazione è musulmana e il 20 per cento è cristiana, la più alta percentuale di tutta l'India. Il Kerala ricorda, al netto dello sviluppo economico ancora arretrato rispetto al resto del Paese, gli splendori del Libano degli anni Sessanta. La convivenza tra i diversi gruppi religiosi, infatti, inizia in tempi immemorabili. Secondo la tradizione l'apostolo Tommaso arrivò sulle coste del Kerala nel 52 d.C. grazie ai contatti con le colonie di mercanti ebrei già presenti sulle coste del Mare Arabico. L'arrivo pacifico dell'islam, invece, risale al VII secolo anch'esso giunto tramite i mercanti arabi di spezie. Due millenni di convivenza reale tra le tre grandi religioni ci hanno consegnato oltre ad un esempio di meticciato culturale, anche una profonda stima reciproca tra le diverse comunità. Se è vero che la comunità musulmana è concentrata soprattutto nel nord del Kerala e quella cristiana nel Sud, va rilevato che non esistono "ghetti" all'interno delle città e dei villaggi: cristiani e musulmani si trovano spesso ad essere vicini di casa. Un commerciante di Fort Chocin dal tetto del suo negozio mi ha mostrato fiero come da quel punto della città di vedessero una moschea, una chiesa e un tempio indù praticamente nello stesso isolato. I bambini delle diverse religioni cominciano a vivere fianco a fianco seduti sui banchi di scuola. Da compagni di banco, diventeranno spesso colleghi di lavoro. Ma il punto di contatto visibile della convivenza sono soprattutto le feste religiose, che sono moltissime. Alle feste dei santi patroni, la comunità cristiana organizza grandi processioni nei paesi e sulle vie si riversano centinaia di bancarelle che vendono ogni ben di Dio. La il paese di ferma e tutti, anche indù e musulmani, partecipano alla festa. Quasi sempre, dietro la statua del santo portata a spalla dai fedeli, c'è un gruppo di percussionisti che eseguono la musica locale. Nove volte su dieci i musicisti sono indù. Allo stesso modo non è raro che le famiglie musulmane invitino i vicini di casa cristiani e indù per i festeggiamenti della fine del mese del ramadan. Le relazioni arrivano fino a una sorta di sincretismo, per cui gli indù si trovano a venerare santi cristiani visti come incarnazioni della loro unica divinità. Le conversioni tra i diversi gruppi ci sono, ma sono rare. In Kerala nessuno, a parte i pentecostali protestanti, fa proselitismo. Capita anche che alcuni indù si convertano al cristianesimo senza troppe difficoltà da parte della famiglia d'origine. Padre Naru, parroco della parrocchia Siro-malankarese del SEERI (Saint Ephrem Ecumenical Research Insitute) di Kottayam mi presenta una parrocchiana convertita dall'induismo. Si è fermata dopo la messa domenicale per aspettare la figlia che frequenta il catechismo. Padre Naru mi racconta anche di una musulmana che, sposando un suo parrocchiano, si è fatta cristiana. Me lo racconta come se fosse un caso raro, ma senza nasconderlo o tacerlo come si farebbe in un Paese arabo. Il fatto che la donna sia ancora viva, fa capire la differenza del clima che si vive almeno a Kottayam. Eppure il seme del fondamentalismo minaccia anche il Kerala. Negli ultimi anni non sono mancati scontri tra le diverse comunità religiose, in particolare tra indù e musulmani. Nei confronti dei cristiani gli episodi di violenza finora hanno interessato le cose, mai le persone. Può capitare, infatti, che una chiesa venga presa di mira dal lancio di sassi o qualche cappella votiva sia distrutta, ma in Kerala nessuno ancora si è spinto a uccidere i cristiani. Nell'ultimo decennio alcune organizzazioni fondamentaliste indù hanno fatto sentire sempre più spesso la loro voce e si sono macchiate di delitti e violenze. Nelle madrasse islamiche si è incominciato a predicare la jihad contro gli oppressori indù. In diverse occasioni alcuni militanti islamici sono stati arrestati mentre combattevano in Kashmir, ed è capitato anche che le organizzazioni islamiche considerate fondamentaliste abbiano condannato apertamente l'utilizzo delle madrasse come nascondiglio per armi ed esplosivi. Si sa, inoltre, che i finanziamenti arrivano direttamente dall'Iran e da altri Paesi del Medio Oriente. Eppure, nonostante le pressioni esterne, il Kerala sembra avere gli anticorpi per combattere queste derive. Se si chiede ai leader cristiani, indù o musulmani perché il Kerala non è ancora l'Orissa, la risposta è sempre la stessa: "Education". Come dire: è l'ignoranza la culla del fondamentalismo e della violenza. In questa regione il tasso di alfabetizzazione è il più alto dell'India e si attesta su standard europei. Questo grazie ai cristiani che - benché siano una minoranza - gestiscono tra il 50 e il 60 per cento dell'istruzione del Kerala, dagli asili fino alle facoltà universitarie. Sono scuole aperte a tutti, nella quali musulmani, indù e cristiani imparano a conoscersi, stimarsi, perfino a diventare amici. Per quanto suoni strano alla mentalità europea, le scuole cristiane, per la stragrande maggioranza cattoliche, non sono percepite dagli indù come una minaccia o uno strumento di proselitismo. Alcuni anni fa Soli Sorabjee, procuratore generale dell'India fino al 1990, partecipò a un incontro di ex alunni del St. Xavier's Collage di Mumbai, il college che aveva frequentato da ragazzo, alla presenza di diversi altri dignitari, ministri ed ex ministri del governo di Dehli. Nel suo discorso ufficiale rilevò da indù: "I professori di questa Università non mi hanno convertito, ma mi hanno trasformato". Se il ruolo giocato dalle scuole cristiane è certamente centrale nell'ambito educativo e responsabile degli alti livelli raggiunti in Kerala, esiste anche da parte musulmana uno sforzo positivo in questo senso. La Samastha Kerala Jameyyat ul-Ulama è un'importante scuola di pensiero dell'islam "tradizionalista", che si oppone al cosiddetto islam "modernista". Questa organizzazione, diffusa in Kerala da prima dell'indipendenza indiana, ha concepito un modello di "madrassa part-time", che offre cioè un tipo di educazione religiosa che permette agli studenti di seguire regolarmente anche le scuole secolari. Questo ha favorito, oltre all'alfabetizzazione, anche una maggior integrazione della società del Kerala e un più sereno rapporto con la modernità da parte dei musulmani locali. In questo quadro assai composito, un ruolo decisivo per il futuro del Kerala lo svolge il Partito comunista che ha la maggioranza nel Governo locale. Tra i vari primati del Kerala, infatti, va ricordato anche quello di essere stato il primo Stato al mondo ad aver eletto democraticamente, nel 1957, un governo marxista. Nel corso dei decenni, è vero, il Partito Comunista si è alternato con il Congresso ma è sempre rimasto il primo partito raccogliendo consensi da tutti i gruppi religiosi della regione. Alle ultime elezioni locali svoltesi due anni fa, i comunisti sono tornati al potere e hanno iniziato un duro braccio di ferro con la Chiesa cattolica. Oggetto del contendere è proprio la libertà di educazione. Nel 2007, infatti, il Governo ha proposto una riforma del sistema educativo che secondo la Chiesa cattolica ha come obiettivo di quello di creare un controllo politico sulle scuole sovvenzionate togliendo il diritto a chi le dirige di scegliere collaboratori e ammettere gli studenti. Anche dal punto di vista culturale la politica nelle scuole pubbliche va nella direzione di un discredito delle esperienze religiose, tanto che a protestare contro l'introduzione di libri di testo che promuovono l'ateismo non sono state solo associazioni musulmane, indù e cristiane ma anche organizzazioni laiche. I vescovi del Kerala non perdono occasione per esprimere la loro preoccupazione. La posta in gioco è alta: se è vero che la Chiesa svolge un ruolo di primo piano nel preservare il carattere pacifico della convivenza del Kerala, attaccando il suo ruolo educativo non si fa altro che indebolire il sistema immunitario della regione contro gli opposti fondamentalismi. Chi è al potere oggi non sembra rendersene conto. Probabilmente perché non capisce l'importanza che l'esempio del Kerala può giocare per il futuro dell'India tutta.