Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 08:56:32
La versione integrale dell'articolo è contenuta nell'e-book Libertà religiosa e cittadinanza. Percorsi nella società plurale, realizzato nell'ambito del progetto Conoscere il meticciato, governare il cambiamento, sostenuto da Fondazione Cariplo.
L’attuale legge italiana sulla cittadinanza, la n. 91/1992, penalizza i giovani figli di immigrati non permettendo loro di godere del pieno riconoscimento dei diritti civili e politici, trattenendoli così nella condizione giuridica di «italiani con il permesso di soggiorno» e alimentando delusioni e forme di risentimento. La legge è infatti articolata intorno al principio dello
ius sanguinis, il diritto di sangue, che permette di ottenere la cittadinanza solo “ereditandola” dai propri genitori italiani. Invece,
i figli di immigrati che nascono sul territorio italiano, per ottenere la cittadinanza, devono risiedere ininterrottamente in Italia fino al compimento del diciottesimo anno d’età. Raggiunta la maggiore età, hanno un solo anno per presentare la domanda per l’acquisizione della cittadinanza presso il proprio Comune di residenza. Se la domanda non è presentata entro questo termine, i ragazzi di seconda generazione devono seguire lo stesso iter dei genitori e cioè rimanere in Italia con un permesso di soggiorno per studio, per lavoro o per motivi familiari, oppure lasciare il Paese. Ancora più delicata è poi la situazione dei ragazzi non nati in Italia perché per loro, al momento, non esiste un iter dedicato.
Il diritto a essere cittadini riveste, così, un’importanza fondamentale nelle biografie delle seconde generazioni e dei giovani di origine straniera costretti per anni, dopo il compimento del diciottesimo anno di età, al rinnovo del permesso di soggiorno a causa della loro condizione di «stranieri non immigrati». Organizzate in particolare nella
Rete G2-Seconde Generazioni, di cui parleremo nello specifico più avanti, le seconde generazioni hanno avanzato negli anni diverse richieste di revisione della legge e di modifica delle normative vigenti per introdurre criteri certi ed espliciti circa le modalità di ottenimento della cittadinanza, eliminando il forte tasso di discrezionalità concesso alla pubblica amministrazione. Oltre al godimento di diritti, il possesso della cittadinanza si configura anche come un importante canale di partecipazione: un modo per essere riconosciuti eguali, per essere artefici del proprio destino e per dare un contributo attivo alla comunità.
La cittadinanza dà «diritto ad avere diritti», come sosteneva Hannah Arendt, ed è uno strumento che favorisce l’empowerment personale e la capacità di partecipare alla pari alla vita collettiva senza subire discriminazioni. Poter esprimere, da cittadini, la propria opinione significa avere la possibilità di farsi conoscere, di difendersi da accuse improprie o da rappresentazioni stereotipate e negative e di costruire una nuova comunità politica, sociale e culturale nell’interazione con gli italiani – e non attraverso l’integrazione in una presunta, società italiana omogenea. «La concezione della cittadinanza per concessione e non in quanto diritto appartiene al passato e va superata», afferma Ezequiel Iurcovich, esponente della Rete G2-Seconde Generazioni. «I miei trisavoli» prosegue «centoquarant’anni fa lasciarono l’Impero Russo per trasferirsi in Argentina. Vivo da 26 anni in Italia. Nella mia genealogia c’è anche un nonno che lasciò l’Italia per cercare l’America. Sono italiano.»
La legge sulla cittadinanza è oggetto di dibattiti e proposte di riforma da parecchi anni. Recentemente l’associazione Rete G2, con il sostegno della Soros Foundation, ha elaborato il dossier
G2 Chiama Italia: Cittadinanza, rispondi!, nell’ambito del progetto G2 Parlamenta, che, attraverso diverse attività di sensibilizzazione rivolte ai parlamentari (distribuzione di dossier e documentazioni, realizzazione di video e altri prodotti di comunicazione), ha l’obiettivo di fornire un quadro aggiornato sulla condizione attuale dei figli d’immigrati in Italia. Questa è solo l’ultima di una serie di iniziative volte a far conoscere e promuovere la condizione delle seconde generazioni in Italia, tra cui figurano anche le due proposte di legge di iniziativa popolare depositata dalla Rete G2 (insieme ad altre 18 organizzazioni) alla Camera dei Deputati nell’ambito della Campagna L’Italia sono anche io, promossa nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Una proposta di legge riguardava la normativa sulla cittadinanza mentre l’altra sosteneva l’introduzione del diritto di voto per le persone di origine straniera. Oltre alle due proposte di legge è importante segnalare la campagna di sensibilizzazione e informazione
18 anni in… Comune, svolta dalla Rete G2 in collaborazione con ANCI e Save the Children e rivolta ai neo-maggiorenni nati in Italia e aventi diritto alla cittadinanza. L’iniziativa mirava a sollecitare i Comuni a informare tempestivamente di questa opportunità i minori nati in Italia da genitori stranieri. In seguito alla campagna
18 anni in… Comune è stata realizzata anche una guida disponibile gratuitamente in tutti i Comuni e sui siti di ANCI, Save the Children e Rete G2, contenente tutte le novità normative sull’acquisizione della cittadinanza italiana per le seconde generazioni. Le semplificazioni introdotte dalla legge di conversione del cosiddetto “Decreto del fare”, inoltre, hanno istituzionalizzato gli obiettivi della campagna. La conversione in legge del “Decreto del fare”, n. 98 del 9 agosto 2013, contenente «disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia», all’articolo 33 («Semplificazione del procedimento per l’acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia») stabilisce infatti, al comma 1, che
ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana da parte dello straniero nato in Italia e ivi residente ininterrottamente per diciotto anni, non siano imputabili all’interessato gli eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della pubblica amministrazione e che egli può dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea
L’interpretazione estensiva dell’articolo 4 della legge n. 91/1992 è stato – secondo Mohamed Tailmoun, portavoce della Rete G2 – un risultato importante perché autorizza gli uffici periferici dell’amministrazione pubblica, come gli uffici dell’anagrafe, a considerare come testimonianza della presenza continuativa in Italia del figlio di stranieri anche altri documenti oltre all’iscrizione anagrafica, come la frequenza scolastica, attestati conseguiti o certificati di frequenza di corsi, o l’iscrizione al pediatra/medico di base, interpretando, così, l’articolo a favore del richiedente. Diversi Comuni hanno inoltre facilitato, attraverso l’applicazione delle norme contenute nel Decreto, le operazioni di istruttoria della richiesta di cittadinanza.
Un altro risultato importante della campagna
18 anni in… Comune è stato un avvicinamento tra molti sindaci (e amministrazioni) e giovani di seconda generazione con la
creazione di alcuni uffici informativi dedicati alle seconde generazioni. A Milano, ad esempio, è nato nel 2013
G.Lab, laboratorio di cittadinanza urbana, uno sportello informativo sulla cittadinanza, il lavoro e lo studio per giovani, famiglie, insegnati e operatori culturali nonché spazio per l’organizzazione di incontri culturali.
Da ultimo, sul tema cittadinanza è importante segnalare, nell’estate del 2015, l’approvazione da parte della Commissione Affari Costituzionali della Camera del testo unificato di riforma sulla cittadinanza. Tale testo, che raccoglie ventiquattro proposte di modifica, introduce il principio dello
ius soli temperato – cittadinanza a chi nasce in Italia da genitori legalmente soggiornanti da almeno cinque anni – e dello
ius culturae – acquista la cittadinanza italiana lo straniero che completi in Italia uno o più cicli di istruzione – per i ragazzi che arrivano in Italia prima dei dodici anni. Il continuo rinvio del dibattito, ripreso solo alla vigilia della chiusura estiva dei lavori parlamentari, sembra però ai responsabili della Rete G2 segno della scarsa attenzione data al tema. Ancora secondo Tailmoun, il testo unificato presentato appare «quasi un contentino, uno sconto di pena sugli anni che è necessario aspettare per vedere riconosciuti i propri diritti».