Dalle pubblicazioni studentesche degli anni '70 alle opere che si ispirano al sufismo, il panorama di una produzione ricca e articolata, che rispecchia le diversità e le contraddizioni delle diverse anime dell'Islam della Penisola.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:19

Tra le prime pubblicazioni promosse da musulmani in italiano, vanno annoverati i volumetti editi dall'Unione degli Studenti Musulmani in Italia, negli anni '70. Si tratta prevalentemente di opere degli intellettuali di riferimento del radicalismo islamico, come al-Mawdûdî e Sayyid Qutb, tradotti di solito e spesso malamente dall'inglese. Dalle brevi introduzioni che li precedono, emerge l'impostazione dei promotori, fortemente dipendente dalla situazione di crisi generatasi nel mondo arabo-musulmano dopo la disfatta del '67: il ritorno all'Islam come unica ideologia capace di rispondere all'ansia di riscatto derivante dalla perdita di credibilità delle opzioni nazionalista e socialista che avevano dominato nella prima metà del '900. Va rimarcato il fatto che la presenza islamica in Italia, allora meno legata alla migrazione di lavoratori, ha visto prevalere al principio il ruolo di questi studenti, concentrati soprattutto nelle città universitarie, e che da tale caratteristica dipende anche il taglio delle pubblicazioni. Non si trattava quindi di materiale legato a una determinata comunità o centro insediato in uno specifico territorio, tanto meno collegato a personaggi riconoscibili attivi nel nostro Paese, e vi predominavano tematiche di tipo generale, fortemente collegate alle tensioni interne al mondo musulmano dell'epoca. Del tutto diversa è la situazione del bollettino periodico Il Messaggero dell'Islam, edito dal Centro Islamico di Milano e della Lombardia. Sorto nel '74, questo Centro ha esordito come sala di preghiera dove confluivano molti immigrati e alcuni convertiti che hanno avuto un ruolo decisivo nella conduzione delle attività, anche editoriali, che fanno capo al Centro stesso. Rendere visibile e stabile la presenza dell'Islam a Milano e in Italia era il suo obiettivo; dall''82 iniziò quindi a pubblicare la rivista di cui ci occupiamo (della quale sono usciti finora circa centocinquanta numeri) e dall''84 ha una moschea vera e propria nella zona di Lambrate. Ci occupiamo di questa rivista per la sua anzianità, perché abbastanza diffusa, e per la relativa regolarità con cui è stata pubblicata. Che tipo di Islam è quello presentato dalla rivista? Si tratta di una concezione radicale, di tendenza salafita, che ripropone la ricetta islamica tradizionale nelle sue forme canoniche. Non operando in ambiente islamico, ampio spazio viene riservato dalla rivista ai rapporti con l'Occidente e il Cristianesimo, spesso non ben distinti, con una proiezione del punto di vista islamico sull'ambiente ospitante. L'Islam che essa propone è di tipo "antagonista", sia verso le deviazioni degli altri islamici sia verso l'ambiente circostante. Fin dalle sue origini, la rivista e il gruppo di cui è espressione hanno chiaramente dichiarato il proprio rifiuto verso il dialogo interreligioso, com'è comunemente inteso. Già nel suo terzo numero (dicembre 1982), in occasione del Natale, il bollettino definisce in un editoriale il Cristianesimo come «culto idolatrico», e in un lungo articolo ribadisce la visione coranica di Gesù. Ciò sembra preludere a una netta presa di posizione sul rapporto con i cristiani in un articolo del n. 7 (aprile 1983), intitolato eloquentemente Dialogo impossibile. Si prende spunto da un discorso del Card. Martini (definito «Principe della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, Trinitaria e Incarnazionista») che affermava: «L'opposizione più profonda del nostro tempo non è propriamente tra chi crede e chi non crede, ma tra chi crede in Dio e chi adora gli idoli». Considerando tale affermazione «vera solo se letta in chiave islamica», non si approfittava per vagliare le moderne forme di neo-paganesimo, ma per ribadire che l'opposizione è «tra Dio e le numerose divinità fittizie proposte all'adorazione degli uomini da gruppuscoli di "inventori di religioni", i quali, con maggiore o minor fortuna, sono entrati a far parte della Storia dell'umanità». L'affermazione più interessante è però: «Il dissolvimento di identità non è conseguenza ma causa del dialogo», ritenendo che solo una consapevolezza fiacca e confusa della propria appartenenza religiosa può indurre ad accettare idee bizzarre come quella del dialogo. Naturalmente le iniziative cristiane in questo settore sono stigmatizzate: l'incontro di Assisi promosso dal Papa («abile show-man in questa società dello spettacolo, dello star-system e delle telenovelas») è nettamente rifiutato. Non sono tuttavia mancate variazioni che vorremmo brevemente approfondire: il Centro Islamico di Milano si vuole porre come rappresentante dei musulmani, e ha sviluppato una certa concorrenza con la Moschea di Roma, ma questo lo porta necessariamente a porsi come interlocutore delle autorità civili e religiose, e a ciò un certo massimalismo non sempre giova... Un inasprimento sembra comunque emergere in risposta all'omelia del Cardinale C.M. Martini, che è stato tra le prime autorità religiose cattoliche a occuparsi delle sfide dell'interculturalità, affrontando la questione della compatibilità tra due differenti concezioni del rapporto tra religione e società nel tradizionale discorso alla città tenuto in occasione della festività di sant'Ambrogio nel 1990. Conformemente alla sua originaria impostazione, la rivista ha reagito, nel n. 80 (dic. 1990/gen. 1991), alle "provocazioni" contenute nel messaggio dell'Arcivescovo definite: «Aperta interferenza inammissibile negli affari interni dello Stato italiano, in relazione alla sua politica nei confronti del fenomeno della cosiddetta immigrazione extra-comunitaria, la cui gran parte proviene dall'area geo-politica dell'Islam». Questa "non ingerenza" della religione nella sfera politica appare paradossalmente molto laica e molto poco "islamica" e, richiamandola come presupposto, gli autori non si sono evidentemente accorti di mettersi sulla stessa linea di quella distinzione di campi richiamata dal Cardinale stesso. Non sapremmo dire se l'emergere di tali contraddizioni, o piuttosto una valutazione di opportunità, ha tuttavia presto determinato un drastico mutamento di rotta. Due numeri dopo (n. 82/aprile-maggio 1991), infatti, in prima pagina è apparso un articolo dal titolo Un dovere di tutti i credenti: Lottare unitamente contro l'ingiustizia. A prescindere dalle divergenze teologiche. Nel maggio del '93 (n. 103), un ulteriore e lungo articolo firmato da Abdul Gialil Randellini ritornava sul tema con considerazioni analoghe. Cinque anni dopo, nel numero 120 (luglio 1996), un lungo articolo intitolato Islam ed Europa. Superare gli ostacoli per un rapporto costruttivo, analizza non solo i pregiudizi occidentali verso l'Islam (come altri pezzi precedenti e successivi relativi all'islamofobia), ma anche i preconcetti dei musulmani verso l'Occidente. Un atteggiamento di autocritica interessante e significativo, fino ad allora inedito, dettagliato nel seguito dell'articolo con esempi eloquenti di atteggiamenti e affermazioni da evitare, non solo controproducenti, ma anche ritenuti non conformi all'autentico spirito islamico. Siamo davvero ad anni luce di distanza rispetto alle posizioni espresse vent'anni fa. Altre pubblicazioni che fanno capo al medesimo Centro, della casa editrice Il Calamo, sono invece presentazioni della dottrina islamica, del culto musulmano e una vita del Profeta di 'Abd al-Rahmân Pasquini di stampo tradizionale, apologetico e condito con qualche cenno polemico. Lo stesso autore si è cimentato anche in una traduzione parziale del Corano. Il Profeta e il Corano Un altro italiano convertito, Hamza Massimiliano Boccolini, responsabile dell'Associazione culturale islamica napoletana Zayd ibn Thabit, ha pubblicato una vita di Muhammad, nella quale troviamo maggiori riferimenti sia alle fonti islamiche che a opere di orientalisti, il che si deve probabilmente alla preparazione accademica dell'autore, che gli ha consentito di produrre un'opera sempre di carattere agiografico, ma un po' meglio documentata. A lui si deve anche uno studio sulla comunità islamica partenopea.1 Sempre a Napoli, la Moschea di Corso Lucci ha pubblicato nel 1999 un volume intitolato Storie dei Sahaba, di Muhammad Zakariyya Kandhalvi, tradotto da Mario Abdullah Cavallaro: si tratta di una raccolta di aneddoti edificanti relativi ai Compagni del Profeta, che ha una certa diffusione tra i giovani musulmani italiani. Quanto al Corano, la traduzione completa maggiormente diffusa è quella di Hamza Roberto Piccardo dell'UCOII, recentemente criticata da Magdi Allam sul Corriere della Sera per il carattere "militante" delle note che accompagnano il testo. Non è questa la sede per approfondire il tema delle diverse traduzioni italiane del Corano, per cui ci limiteremo a rilevare che, in effetti, proprio le note possono rappresentare il contributo più originale in versioni italiane del Corano promosse da musulmani. Vanno segnalate, della stessa fonte, altre iniziative editoriali, tra le quali soprattutto la traduzione in italiano di opere di Tariq Ramadan (pubblicate sia dall'editrice al-Hikma, collegata all'UCOII, sia presso altri editori), personaggio controverso ma interessante per due motivi almeno: da un lato ha molto seguito, e quindi rappresenta posizioni nelle quali un consistente numero di musulmani, specie giovani immigrati di seconda generazione dell'area francofona, si riconoscono; dall'altro si sforza di proporre una lettura dell'Islam fedele alla tradizione, ma allo stesso tempo capace di emanciparsi da alcune dipendenze rispetto ai modelli di pensiero prevalenti nei paesi musulmani. Più legate alla singola e poliedrica personalità dell'autore sono le opere di Gabriele Madel Khan, anch'egli traduttore del Corano in italiano, in una versione rimasta tuttavia a lungo inaccessibile per il prezzo elevatissimo, ma ora disponibile anche in edizione economica, per i tipi della Utet. Anche il Centro Culturale Islamico d'Italia, con sede a Roma, ha a lungo pubblicato un bollettino ciclostilato che da qualche tempo, tuttavia, non esce più, e che comunque raccoglieva notizie legate più agli ambienti diplomatici arabi della capitale o a iniziative di grandi istituzioni islamiche internazionali che alla realtà dei musulmani presenti in Italia. Recentemente la sezione italiana della Lega Musulmana Mondiale ha intrapreso la pubblicazione di una rivista on-line intitolata Islamica, di cui sono tuttavia usciti solo due numeri: nell'autunno del 1998 e nella primavera del 1999. Il fine della rivista sarebbe quello di dar voce alla presenza islamica in Italia, sotto gli auspici della Lega del mondo musulmano, che si pone come soggetto non esclusivo, ma di coordinamento delle varie associazioni già esistenti. Si fa cenno esplicitamente al Consiglio islamico di recente istituzione e allo scopo primario che esso si pone: l'intesa con lo Stato italiano... iniziativa che non ha tuttavia dato i risultati sperati. Si intende uscire dai "ghetti tematici" di tipo politico, sociologico o folkloristico, così come si dichiara di non voler far mera opera di propaganda. Un Filone Alternativo Con i volumi pubblicati da membri della CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) ci troviamo di fronte ad alcune rilevanti novità. Come per i precedenti casi, si conferma il ruolo prevalente degli italiani convertiti nel panorama dell'editoria di stampo islamico nel nostro Paese. Anche il fatto che, per toni e argomenti oltre che per lingua si tratti di testi indirizzati al pubblico italofono accomuna i due tipi di produzioni. Ma vi sono anche notevoli differenze. Anzitutto la collocazione editoriale presso case editrici di prestigio e il diverso taglio delle opere, che hanno non solo una veste grafica più dignitosa, ma anche un impianto decisamente più rigoroso. Sono opere che si richiamano esplicitamente al sufismo, inteso come dottrina esoterica trasversale non solo interna dell'Islam, ma che tende a ricomprendere in sé anche le altre fedi nel quadro di una medesima religio perennis. Come stabilire se la visione esposta in queste pagine sia in linea con quella comunemente espressa nel pensiero musulmano, di cui essa si considera la fedele interprete e la legittima erede? Pur degna di considerazione e rispetto, oltre che dotata di un innegabile fascino, questa lettura ci pare proponga una tra le possibili interpretazioni di come l'Islam "dovrebbe essere", più che l'immagine di quello che esso "effettivamente si concepisce e in buona sostanza è". Pur non avendo alcuna intenzione di contestarla, trovandola in sé legittima tra le altre possibili, non possiamo evitare tuttavia di domandarci, da un lato, fino a che punto questa impostazione esprima posizioni consapevolmente e sistematicamente condivise in ambito islamico, e dall'altro quanto differisca davvero dalle altre. Nella prefazione alla seconda edizione italiana di Islam interiore (Il Saggiatore, 2002), per esempio, viene richiamata esplicitamente la figura dello shaykh 'Abd al-Halîm Mahmûd, Rettore dell'Università di al-Azhar dal 1973 al 1978. Viene dunque spontaneo domandarsi fino a che punto il pensiero di tale prestigiosa autorità islamica corrisponda alla sintesi della visione esoterica esposta nel libro dello shaykh Pallavicini. Da un lato è innegabile che il citato shaykh di al-Azhar abbia operato per una valorizzazione del sufismo, superando le resistenze e i sospetti che a suo riguardo persistono negli ambienti islamici ufficiali. Ma come conciliare l'affermazione spesso ripetuta nel libro che «Non vi è proselitismo nell'Islam» (es. p. 127) e il fatto che proprio lo shaykh 'Abd al-Halîm Mahmûd promosse all'interno di al-Azhar la costituzione di una Kulliyyat al-Da'wa (Facoltà della Propaganda Islamica) nel 1978? E soprattutto come passare sotto silenzio durissime affermazioni di costui a proposito dell'Ebraismo o del Cristianesimo? Se da un lato è legittimo che Pallavicini denunci «concezioni di esclusivismo egemonico cristiano nei confronti delle altre religioni» (p. 95), peraltro ufficialmente e solennemente superate da pronunciamenti come quelli del Concilio Vaticano II, dall'altro stupisce che le medesime non siano rilevate in autorità islamiche, cui pur si fa volentieri riferimento per altri aspetti. Come si può affermare che «voler credere che Dio abbia dato al mondo una sola vera Rivelazione, da identificarsi con la propria» sia un «atteggiamento occidentale moderno» (p. 111) ignorando che la medesima posizione viene comunemente espressa continuamente dalle supreme istituzioni islamiche mondiali? Sulla stessa linea ci pare si muovano sia i successivi volumi di altri membri della CO.RE.IS2: la Comunità Islamica delle origini ci viene presentata come un'ideale "società teocratica", senza soffermarsi minimamente sugli interrogativi che una simile definizione può legittimamente sollevare. I problemi e le ombre sono tutti messi in conto all'allontanamento dagli ideali primigenii, che si sarebbe prodotto dopo la fulgida età delle origini. Il fatto che ben tre dei primi quattro califfi siano morti assassinati, e che proprio in quegli anni si sia prodotta la profonda spaccatura tra sunniti e sciiti che ancor oggi divide i musulmani, non sembra destare alcuna preoccupazione. Eppure, senza alcuna remora, si rimproverano agli studiosi occidentali «imbarazzanti lacune per mancanza di obiettività e di rigore accademico» e al nazionalismo arabo si rinfaccia di «sbilanciarsi nella ricostruzione di un passato storico idealizzato e deformato». Persino gli scarsi risultati del dialogo interreligioso, promosso dalla Chiesa, vengono attribuiti a carenze di quest'ultima, mentre nulla sembra inficiare l'efficacia dei presunti felici connubi peraltro non specificati che l'Islam avrebbe mirabilmente realizzato con altre tradizioni religiose in Oriente! A questi musulmani europei, che insieme agli altri concludono che «l'Islam non ha bisogno di rinnovarsi» cullandosi nella medesima autoreferenzialità, sembra dunque mancare ciò che maggiormente dovrebbe caratterizzarli: il beneficio del dubbio, la capacità di problematizzare, la disposizione all'autocritica. In sintesi, possiamo notare nella letteratura islamica in lingua italiana un taglio dominante di tipo apologetico, quando non propagandista, ben comprensibile se si tiene conto del clima culturale fortemente polarizzato che caratterizza quanto attualmente si scrive in Italia a proposito dell'Islam. Non mancano tuttavia apprezzabili variazioni di tono e differenti tipologie editoriali, che riflettono una realtà ormai variegata nella quale, accanto a una forte dipendenza dai modelli dei paesi d'origine, si distinguono tentativi di adeguamento alla duplice e inedita situazione dei convertiti e dei musulmani immigrati, più consapevoli delle opportunità e delle sfide che il radicamento, o comunque l'integrazione nel tessuto della società italiana, porta necessariamente con sé. Credo che il fattore che maggiormente inciderà nel prossimo futuro potrà essere il ruolo delle nuove generazioni, soprattutto di quelle che sapranno coltivare interessi umanistici e culturali, senza limitarsi all'acquisizione di saperi tecnico-scientifici. Determinante sarà il rapporto che esse sapranno sviluppare, da un lato con le leadership "storiche" dei gruppi e nei gruppi islamici organizzati, e dall'altro con la società civile e le istituzioni del nostro Paese. Senza dubbio tale evoluzione produrrà anche forme di espressione e di trasmissione diverse, che andranno seguite pur tenendo presente che non va comunque troppo enfatizzato il valore di ciò che viene pubblicato, come se l'Islam "di carta" fosse più importante dell'Islam "di carne"... Una storia, dunque, ancora tutta da scrivere, ma appunto, prima ancora di questo, ancora tutta da vivere. ------------------------------- 1. H. M. Boccolini, L'Islam a Napoli. Chi sono e cosa fanno i musulmani all'ombra del Vesuvio, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2002. 2. Yahya Sergio Yahe Pallavicini, L'Islam in Europa, prefazioni di Rocco Buttiglione e Amos Luzzatto, Il Saggiatore, Milano 2004.

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