Nel vecchio sistema dei valori, l'identità si legava all'idea di supremazia nazionale, mentre il concetto di alterità serviva a identificare lo straniero.Nel nuovo sistema identità e alterità sono riconosciute come dimensioni complementari e costitutive dello sviluppo umano.
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:18
Si racconta nelle scuole l'apologo del padre di famiglia che voleva dare un'educazione a suo figlio, mandandolo a scuola da un "sofista". Poiché il prezzo richiesto per le lezioni gli sembrò esoso, chiese a che cosa sarebbe servita una spesa così alta. Il sofista rispose: «Quando tuo figlio andrà a teatro per assistere alla rappresentazione di una tragedia, non sarà una pietra seduta su un'altra pietra». In tal modo alla domanda che riguardava il campo dell'utile, quello della volizione del "particolare", il sofista diede una risposta che rimandava all'ordine della verità e del bene, cioè quello della conoscenza e della volizione dell'"universale". È questa una delle più importanti "eredità" trasmessaci dalla speculazione ellenica. Il desiderio naturale di conoscere, di cui parla Aristotele nelle prime pagine della Metafisica, riguarda la conoscenza disinteressata dell'Essere, attraverso la ricerca della cause, cioè dell'invisibile che spiega il visibile [Metafisica, lib. 1, 980 a.]. Sarà poi la conoscenza disinteressata, con le sue "scoperte", a creare le condizioni per le "invenzioni" che trasformeranno la vita dell'uomo nel suo essere nel mondo, creando anche nuove opportunità di benessere e di utilità. Così che dal puro desiderio di conoscere e capire sono derivati i tanti mutamenti positivi nella vita dell'uomo. Questo desiderio è stato, è e sarà il seme da cui trae veramente origine il fenomeno della globalizzazione. Ma cosa dobbiamo intendere per globalizzazione? Nel 1983 l'economista americano Theodore Levitt inventò il termine "globalizzazione". Egli coniò questa parola solo per indicare quella dimensione economica nuova, che si andava delineando a livello planetario o, meglio, mondiale [cfr. Les racines de la mondialisation: De Rome a New York, in «L'Histoire», novembre 2002, p 33]. Se parliamo dal punto di vista storico, la globalizzazione può essere fatta risalire al XV secolo, all'epoca delle conquiste europee e del mercantilismo. Se seguiamo quanto affermava nel 2000 J.A. Scholte in Globalization, A critical Introduction, (pp. 15-16) per globalizzazione possiamo intendere: internazionalizzazione, liberalizzazione, universalizzazione, modernizzazione, sopraterritorialità. Ma tutti questi termini non sono sufficienti a spiegare l'insieme del fenomeno. Inoltre riflettono l'abitudine di valutare le politiche e le pratiche delle altre civiltà sulla base di principi e di ideali, che sono in voga nell'Occidente (un Occidente che va specificato con l'aggettivo di "atlantico", perché considerato dal punto di vista geo-culturale). Sono sempre più evidenti e vanno tenute in considerazione le molteplici modernizzazioni non occidentali, vale a dire non atlantiche. Per essere onesti intellettualmente dovremmo cercare di considerare, nella nostra sintetica analisi della globalizzazione, lo sguardo degli "altri" (Cina, India, paesi islamici, Africa) sull'Occidente. Anche perché nella loro ottica i principi nostri non sono universali e soprattutto non sono convincenti. Infatti certi "nostri" ideali più cari sono nelle pratica traditi e perdono la loro credibilità con un comportamento occidentale non sempre coerente. E i valori celebrati dai nostri postmoderni come il rispetto per l'altro, il differente, e il senso dell'identità che si compie solo nella relazione sono molto spesso ignorati nella pratica geopolitica occidentale. Inoltre, mentre l'implosione dell'Unione Sovietica e l'apertura economica della Cina hanno accelerato e intensificato la globalizzazione secondo il modello neoliberale, spingendo però a una compressione e una simultaneità dello spazio/tempo planetario (di omogenizzazione, di uniformizzazione e di standardizzazione), è altrettanto vero che la Cina, l'India, il Sud-Est asiatico e il mondo islamico contestano l'universalità dei nostri valori e proclamano non una, ma molteplici traiettorie di modernizzazione. I valori asiatici oggi sono molto in voga e le modernizzazioni non occidentali (Cina, India, Malesia) hanno un successo economico che attira l'attenzione degli investitori. Con la globalizzazione d'ispirazione neoliberale, la nostra epoca vive, al tempo stesso, la contestazione di uno schema egemonico, secondo il quale la modernità occidentale (atlantica da Roma a New York o, se si preferisce, da Atene a Seattle) costituisce il termine dello sviluppo storico. Nelle terre dell'Islam la cultura e la religione sono ridivenute punti di riferimento. I due colossi dell'Asia, la Cina e l'India, si profilano già come delle "alterità" coronate da successo economico. L'affermazione di una loro identità chiara e di progetti propri domandano a tutti e, quindi, anche agli occidentali "atlantici" un atteggiamento più aperto. Oggi più che mai l'umanità intera è chiamata a porsi nella prospettiva di pienezza, che è portata a compimento dalla pluralità e dalla differenza. Infatti è sempre più evidente che la globalizzazione non è il prodotto di un'unica cultura, di idee e di valori tipici di una sola civiltà, e non è più sinonimo di omogeneità o di conformità. Si tratta di un processo molto più complesso, risultato di circostanze, di interessi e forze molteplici [cfr. F. Rajaee, La mondialisaton au banc des accusés: La condition humaine et la civilisation, 2001]. La globalizzazione non è un fenomeno uniforme e si caratterizza piuttosto per un movimento di idee e di valori che si confrontano, si spingono, si ritirano, si sviluppano, si diffondono, si cristallizzano e si trasformano di nuovo. Di più, le idee e i valori che sottendono la globalizzazione non dipendono dal fenomeno in sé. La prova è che queste idee e valori possono essere espulsi senza pertanto mettere in questione l'idea stessa di globalizzazione. Quindi per essere realista, il progetto di una governance mondiale dovrebbe orchestrarsi nel rispetto dell'integrità culturale delle comunità. Esso potrà essere effettivo solo se le comunità si impegneranno nella discussione e nella costruzione non solo del dialogo fra culture differenti, ma anche di una cultura mondiale concertata e condivisa. La Chiesa accompagna l'umanità nella scoperta del volto umano della globalizzazione, non solo sottolineando l'urgenza di globalizzare la solidarietà, di globalizzare la carità per edificare una «civiltà dell'amore» (espressione lanciata da Paolo VI, spesso ripresa da Giovanni Paolo II e ora anche da Benedetto XVI). Il compianto Papa Giovanni Paolo II ebbe, fra l'altro, a dire: «L'umanità nell'intraprendere il processo di globalizzazione non può più fare a meno di un codice etico comune. Con ciò non si intende un unico sistema socioeconomico dominante o un'unica cultura che imporrebbero i propri valori e criteri all'etica. È nell'uomo in sé, nell'umanità universale scaturita dalla mano di Dio, che bisogna ricercare le norme di vita sociale. Questa ricerca è indispensabile affinché la globalizzazione non sia solo un altro nome della relativizzazione assoluta dei valori e dell'omogeneizzazione degli stili di vita e delle culture» (27 aprile 2001). A questo riguardo l'educazione può fare molto. Ovviamente un'educazione che formi delle persone a essere "cittadini del mondo". Sempre Giovanni Paolo II insegna: «L'appartenenza alla famiglia umana conferisce a tutte le persone una specie di cittadinanza mondiale, donandole diritti e doveri, ed essendo gli esseri umani uniti da una comunità d'origine e da un destino supremo La condanna del razzismo, la protezione dei minori, l'assistenza ai rifugiati, la mobilitazione della solidarietà internazionale verso i più bisognosi non sono che applicazioni coerenti del principio della cittadinanza mondiale» [Messaggio per la Pace del 1° gennaio 2005]. Questo principio mette in questione gli obiettivi e i contenuti dell'insegnamento e dell'educazione. Nel sistema dei valori "antico", l'identità faceva eco a concetti di supremazie nazionali, di superiorità occidentale mentre il concetto di alterità serviva a identificare lo straniero, in genere considerato come inferiore, se non pericoloso. Nel sistema nuovo di valori "identità" e "alterità" sono riconosciute come dimensioni complementari e costitutive dello sviluppo umano. La centralità della dialettica tra "identità" e "alterità" nello sviluppo della persona umana introduce la necessità di fare i conti con le dimensioni del "tempo" e dello "spazio". Cioè sui luoghi e sulla storia e la tradizione di chi incontriamo. L'immagine dell'arco e della freccia può essere utile per illustrare la questione: più la corda dell'arco "educativo" è tesa verso "il passato" e "l'altrove", più lontano va la freccia della persona in fase di sviluppo, di crescita, verso l'"avvenire", oltre il "qui e ora". Questo implica l'educazione alla diversità e alla complessità culturale, nella duplice prospettiva della "globalità" e della "pluralità". Questa educazione dovrebbe appoggiarsi sulla trasmissione dell'eredità culturale mondiale, con particolare riferimento: alla specificità e diversità delle religioni, alla conoscenza dell'ateismo e dell'agnosticismo, alla geografia fisica, politica ed economica, alle grandi linee della storia e delle culture dei popoli e della nazione, all'evoluzione delle scienze e delle tecnologie, all'apprendimento linguistico e culturale delle lingue vive, alla scoperta dei codici e linguaggi universali, alla scoperta dei diritti dell'uomo, e, soprattutto, alla tensione per una coerenza del sapere, che riunisca quello scientifico a quello umanistico. Quasi tutti questi punti "caldi" dell'educazione sono all'ordine del giorno nella discussione e nell'attività degli organismi internazionali intergovernativi, soprattutto dell'UNESCO. Ma questo è anche un possibile programma di materie scolastiche, che vanno certamente rivisitate nella prospettiva del punto finale che esige una "trans e inter disciplinarietà". Ma quello che mi permetto di sperare è che queste prospettive diano all'insegnamento tutto il suo senso e il suo valore, quando l'insegnamento di una disciplina è, come dovrebbe essere, al servizio un'educazione globale. Con questa espressione non intendo sostenere una versione aggiornata della cultura enciclopedica, bensì di una vera "formazione" di persone capaci di incontrare quotidianamente culture diverse, con mentalità diverse, capaci di pensare "cattolicamente" «Con un'anima cattolica» direbbe Paul Claudel vale a dire capaci di cogliere i frammenti di verità, da chiunque siano portati, attraverso i quali ci si può aprire a un abbraccio sempre più largo con la Verità. Senza rinunziare a un'apertura enciclopedica, globale, è importante non dimenticare quanto sia importante educare alla sintesi, offrendo un punto di prospettiva, ovverosia fornire strumenti e punti di vista per una visione non solo complessa, ma complessiva della realtà. Notiamo però che quasi sempre nelle istituzioni scolastiche si tende a presentare tutto il reale, scomponendolo mediante una forte parcellizzazione delle iniziative, dei saperi e degli ambiti. Sembra che tutto sia retto da un principio centrifugo: tante competenze, tante discipline, tanti interessi. Non basta, secondo me. È necessario proporre il significato globale, un'unità di sapere che permetta un'unità della persona. Già lo studente stesso, per primo, tende a collocare quanto apprende nelle varie caselle della sua bacheca. Occorre educarlo a vedere che quello che sta imparando ha a che fare con la condizione umana nel mondo e con la sua ricerca di senso. Diversamente, avremo dei competenti che saranno insipienti. C'è bisogno di maestri che siano capaci non solo di comunicare delle nozioni, ma anche il senso (inteso come significato e direzione) della vita. E questo non può e non deve essere spiegato con un "metadiscorso", ma attraverso il proporsi come termine di paragone, per sviluppare e risolvere l'ipotesi di lavoro della vita, con una capacità critica e sistematica. Non basta proporre, occorre allenare a un paragone, insegnando «come l'uom s'etterna» [Dante, Inferno, XV, 85]. Cercare l'Infinito attraverso il finito, cercare l'Eterno attraverso il temporale, cercare la Verità attraverso il cammino fra tante verità parziali, mi pare che sia il cammino educativo che ogni essere umano sente di dover compiere. Per fare questo occorre insegnare a guardare "le cose", per trovare "attraverso" la realtà contingente quella eterna. Cerco di spiegarmi con l'aiuto di Blaise Pascal in una delle sue incantevoli lettere a M.lle De Roannez: «Tutte le cose nascondono qualche mistero: tutte le cose sono veli che nascondono Dio. I cristiani devono riconoscerlo in ogni cosa. Le afflizioni temporali nascondono i beni eterni, a cui esse conducono. Le gioie temporali nascondono i mali eterni che esse causano» [B. Pascal, Lettre à M.lle de Roannez, IV]. In altri termini: «Ciò che allo sguardo dell'esperienza sensibile appare come metafora, è, invece, realtà», alla quale l'educazione deve introdurre. Ciò che, al contrario, appare al nostro sguardo "carnale" come realtà, visto con lo sguardo dell'eternità, si mostra solo come un "segno", un simbolo, che serve a fare intravedere la realtà autentica, la quale rimane invisibile agli occhi della carne. Ciò che sembra il sogno evanescente di un solo giorno, si manifesterà, alla fine, come realtà eterna. Ciò che sembra "cosa salda" svanirà, invece, inghiottito dallo scorrere del tempo. La missione di maestro racchiude il grande compito e la pesante responsabilità di far aprire gli occhi ai "discenti", affinché imparino a riconoscere e a distinguere la realtà al di là di ogni metafora. Il compito del docente consiste nel "togliere" la benda che annebbia la vista dei discepoli, e fare in modo che essi si aprano alla visione di ciò che "realmente è", come è accaduto ai discepoli di Emmaus [cfr. Lc 24, 13-33]. Oggi come non mai tutte le istituzioni educative devono allargare lo sguardo al mondo, consapevoli che l'alterità è ricchezza che non consuma né cancella l'identità, ma rinforza e fa crescere il sé. Se la globalizzazione non è anche educazione a questo sentire comune, diventa solo mercificazione e consumo, non ricchezza ma impoverimento dell'uomo e della realtà. Il maestro è, quindi, colui che aiuta il discepolo ad aprire gli occhi, per liberarsi dalle illusioni, cercando di scorgere i segni che lo aiutino a intravedere la realtà che non passa. Il maestro più che trasmettere delle verità in funzione di un sistema globale, deve insegnare a "pensare" e a "ragionare" in modo globale, in modo che il giovane percorra da sé il cammino verso la scoperta di ciò deve arricchire la sua anima, riempire il suo cuore con una sapienza capace di "stupore", che secondo le parole dei grandi maestri (da Aristotele in poi) è la radice prima di ogni conoscenza.