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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:52:17

Trevor Philips, presidente della Commissione per l'Uguaglianza Razziale, espose questa relazione al Seminario Interreligioso a Roma nell'aprile 2005, prima che avessero luogo gli attacchi terroristici a Londra. Alla redazione di Oasis che gli chiedeva se modificare il suo testo, il presidente Philips ha così risposto: «Queste atrocità non hanno minato ma hanno dato urgenza al bisogno di unificare la società britannica e di difendere i suoi valori fondamentali. Il traguardo dell'integrazione il centro d'interesse del discorso che segue rimane fondamentale». Perché non riusciamo semplicemente ad andare d'accordo? è da questa semplice domanda che emerge l'importanza del tema della parità razziale. è la stessa domanda suscitata dall'episodio di Rodney King: bisogna tornare indietro di parecchi anni con la memoria, alle sommosse di Los Angeles del 1992. Tutto è stato scatenato dalle percosse inflitte a Rodney King, un fatto che ha posto questa domanda: "Ma perché non riusciamo semplicemente ad andare d'accordo?". Possiamo codificare e declinare questa domanda in moltissimi modi diversi, possiamo darle anche una patina politica, ma alla fine questa è la domanda essenziale dell'era odierna: come è possibile che persone con tradizioni diverse, di razze diverse, possano convivere in modo pacifico? Per rispondere a questa domanda fisserò dei punti, spesso facendo riferimento alla storia della Gran Bretagna, una terra verso cui i flussi migratori non hanno praticamente mai avuto sosta. Inizialmente l'immigrazione è stata indesiderata: i vichinghi hanno razziato e si sono macchiati di violenze, poi sono arrivati i romani che hanno portato un certo tipo di civiltà, poi gli ebrei, quindi i cattolici. Nel corso di tutti questi secoli la Gran Bretagna ha saputo affrontare queste invasioni, e oggi affronta un'altra "invasione", quella dei 1,6 milioni di musulmani circa il 3% della popolazione britannica e quella relativa al grande flusso migratorio dall'Europa dell'Est. A Londra è impossibile andare in un ristorante senza essere serviti da qualcuno con accento slavo. Chiunque conosca coppie con bambini piccoli appartenenti al ceto borghese londinese, saprà che stiamo allevando una generazione di bambini che parlano inglese con accento polacco, dal momento che tutte le loro baby-sitter sono di etnia polacca. Questa per noi è una sfida. La Gran Bretagna ha subito una trasformazione molto profonda dalla fine della seconda guerra mondiale: a Leicester la minoranza non bianca sarà la maggioranza entro i prossimi cinque anni; nella capitale il trenta per cento dei residenti non sono di razza bianca, ci sono più di trentacinque comunità ed etnie. Quando noi pensiamo alla domanda posta dal caso Rodney King, ebbene, a Londra nello spazio di una generazione tutti i cittadini di recente residenza britannica si concepiscono come cittadini londinesi, londoners. Invece in Germania la situazione è diversa: pur essendo alla quarta generazione i cittadini di origine turca ancora vengono descritti e si percepiscono essi stessi come turchi. Naturalmente niente è perfetto, e in altre città, per esempio nel Nord dell'Inghilterra questo processo non dà i risultati sperati: ci sono ragazzi che hanno problemi a incontrarsi fuori da scuola e la maggior parte dei ragazzi sotto i 30 anni tende a frequentare esclusivamente gruppi di amici composti da persone della stessa razza e religione. L'integrazione non è un processo autonomo: dobbiamo creare programmi che possano stimolarlo. A questo punto sono necessarie due premesse: innanzi tutto parlare di integrazione non significa parlare di assimilazione. Non si chiede alle persone di dimenticare il loro passato e diventare identiche alle altre, di attenuare o eliminare elementi della loro identità: non si parla di conformità. In secondo luogo credo che le società divise siano società instabili e che si debba fare in modo che ci sia un incontro tra persone diverse. è il processo di interscambio e di interazione che chiamiamo integrazione: bisogna che questo processo avvenga alla velocità giusta e nel modo giusto. La maggior parte dei paesi occidentali nel giro di una generazione affronterà questo problema, come la Gran Bretagna sta già facendo. L'economia britannica ha sempre accettato gli immigrati e anche se adesso i flussi migratori si dirigono verso gli Stati Uniti, abbiamo ancora bisogno di questi flussi migratori: basti citare il sistema sanitario nazionale, dove un terzo degli addetti sono nati, formati e addestrati all'estero. Noi non faremo comunque in tempo a preparare un numero sufficiente di infermieri per sostituire quelli che vanno in pensione e quindi attingiamo da paesi diversi, soprattutto dalle Filippine. C'è un fatto strano che voglio sottolineare. La maggior parte dei paesi, che non hanno un ministero apposito che si occupi di immigrazione, finiscono per farla ricadere tra le competenze del ministero della Giustizia, e quindi tutto il processo di sviluppo per la politica per l'immigrazione si "contamina" con questioni che hanno a che fare con la criminalità. Così accade che la linea d'azione venga improntata a combattere la criminalità e anche l'immigrazione. Ciò impedisce di "sfruttare" questa particolare risorsa: l'immigrazione. Infatti ci sono due modi per affrontare il tema: uno è appunto quello che considera l'immigrazione legata alla criminalità, il secondo è l'approccio economico, che si è affermato più recentemente. Le persone si spostano, il lavoro si sposta e questo ci permette di contingentare gli immigrati e attribuire i posti di lavoro in base alle competenze. Per questo ci vorrebbe in tutti i paesi un ministero separato, perché se ben strutturato, può dare un contributo notevole all'integrazione immediata dei nuovi arrivati. Inoltre si devono considerare anche altri aspetti, come i conflitti internazionali, che spingono molte persone a cercare rifugio all'estero, soprattutto in Occidente. Probabilmente ci sarà un aumento dei flussi migratori, che però saranno molto diversi da quelli del passato: dobbiamo attenderci un'ondata di immigrati che non parlano inglese, la cui storia ha poco a che fare con la tradizione britannica, che potrebbero essere anche europei ma molto diversi da noi, che magari hanno tradizioni diverse o che hanno come libro di riferimento il Corano. Partendo dal presupposto che nessuno desidera essere integrato se non si sente su un piano di parità, la funzione svolta dalla Commissione per l'Uguaglianza Razziale da me presieduta è molto importante perché consiste nel far applicare leggi già promulgate sull'integrazione e contro la discriminazione. C'è una seconda funzione che noi svolgiamo, ed è quella di una sorta di luogo di coscienza nazionale; ovvero ci può essere chiesto di fare da arbitro per vedere se la legge è stata applicata in modo corretto o meno, oppure di verificare se il comportamento di un certo soggetto sia giustificato o meno. Negli ultimi 12-15 mesi abbiamo avviato un dibattito sul tema del multiculturalismo. La domanda che spesso viene posta è se diversità debba per forza significare mancanza di unità all'interno di una società. Io non credo: se chiediamo ai cittadini britannici di indicare qual è l'istituzione che rappresenta al meglio la vita britannica, sicuramente la risposta riguarderà il sistema sanitario nazionale; se osserviamo da vicino, ci accorgiamo che il servizio inizialmente fu pensato da un gallese, con il contributo irlandese; ora ci sono infermiere caraibiche, medici filippini e tecnici sudafricani, e gli inservienti vengono da altri paesi ancora. Questo è un esempio di integrazione, ma non basta ancora: un'esigenza giusta è quella di riconoscere la differenza nell'ambito della società e dello Stato. Da quando sono presidente di questa Commissione per l'Uguaglianza Razziale ho scoperto situazioni inaspettate, come il fatto che le autorità locali finanziano organizzazioni di volontariato su base etnica: una conseguenza è che spesso si legittimano atteggiamenti che potrebbero essere accettabili nelle campagne pachistane, nell'Arabia Saudita, ma che non dovrebbero sussistere in un moderno paese come la Gran Bretagna, fino ad arrivare a volte a tollerare ufficialmente posizioni fondamentaliste. In passato venivano sovvenzionate sempre le stesse organizzazioni, per garantire una certa continuità. Questo è sicuramente un criterio giusto, ma parziale: bisogna considerare anche l'esito delle attività di queste associazioni. Per questo stiamo cercando di cambiare un po' le regole, per cui le organizzazioni che ricevono i nostri finanziamenti devono anche giustificarne l'uso, devono giustificare il loro operato e quindi motivare il nostro finanziamento. Così oggi stiamo finanziando molte nuove organizzazioni, diverse da quelle che finanziavamo in passato, con più giovani coinvolti e con diversi tipi di attività. Inoltre ci sono altre due misure di intervento: innanzitutto la Commissione per l'Uguaglianza Razziale crea le premesse per attività utili e di valore, dando l'incoraggiamento e l'orientamento necessario. In secondo luogo cerchiamo di incontrare i presidenti di tutte queste organizzazioni almeno due volte l'anno per dare loro spiegazioni, orientamenti e ricevere a nostra volta un feedback da parte loro, fino ad arrivare a un accordo comune. Questi sono temi piuttosto complessi che definiamo con l'espressione "multiculturalismo aziendale", ovvero il multiculturalismo degli enti pubblici, che devono affermare la disponibilità ad affrontare la diversità facendo gesti di riavvicinamento con le comunità locali. La seconda grande area che cerchiamo di affrontare è quello dell'inserimento delle comunità di immigrati in una nuova società. Un fatto positivo è che molti esponenti di minoranze che vivono a Londra si ritengono londinesi. Un risultato del genere si raggiunge non cercando di "reinventare" questi soggetti, ma "reinventando" ciò che si intende con il termine "londinese". Per quelli della generazione dei miei genitori l'idea di londinese era quella di una persona di razza bianca che si esprimeva secondo la tradizione cockney. Adesso per la maggior parte della gente questa immagine è decisamente superata: quando si dice "londinese", viene in mente gente ricca, cosmopolita, magari un pochino snob, un pochino con la puzza sotto il naso, arrogante e che si da molto da fare. Quindi piuttosto che dire a qualcuno "beh, devi comportarti così per essere un londinese" abbiamo in realtà modificato il concetto dell'essere londinese in modo che più persone possano rientrare in questa definizione e questa è una grande tradizione britannica. Ma chi arriva in un nuovo contesto sociale si trova di fronte a una scelta inevitabile, anche questa esprimibile con una domanda: ci sono circostanze nelle quali il rispetto delle differenze culturali e religiose dovrebbe permettere la violazione del diritto civile? Ovvero, vi sono momenti nei quali l'appartenenza a una comunità che presenta differenze storiche rispetto al resto della società debba ritenersi un elemento più importante dell'adesione ai principi di diritto su questioni come la poligamia, conflitti tra coniugi, educazione dei figli, libertà di espressione? Questo è un tema particolarmente difficile. Qualche mese fa un piccolo teatro con fondi pubblici a Birmingham ha messo in scena un lavoro teatrale sulla comunità sikh in cui si parlava di difficoltà per le donne. In una scena si racconta uno stupro perpetrato in un tempio sikh e i leader sikh si sono irritati e hanno chiesto che la scena venisse riscritta. Come presidente di questa Commissione se avessi acconsentito a che l'offesa nei confronti della religione dovesse essere ritenuta più importante della libertà di espressione della scrittrice, allora avrei dovuto vietare anche opere come "Assassinio nella cattedrale" di Eliot. Se si sopprime la libertà di espressione chi ne esce vincitore? Da ultimo vorrei soffermarmi su quelli che devono essere i nostri obiettivi: cosa vogliamo raggiungere? La risposta è piuttosto chiara credo: una società nella quale possiamo condividere esperienze, interazioni e ambizioni e nella quale l'accesso ai servizi, la possibilità di ottenere un lavoro, la composizione delle nostre amicizie, non siano dipendenti dalla natura delle nostre origini. Ad oggi, se un bambino nasce da una madre di origine pakistana ci sono il doppio delle probabilità che muoia nell'infanzia; un giovane di origini africane-caraibiche ha il doppio di probabilità di non passare gli esami durante le superiori. Come possiamo raggiungere quella meta, allora? Certamente non adottando i modelli altrui. Prendiamo l'esempio degli Stati Uniti dove la scelta di fatto è una società segregata. Nove bambini africani-americani su dieci studiano in scuole a maggioranza nera; nove famiglie bianche su dieci vivono in quartieri dove c'è una presenza minima di altre etnie. Se gli americani sostengono la libertà, come spiegare il fatto che non provano interesse nei confronti di chi non appartiene al loro gruppo etnico? E cosa dire del mancato interesse nei confronti di chi è diverso e non ha lo stesso accesso ai servizi, all'istruzione, o ha maggiori possibilità di trovarsi in una situazione di violazione della legge? Gli Stati Uniti dispongono di magnifiche politiche di immigrazione ma non di politiche di integrazione, e quando le hanno sono catastrofiche. Quello che succede ai confini americani è positivo, ma quanto alle condizioni di convivenza tra le varie comunità all'interno del paese, posso affermare che quello statunitense è il peggior modello possibile. In Gran Bretagna, Elisabetta I aveva stabilito il concetto di tolleranza, sostenendo che il culto era una faccenda personale. Comunque sia, ciò che è riuscito molto bene in questo paese è stato creare una versione autentica di un cattolico britannico, laddove il cattolicesimo britannico è piuttosto diverso da quello italiano o francese; d'altra parte gli ebrei giunti nel Regno Unito dalla Russia praticano la loro religione in maniera diversa rispetto allo standard; e così anche i neri in Gran Bretagna sono molto diversi rispetto ai neri nei Caraibi. Ora, per avere una vera società multietnica in genere occorre un compromesso, una composizione e un inserimento. Chi si inserisce poi deve avere lo spazio per esprimere se stesso credo ad esempio che i francesi abbiano fatto un errore storico insistendo sul fatto che i musulmani francesi non debbono godere di questo spazio. Quello che stanno facendo è forse "comprare" un decennio di pace durante il quale però molti musulmani verranno sospinti tra le braccia degli estremisti. Invece si possono accettare modifiche alle proprie tradizioni, adattamenti, scambi, "adozioni". Pensiamo alle abitudini gastronomiche. Una volta il piatto nazionale britannico era fish and chips; ora tutti adorano i ristoranti indiani, che in realtà sono del Bangladesh, e il piatto preferito è il chicken tikka massala. Il fatto curioso è che questo piatto nel sub-continente indiano è sconosciuto, perché è un'invenzione culinaria britannica, creato appositamente dalla comunità indiana residente in Gran Bretagna. è un modo diverso di mangiare all'inglese, tanto che la maggior parte degli indiani non riconoscerebbe questo piatto. Questo è un esempio di cosa significhi essere britannici per i nuovi arrivati, ed è così che dobbiamo procedere: accettarli permettendo loro di esprimersi come tutti noi europei. è questo il compito che ci troviamo di fronte.

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