Nell'esperienza americana la fondazione religiosa della cultura è sufficientemente ampia per accogliere coloro che tentano di vivere secondo una delle tre grandi tradizioni di fede abramitiche, preservando la libertà individuale di credere e praticare
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:55
Ogni cultura presuppone un'antropologia della persona umana. Si può ben dire che nel caso degli Stati Uniti d'America quest'antropologia sia stata espressa abbastanza esplicitamente nella Dichiarazione d'Indipendenza del 4 Luglio 1776. Quella dichiarazione, scritta da Thomas Jefferson ed adottata all'unanimità dalle 13 colonie che si definirono gli Stati Uniti d'America, reclamava diritti «conferiti dalle Leggi della Natura e del Dio della Natura». La Dichiarazione afferma:
«Noi consideriamo auto-evidenti queste verità, che tutti gli uomini sono creati uguali, che il loro Creatore li ha dotati di diritti inalienabili, che tra di essi vi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità»
Gli uomini responsabili della nascita della nuova nazione americana hanno chiaramente affermato che quei diritti da loro enumerati non derivavano dal governo, ma hanno la loro origine nella natura della persona umana. Alexander Hamilton scrisse:
«I diritti inviolabili del genere umano non devono essere ricercati frugando tra vecchie pergamene o documenti ammuffiti. Essi sono inscritti, come attraverso un raggio di sole, nell'intero volume della natura umana dalla mano della stessa Divinità e non possono mai essere cancellati o oscurati dal potere dei mortali»
Particolarmente importante per i fondatori del governo americano era il fondamento antropologico della libertà di religione. Per esempio, James Madison osservava: «è dovere di ogni uomo rendere al Creatore quell'omaggio e quello solo che egli crede a Lui gradito. Questo dovere precede sia in ordine di tempo sia in grado d'obbligatorietà i diritti della Società Civile. Prima di essere considerato membro della Società Civile, ogni uomo deve essere considerato come un suddito del Governatore dell'Universo». Questa visione dei diritti umani fra i fondatori degli Stati Uniti ha profonde radici nella tradizione del giusnaturalismo inglese. Il famoso giurista inglese del diciassettesimo secolo, Sir Edward Coke, descrisse la legge di natura come «Ciò che Dio al momento della creazione della natura umana ha infuso nel cuore dell'uomo, per la sua preservazione e direzione...La legge di natura è scritta con il dito di Dio nel cuore dell'uomo». Non a caso i due libri più letti in America al momento della firma della Dichiarazione d'Indipendenza erano la Bibbia e I commentari sulla Legge di Inghilterra di William Blackstone. Blackstone osservava che Dio era l'autore di tutta la legge vera, sia essa rivelata o desunta attraverso la ragione. Egli scrisse: «Da queste due basi, la legge di natura e la legge della rivelazione, dipendono tutte le leggi umane. Il che significa che nessuna legge umana dovrebbe contraddirle».
Nel 1967, il professor Robert Bellah avviò un acceso dibattito negli Stati Uniti con la pubblicazione del suo articolo Religione civile in America[1]. In esso il Professor Bellah affermò che esiste in America una religione "civile" con la "sua propria serietà e integrità", distinta dal cristianesimo e dalle altre religioni. Bellah sosteneva che sebbene esista una separazione tra Chiesa e Stato nel senso che negli Stati Uniti nessuna religione occupa una posizione favorita e stabilita per legge, «la separazione della Chiesa e dello Stato non ha negato all'ambito politico una dimensione religiosa. Anche se le materie della fede religiosa personale, il culto e le associazioni sono considerati come questioni strettamente personali, ci sono, allo stesso tempo, alcuni elementi comuni di orientamento religioso, condivisi dalla maggior parte della popolazione americana. Essi hanno giocato un ruolo cruciale nello sviluppo delle istituzioni americane e tuttora forniscono una dimensione religiosa all'intero tessuto della vita americana, sfera politica inclusa. Questa dimensione religiosa pubblica si esprime in una serie di credenze, simboli e rituali che io chiamo la religione civile americana»[2].
Quale esempio della natura della religione civile in America, Bellah propone il discorso inaugurale del Presidente John F. Kennedy nel 1961. Sebbene un dettagliato riesame della discussione di Bellah sul discorso di Kennedy non sia qui possibile, il Professore trova particolarmente significativo che Kennedy, un cattolico, abbia articolato in un modo così efficace la religione civile di una nazione a maggioranza protestante. Secondo Bellah, «la dimensione religiosa nella vita politica, come riconosciuta da Kennedy, non solo offre una base per i diritti umani rendendo illegittima ogni forma di assolutismo politico, ma fornisce anche una meta trascendente per il processo politico»[3]. In questo suo discorso inaugurale, il presidente Kennedy si riferì ripetutamente a Dio e riecheggiò idee dalla Dichiarazione d'Indipendenza affermando, ad esempio, che «i diritti umani provengono non dalla generosità dello stato ma dalla mano di Dio». Kennedy ricordò al paese che «qui sulla terra il lavoro di Dio deve veramente essere il nostro stesso lavoro». Queste parole risuonarono con forza tra gli americani che avevano scelto la frase «in Dio noi confidiamo» come motto nazionale e avevano recentemente aggiunto le parole «una nazione "sotto Dio"» al Pledge of Alliance.
Bellah osserva che «la religione civile al meglio di sé è una comprensione genuina della realtà religiosa trascendente e universale così come si è vista o si potrebbe quasi dire così come si è rivelata attraverso l'esperienza del popolo americano»[4]. Tre sono stati secondo Bellah i passaggi decisivi nello sviluppo della "religione civile" in America. Il primo è legato alla battaglia per l'indipendenza nel diciottesimo secolo ed i suoi principi fondamentali furono enunciati nella Dichiarazione d'Indipendenza. Il secondo stadio comportò la guerra civile del diciannovesimo secolo ed il tentativo di estendere la libertà e l'uguaglianza a tutti i cittadini indipendentemente dalla razza. Il Presidente Abraham Lincoln, che una volta affermò: «Io non ho mai avuto un sentimento, politicamente, che non nascesse dai sentimenti incarnati nella Dichiarazione d'Indipendenza», fu il più eloquente rappresentante dello sviluppo della religione civile durante questo periodo. Il suo secondo discorso inaugurale del 1865 riuscì bene a cogliere l'esperienza religiosa della nazione, ancora nel pieno della guerra civile.
«L'Onnipotente ha i suoi scopi», disse. «Ardentemente speriamo e ferventemente preghiamo che questo pesante flagello della guerra possa terminare velocemente. Tuttavia, se Dio vorrà che continui... come fu detto 3000 anni fa, ancora oggi si deve ripetere: "i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti" »
Lincoln concluse il suo discorso con un chiaro riferimento alla riconciliazione biblica quando affermò: «con malizia verso nessuno, con carità verso tutti, con fermezza nel giusto cammino, come Dio ci ha permesso di vederlo, sforziamoci di portare a termine il lavoro in cui siamo impegnati...». Il terzo stadio, secondo Bellah, è l'attuale relazione dell'America (e la sua responsabilità) di fronte all'emergere di culture globali o, per usare le parole di Bellah, di fronte ad «un mondo rivoluzionario, un mondo alla ricerca di molte delle cose, materiali e spirituali, che noi (americani) abbiamo già ottenuto»[5]. In questo senso, il discorso inaugurale del presidente Kennedy rimane una delle migliori formulazioni specialmente nella sua conclusione: «Infine, che siate cittadini d'America o del mondo, chiedeteci gli stessi alti livelli di impegno e sacrificio che noi chiediamo a voi...Camminiamo...implorando la sua benedizione e il suo aiuto, ma sapendo che sulla terra il lavoro di Dio deve veramente essere il nostro stesso lavoro». Le parole finali di Kennedy sembrano spingere Bellah a considerare che la religione civile americana potrebbe un giorno diventare «una parte della nuova religione civile del mondo»[6].
Ma una notevole difficoltà, implicita nella nozione di "religione civile", all'interno del contesto dell'esperienza americana, risiede nel fatto che l'espressione "religione civile" è una creazione di Jean Jacques Rousseau. Nel capitolo ottavo del quarto libro del Contratto Sociale, Rousseau cercò di creare una nuova religione da sostituire al Cristianesimo. Diversamente dal Cristianesimo, la "religione civile" di Rousseau è una religione i cui principi non sono solo istituiti dallo Stato, ma anche dallo Stato definiti in accordo con la filosofia politica di Rousseau. Egli scrive: «C'è, quindi, una professione di fede puramente civile, i cui articoli devono essere determinati dal sovrano, non precisamente come dogmi religiosi, ma come sentimenti di socializzazione, senza i quali è impossibile essere un buon cittadino o un suddito leale... I dogmi della religione civile dovrebbero essere semplici, pochi di numero e precisamente enunciati».
In breve, Rousseau tenta di confinare l'esperienza religiosa della persona umana secondo l'agenda sociale e gli obbiettivi politici dello Stato intesi in senso lato. L'intensa esperienza personale del credente è ridotta dalla "religione civile" di Rousseau ad un'astrazione. Niente di più lontano dall'esperienza americana o dalle intenzioni dei suoi fondatori. Ciò che Bellah descrive come una "religione civile" in America è, in realtà, qualcosa di davvero diverso da quel che Rousseau intendeva con questo termine. Il sovrano non ha cercato di sostituire un astratto ed artificiale sentimento religioso alla fede attiva dei credenti. Al contrario la dimensione religiosa della cultura americana, e specialmente la misura in cui questa cultura interessa l'ethos politico americano, riflette una comprensione della persona umana molto diversa da Rousseau. Se c'è una "religione civile" in America è quella che si fonda sul considerare le persone come ultimamente dotate di un destino trascendente. Se la politica è l'arte del possibile, allora la dimensione religiosa della cultura americana definisce in alcuni importanti elementi le attese dell'orizzonte politico americano.
Vi è insomma un'importante lezione nell'esperienza americana della diversità religiosa all'interno di una struttura politica e sociale democratica: la fondazione religiosa della cultura è sufficientemente ampia per accogliere coloro che tentano di vivere secondo una delle tre grandi tradizioni di fede abramitiche, preservando la libertà individuale di credere e praticare. Allo stesso tempo, quella che Bellah chiama "religione civile" ha nondimeno procurato un'unità culturale per un popolo dalle diverse fedi religiose senza forzate imposizioni di credenze religiose. In quale misura un tale modello religioso e culturale sia trasferibile ad altre società o all'interno di un contesto globale è sicuramente una questione degna di un'ampia discussione.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
[1] Bellah, Robert N. "Civil Religion in America", ristampato in American Civil Religion, Russell E. Riley and Donald G. Jones, eds. New York: Harper and Row, 1974.
[2] Ibid, p. 24.
[3] Ibid, p. 25.
[4] Ibid, p. 33.
[5] Ibid, p. 38.
[6] Ibid, p. 40.
Per citare questo articolo
Riferimento al formato cartaceo:
Carl Anderson, Religione e politica nello spirito americano, «Oasis», anno I, n. 2, settembre 2005, pp. 93-96.
Riferimento al formato digitale:
Carl Anderson, Religione e politica nello spirito americano, «Oasis» [online], pubblicato il 1 settembre 2005, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/religione-e-politica-nello-spirito-americano.