Negando la sua eredità storica, l’Europa si è costretta in un falso neutralismo, che impedisce l’espressione di ogni appartenenza religiosa. Con questi presupposti, è difficile un dialogo fecondo con l’Islam

Ultimo aggiornamento: 01/02/2022 08:40:50

Testo pronunciato in occasione della presentazione del libro di Andrea Santini e Monica Spatti (a cura di), La libertà di religione in un contesto pluriculturale. Studi di diritto internazionale e dell’Unione Europea, Libreria Editrice Vaticana, 2021

 

«I problemi giuridici attinenti al velo islamico sono rappresentativi della più fondamentale questione di quanta diversità e pluralità una società europea aperta e pluralistica deve accettare» (p. 138).

Questa affermazione, tratta dalle conclusioni dell’avvocato generale nel caso Achbita, la receptionist belga licenziata per aver deciso di indossare il velo, coglie alla perfezione la natura del problema che si cela dietro a molti dibattiti sulla presenza dell’Islam in Europa. Attraverso l’analisi del diritto e della giurisprudenza europea in materia, arricchita da utili raffronti ai sistemi extraeuropei, il volume permette di mettere a fuoco con estrema chiarezza la posta in gioco. Da non esperto devo confessare di aver appreso molte cose sul funzionamento delle diverse istanze internazionali e su come un medesimo principio, la libertà religiosa, possa condurre a pronunciamenti opposti nella giurisprudenza, come dimostra Monica Spatti in relazione ai pronunciamenti della CEDU e del Comitato dei diritti dell’uomo presso le Nazioni Unite rispetto alla visibilità dei simboli religiosi.

 

1. Il diritto di libertà religiosa è nato in Europa, in un Continente straziato dalle guerre di religione tra cattolici e protestanti. Certo, anche in epoche più antiche si trova l’idea della libertà della coscienza individuale e della non-coercizione – qui a Milano non possiamo non pensare all’editto, in realtà rescritto, di Costantino del 313 che il giurista Gabrio Lombardi definiva «l’initium libertatis dell’uomo moderno» – e anche il Corano contiene diverse affermazioni che vanno in quella direzione. Tuttavia, l’orizzonte abituale delle civiltà umane è stato – e in buona parte rimane – quello dell’identificazione tra l’orizzonte dell’appartenenza politica e religiosa, nella convinzione, non infondata, che «religione e regno sono fratelli», per citare un famoso detto del fondatore dell’impero sasanide Ardashir, ripreso infinite volte nella letteratura politico-sapienziale di matrice islamica. Come osserva Dominique Avon all’inizio della sua monumentale opera sulla libertà religiosa nel mondo (La liberté de conscience. Histoire d’une notion et d’un droit), è solo in un ristretto gruppo di Stati europei che si è fatta strada l’idea, proprio a partire dalla traumatica esperienza delle guerre di religione, di una possibile distinzione tra questi due orizzonti. E sappiamo bene quanto sia difficile articolare con esattezza questa distinzione e fissarne i limiti. Si tratta probabilmente di una distinzione che ogni generazione è chiamata a riguadagnare e fare propria.

 

Comunque sia, attraverso questo processo, e le sue immani contraddizioni (pensiamo solo a che cos’è stato il Terrore francese), si è nuovamente sprigionata la forza liberatrice dell’annuncio cristiano che, dopo aver scommesso solo sulla libertà, si era ritrovato – e in parte aveva scelto di ritrovarsi – entro le strette maglie di una religione di Stato. Perché dopo Costantino arriva Teodosio e dopo Teodosio Giustiniano, che per Von Balthasar rappresentava l’apice dell’integralismo tardo-antico e la ragione per cui il conflitto sorto intorno a Calcedonia divenne insanabile, suggerendo a più d’uno in Medio Oriente che forse era necessario riavvolgere il nastro e tornare indietro di molte puntate, ad Abramo: una delle idee forti del nascente Islam. Il Vaticano II e Dignitatis Humanae rappresentano in questo senso un recupero della tradizione primitiva, ottenuto tramite una più chiara distinzione tra libertà religiosa e relativismo religioso, la prima da accettare senza riserve, da combattere senza esitazione il secondo.

 

Nato in Europa, il diritto di libertà religiosa è stato universalizzato con la Dichiarazione del 1948. In particolare – e qui spezzo una lancia a favore della mia disciplina – il famoso articolo 18 si deve alla penna di Charles Malik, filosofo libanese di confessione greco-ortodossa, ma formato alla scuola di Maritain, il quale, ben al corrente della situazione mediorientale, insistette perché nella formulazione fosse incluso il diritto di cambiare religione, che è il vero nodo del contendere.

 

2. Pur essendo nata in Europa, oggi la libertà religiosa soffre nel nostro continente di una grave patologia, che questo volume diagnostica con estrema chiarezza: la patologia dell’universale astratto. Intendiamoci, ci sono patologie peggiori. Preferisco comunque vivere in Francia che in Cina, Afghanistan, Somalia o Arabia Saudita. Ciò non toglie che, come il libro chiarisce bene, la piega presa dalla giurisprudenza europea in materia è preoccupante. O, come si esprime Andrea Santini, «non è all’altezza delle enunciazioni di principio» (p. 151).

 

Da dove nasce il problema? Nasce, come argomenta il libro, dal misconoscimento delle radici cristiane dell’Europa. Quella richiesta di San Giovanni Paolo II poteva apparire come l’intestardirsi di un Papa ormai anziano su una battaglia di retroguardia. In realtà non è un caso che la crisi dell’Unione Europea come progetto politico e non solo economico inizi lì, una crisi che per il momento si è cercato di arginare a colpi di provvedimenti emergenziali, dettati dalle urgenze del momento (la tempesta economico-finanziaria, il problema dei migranti, da ultimo la pandemia). Negando le radici cristiane, l’Europa si è costretta in un falso neutralismo, in nome di principi astratti. Di fatto il neutralismo si traduce nella neutralizzazione di ogni appartenenza religiosa forte. L’elemento importante qui è ogni: per non dare l’impressione di favorire qualcuno, l’Europa deve sfavorire tutti. L’esempio tratto dalla cronaca recente è fornito dalle linee guida della comunicazione della Commissione Europea, poi ritirate, in cui si indicava tra le altre cose di sostituire alla parola Natale con quella più neutra di “festività”. Ma il fenomeno si è espresso con particolare chiarezza in Francia con la legge contro il “separatismo”. Com’è evidente a tutti, il separatismo che si prende di mira è quello islamista – peraltro definito in un modo così ampio da far nascere il sospetto che l’oggetto dell’attacco sia l’Islam tout court – ma il legislatore, per evitare di apparire parziale, estende le sue limitazioni a tutte le comunità religiose, ottenendo l’effetto – secondario o voluto? – di procedere ulteriormente nel cammino di laicizzazione dell’intera società. In questo senso l’affermazione iniziale sul caso Achbita rappresenta un momento di verità, nel suo senso etimologico greco di disvelamento.

 

3. A fronte di questo movimento verso la neutralizzazione dello spazio pubblico, assistiamo nel mondo islamico, ma non solo, a un moto uguale e contrario a favore di una sempre maggiore visibilità del religioso che può arrivare a sfociare in «un furioso desiderio di sacrificio», come si è espresso lo psicanalista di origini tunisine Fethi Benslama. Qui la questione è tutt’altra: riguarda lo spazio di dissenso possibile. E infatti i pensatori più accorti, penso ad esempio a Mustafa Akyol o Ahmet Kuru, si dichiarano e agiscono a favore della libertà religiosa non perché desiderino segretamente abbandonare l’Islam, ma perché sanno che solo la libertà religiosa consentirà il pluralismo dentro l’Islam. Finché non si farà questo passo, una vera riforma politica non sarà possibile in Medio Oriente. E a mio avviso – l’ho argomentato altrove – questa riforma non sarà possibile senza un passaggio dalla logica giuridica a quella antropologica, esattamente come è avvenuto nella Chiesa Cattolica tra il Vaticano I e il Vaticano II.

 

4. Comunque sia, la previsione non è difficile: stiamo andando verso uno scontro di proporzioni epocali. Non esiste alcuna possibilità che la posizione secolarista, di cui principale alfiere in Europa è la Francia, e la posizione islamica tradizionale – dove per tradizionale s’intende basata sul fiqh medievale – trovino un accordo. Né va meglio con la variante sovranista, i “cattolici non cristiani”, “gli atei devoti”, pur con tutto il rispetto per la loro ricerca spirituale. Queste realtà possono sopportarsi, non possono conciliarsi. Esiste una via d’uscita, una vera conciliazione? Forse. Dipende appunto dal recuperare le radici cristiane d’Europa e con esse il concetto di storia. Gli universali esistono, ma non astrattamente. Sono calati in un corpo e in una comunità, in un popolo, nel senso che a questa parola dà Papa Francesco. Ci vengono consegnati dal passato. La libertà di religione non fa eccezione. È un valore senza dubbio universale, ma è nata ed è stata formulata nei termini attuali in un contesto cristiano. La conclusione insomma è che la libertà di religione è difesa meglio e più efficacemente in Europa, anche per i credenti musulmani, a partire dal riconoscimento della tradizione cristiana che non in nome di un’irraggiungibile neutralità dello spazio pubblico o argomentando sempre a nome delle religioni (al plurale), un concetto vago e insapore, come ha di recente osservato anche il Grande Imam di al-Azhar criticando la categoria di “religione abramitica”, oltreché  indefinito sul piano giuridico, come mostra in questo libro il contributo di Claudia Morini.

 

Mettiamoci un istante nei panni dei musulmani che vivono in Europa. La Francia dice loro: «Caro musulmano, così come sei non vai bene. Se vuoi essere francese devi abbandonare la tua religione, se non come portato culturale (cucina, musica, letteratura, un po’ di sufismo al limite). Ti diamo qualche generazione di tempo, ma l’obbiettivo a tendere è quello». In Italia, anche se non abbiamo un modello, diciamo piuttosto: «Caro musulmano, così come sei vai bene; ti chiediamo solo alcuni aggiustamenti, che hai già largamente attuato nella pratica, ma di cui ti domandiamo la responsabilità di una formulazione esplicita, per rendere il tuo credo pienamente compatibile con la nostra storia e il nostro presente». Che cosa pensate che preferiranno i musulmani?

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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