Dallo scoppio delle rivolte del 2010-2011, gli episodi di protesta sono diventati una costante in diversi Paesi arabi. Ma quali sono i fattori demografici che determinano la partecipazione cittadina alle manifestazioni di piazza?
Ultimo aggiornamento: 18/06/2024 13:03:50
Dallo scoppio delle rivolte del 2010-2011, gli episodi di protesta sono diventati una costante in diversi Paesi arabi. Ma quali sono i fattori demografici che determinano la partecipazione alle manifestazioni di piazza? L’analisi quantitativa dei dati raccolti dall’Arab Barometer individua principalmente tre indicatori: il genere, l’età e l’istruzione. E smentisce la narrazione secondo la quale le rivolte sarebbero movimenti composti dai gruppi sociali più poveri contro i gruppi più ricchi.
Dalla fine del 2010, quando in Tunisia sono scoppiate le prime manifestazioni di piazza in seguito all’auto-immolazione di un giovane venditore ambulante, i movimenti di protesta sono diventati una costante della regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa). Nel 2011, la speranza iniziale di transizioni democratiche pacifiche si è rapidamente trasformata nel timore di una crescente instabilità, di guerre civili e di un’ascesa islamista[1]. Per questo motivo, negli anni successivi una parte della comunità internazionale ha sostenuto – o almeno tollerato – i tentativi dei principali regimi della regione di consolidare il loro potere autoritario, evitando così ulteriore instabilità[2]. Tuttavia, questi tentativi hanno avuto scarso successo. Negli ultimi anni sono scoppiate nuove ondate di protesta, culminate nei movimenti di massa del 2019 che hanno messo fine alle decennali presidenze di Omar al-Bashir in Sudan e di Abdelaziz Bouteflika in Algeria e scosso lo status quo politico in Libano e in Iraq.
Questo articolo punta a offrire un raro esempio di indagine quantitativa delle caratteristiche della partecipazione alle proteste nel mondo arabo nell’ultimo decennio, utilizzando i dati dei sondaggi relativi alla terza e alla quinta rilevazione dell’Arab Barometer. Il tempo intercorso tra queste due tornate – i dati della prima sono stati raccolti nel 2012, ma sono riferiti alle proteste del 2011, mentre i dati della seconda sono stati raccolti tra la seconda metà del 2018 e la fine del 2019[3] – copre quasi un decennio dall’inizio della Primavera araba. Nello specifico, questo articolo analizza il ruolo dei parametri demografici inclusi nei sondaggi quali determinanti della partecipazione alla protesta e la loro evoluzione dal 2011 al 2019, con l’obiettivo di tracciare un profilo demografico dei manifestanti nella regione.
Metodologia
La partecipazione alle proteste è analizzata in sette Paesi dell’area MENA – Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Sudan, Giordania e Libano – selezionati sulla base di due criteri. In primo luogo, i dati relativi a questi Paesi sono disponibili sia per la terza che per la quinta rilevazione dei sondaggi dell’Arab Barometer. In secondo luogo, in tutti e sette i Paesi si sono verificati dei significativi movimenti di protesta nel 2011 e/o negli anni successivi, soprattutto nel 2016 e nel 2018-2019.
I sondaggi presi in considerazione consentono di classificare gli intervistati in base alla loro regione (o provincia) di provenienza del rispettivo Paese. Per non trascurare le significative differenze economiche, politiche e culturali che spesso esistono tra le diverse regioni all’interno di ciascun Paese, le determinanti della partecipazione alle proteste sono stati analizzati utilizzando un modello di regressione logistica multivariata a due livelli per i singoli Paesi (intervistati-regioni) e a tre livelli per l’analisi di tutta la regione (intervistati-regioni-Paesi). La partecipazione alle proteste è stata utilizzata come variabile dipendente binaria[4], mentre gli indicatori demografici inclusi nei sondaggi sono stati utilizzati come variabili indipendenti. Tali indicatori sono il genere, l’età[5], il livello di reddito[6], il livello di istruzione[7], la condizione occupazionale[8] e la residenza urbana o rurale[9]. Inoltre, è stata aggiunta un’altra variabile, corrispondente alla domanda del sondaggio «Preghi quotidianamente?»[10], come proxy del livello di religiosità individuale.
Per condurre l’indagine su base nazionale sono state utilizzate delle regressioni logistiche multivariate a due livelli, includendo tutti gli indicatori demografici sopra menzionati quali variabili indipendenti. Invece, per i dati aggregati di tutti i Paesi considerati sono state utilizzate delle regressioni logistiche multivariate a tre livelli per ciascuna rilevazione, utilizzando le medesime variabili come effetti sia fissi che casuali.
Analisi dei dati aggregati
Un primo elemento significativo che emerge dall’analisi dei dati è la tendenza all’incremento della partecipazione alle proteste nel decennio considerato. I grafici 1 e 2 mettono a confronto le percentuali di quanti hanno partecipato alle proteste sul campione totale degli intervistati nel 2011 e nel 2018-2019, sia a livello regionale che nazionale. A livello regionale, la percentuale di partecipanti è quasi raddoppiata (dal 9% al 17%). La crescita si è verificata in tutti i Paesi considerati a eccezione della Tunisia, dove la partecipazione ha registrato un lieve calo. Quindi, sebbene i quotidiani internazionali non abbiano mai prestato molta attenzione alle proteste che si sono verificate nei Paesi arabi negli ultimi anni come invece avevano fatto con la Primavera araba del 2011, a distanza di quasi dieci anni la quota di cittadini che dichiarano di partecipare alle proteste di piazza è pressoché raddoppiata. In Algeria, Marocco e Libano la percentuale è più che raddoppiata tra le due tornate (in Libano è quasi cinque volte superiore, mentre in Marocco e in Algeria quasi tre). Particolarmente indicativo è il caso dell’Egitto, dove le draconiane misure repressive introdotte dal regime istituito dopo il colpo di Stato del 2013[11] non sono evidentemente riuscite a impedire un leggero incremento della partecipazione alle proteste.
Grafico 1 – Percentuale di quanti hanno partecipato alle proteste sul campione totale degli intervistati
Sull’asse x: la seconda e la quinta rilevazione dell’Arab Barometer. Sull’asse y: la percentuale di intervistati che ha affermato di aver partecipato alle proteste almeno una volta.
Grafico 2 – Percentuale di quanti hanno partecipato alle proteste per Paese
Sull’asse x: i sette Paesi presi in considerazione. Ogni colonna rappresenta una delle due tornate dell’Arab Barometer (sx: terza rilevazione; dx: quinta rilevazione). Sull’asse y: percentuale di intervistati che affermano di aver partecipato alle proteste di piazza almeno una volta.
L’analisi delle determinanti demografiche a livello aggregato mostra anche alcuni cambiamenti[12]: soltanto il genere, il grado d’istruzione e l’età rimangono elementi significativi tra le due rilevazioni. La loro valutazione conferma l’ipotesi iniziale, secondo la quale coloro che hanno più probabilità di prendere parte alle proteste nei Paesi arabi sono gli individui maschi, istruiti e più giovani della media. Se si mettono a confronto i coefficienti predittivi non emerge infatti alcuna differenza significativa tra le due tornate.
Inoltre, mentre il reddito e il divario urbano-rurale erano indicatori significativi della partecipazione nel 2011, non lo sono più per il 2018-2019 (in quest’ultima rilevazione, il divario urbano-rurale è significativo solo nell’intervallo di attendibilità del 90%). Nel 2011, le persone con un reddito medio-alto sono state le più propense a partecipare alla Primavera araba, e questo contraddice la narrazione che descrive le rivolte come movimenti composti dai gruppi sociali più poveri contro i gruppi più ricchi.
Osservando i modelli che trattano una variabile indipendente alla volta emergono altri elementi interessanti. Ad esempio, in entrambe le tornate, il fatto di essere meno religiosi è correlato in maniera positiva e significativa alla partecipazione. Questo significa che, sebbene i movimenti islamisti abbiano avuto la meglio all’indomani delle rivolte del 2011, sono state probabilmente le persone meno praticanti a prendere parte alle proteste. Ciò contraddice un’altra percezione piuttosto diffusa, secondo la quale i movimenti islamisti sarebbero stati i protagonisti delle rivolte del 2011 e, soprattutto, dei periodi di transizione.
Analisi per Paese
Mentre a livello aggregato l’istruzione, il genere e l’età emergono come le uniche determinanti significative della partecipazione nelle due tornate, l’analisi a livello nazionale rivela un quadro meno uniforme, con differenze significative tra i Paesi considerati.
Algeria. I risultati delle regressioni multivariate sui dati dell’Algeria relativi alla terza e alla quinta rilevazione dell’Arab Barometer dimostrano come questo sia l’unico caso tra quelli considerati per il quale abbiamo un solo indicatore significativo per entrambe le tornate, ovvero il genere. Essere maschio è l’unica caratteristica demografica associata alla partecipazione alle proteste. In entrambe le rilevazioni, la religiosità è significativa solo nell’intervallo di attendibilità del 90%; essere meno religiosi della media è solo debolmente correlato alla partecipazione. Anche l’età (il fatto di essere più giovani della media) è poco significativa nella prima rilevazione, così come è scarsamente significativa la disoccupazione nella seconda rilevazione. In Algeria, i partecipanti alle proteste sembrano dunque provenire da uno spettro sociale ampio, che comprende gruppi piuttosto diversi. Il Paese ha visto proteste significative sia nel 2011 che nel 2019. Quelle del 2011 si sono placate dopo che il governo ha introdotto generose misure economiche. Questa strategia però non ha potuto essere replicata negli anni successivi a causa del forte calo dei prezzi del petrolio e del conseguente scarso margine fiscale a disposizione del governo. L’Algeria ha assistito a una nuova massiccia rilevazione di proteste nel 2019, che hanno sancito la fine della presidenza trentennale di Abdelaziz Bouteflika. Questo nuovo movimento, chiamato Hirak, ha continuato per tutto il 2019 a premere sulla leadership del Paese perché attuasse delle riforme, e si è interrotto soltanto con lo scoppio della pandemia di Covid-19[13].
Marocco. In Marocco gli unici elementi correlati alla partecipazione alle rivolte del 2011 erano l’età e il divario urbano-rurale. Insieme all’Algeria, è stato l’unico caso nel 2011 in cui l’istruzione non è stata una determinante della partecipazione. Durante la Primavera araba i manifestanti marocchini erano verosimilmente più giovani della media e provenivano dalle aree urbane. Quest’ultimo elemento non sorprende perché, tradizionalmente, le zone rurali costituiscono una forte base di sostegno della monarchia marocchina. Il quadro, però, è cambiato significativamente nel 2018-2019. L’istruzione e la minore religiosità sono diventate importanti indicatori di partecipazione, entrambe con coefficienti positivi: le persone in media più istruite e meno religiose avevano maggiori probabilità di partecipare, mentre il divario urbano-rurale ha perso significato. Questo, unito al forte incremento della percentuale di partecipazione complessiva in Marocco tra le due rilevazioni, lascerebbe supporre una maggiore partecipazione dei cittadini delle zone rurali. A questo proposito, l’emergere nel 2016 dello Hirāk al-Rīf nelle regioni berberofone del Nord del Marocco[14] potrebbe aver contribuito a un parziale spostamento del nucleo delle proteste lontano dai grandi centri urbani.
Tunisia. La Tunisia è comunemente ritenuta l’unica transizione democratica riuscita della Primavera araba. Dopo un periodo di transizione durato tre anni, il Paese ha introdotto una nuova Costituzione democratica nel 2014. Ennahda, il principale partito islamista che ha vinto le prime elezioni pienamente democratiche del Paese, ha rinunciato a formare un governo esclusivamente islamista e dal 2011 ha formato governi di coalizione con le forze laiche. Dopo tre elezioni legislative e due elezioni presidenziali riuscite, il nuovo sistema istituzionale democratico della Tunisia sembra consolidarsi. Tuttavia, come mostrano i dati, nell’ultimo decennio il livello di protesta ha registrato una diminuzione piuttosto lieve. Le questioni legate alla crescita economica e alla disoccupazione, soprattutto nelle regioni interne più povere, rappresentano ancora un pesante fardello per lo sviluppo del Paese e il consolidamento del suo nuovo sistema democratico[15]. Negli ultimi anni sono state segnalate diverse proteste, soprattutto nelle regioni meridionali[16]. I manifestanti hanno continuato a chiedere maggiori opportunità di lavoro e interventi contro il costante deterioramento delle condizioni economiche delle famiglie. Pertanto, i principali fattori alla base della rivolta del 2011 non sembrano essere stati ancora affrontati in maniera adeguata. Questa situazione stagnante si riflette nei dati relativi al Paese, che non mostrano differenze significative tra le due rilevazioni. Poiché la disoccupazione giovanile, soprattutto tra le persone più istruite, continua a essere il problema principale del Paese, l’istruzione, l’età e il genere si sono rivelati, in entrambi i casi, indicatori demografici significativi della partecipazione.
Egitto. In Egitto, le imponenti proteste di strada del 2011 hanno costretto l’allora presidente Hosni Mubarak a dimettersi dopo trent’anni al potere. Da allora, il Paese ha attraversato un decennio di conflitti e disordini. Immediatamente dopo le rivolte, i Fratelli Musulmani egiziani sono arrivati a dominare la scena politica del Paese. La loro ala partitica, fondata poco dopo lo scoppio della Primavera araba, è diventata la forza principale nel nuovo parlamento e nel giugno 2012 Mohammed Morsi, uno dei suoi membri di spicco, è diventato il primo presidente liberamente eletto dell’Egitto. Il colpo di Stato del 3 luglio 2013 ha però interrotto bruscamente l’ascesa della Fratellanza, riportando il potere nelle mani dell’esercito. Nei mesi successivi, il capo di quest’ultimo, il generale Abdel Fattah al-Sisi, è diventato il nuovo presidente del Paese. Da allora, sono state introdotte misure severe per reprimere qualsiasi forma di protesta e dissenso, rivolte soprattutto contro l’opposizione islamista. Ciononostante, i dati mostrano che il tasso di partecipazione alle proteste è andato leggermente aumentando rispetto al 2011, sebbene dal 2013 in poi la stampa internazionale abbia dato solo notizie sporadiche di questi movimenti. Allo stesso tempo, ci sono stati piccoli cambiamenti nelle determinanti della protesta. Ad esempio, mentre l’età (l’essere in media più giovane) non era un indice significativo nel 2011 – nell’intervallo del 90% – lo è invece diventato nel 2018-2019. Ciò sembra confermare i resoconti delle proteste scoppiate nel settembre 2019, descritte come proteste guidate dai giovani, molti dei quali addirittura troppo giovani per aver partecipato alla rivolta del 2011[17]. Inoltre, mentre il reddito era correlato positivamente alla partecipazione nel 2011, questa relazione ha perso d’importanza nel 2018-2019. Ora i manifestanti sembrano provenire da un segmento socio-economico più ampio, comprendente anche gli strati più poveri della popolazione. Inoltre, è interessante notare come la religiosità non fosse un elemento significativo nel 2011, ma lo sia diventata, seppure in maniera minima, nel 2018-2019. Ciò potrebbe rivelare un leggero incremento dell’attivismo dei gruppi islamisti come i Fratelli Musulmani, in risposta alla repressione e all’esclusione dalla vita politica del Paese. L’istruzione, il genere e il divario urbano-rurale sono forti indici in entrambe le tornate, dal momento che i maschi istruiti delle aree urbane sembrano essere il gruppo demografico più propenso a partecipare alle proteste.
Sudan. Il Sudan ha visto un cambiamento radicale nelle determinanti della partecipazione alle proteste tra le due tornate, oltre a un drastico incremento del tasso di partecipazione. Anche se i sudanesi si sono uniti all’ondata regionale di manifestazioni nella Primavera del 2011, le proteste sono rimaste piuttosto sporadiche rispetto ad altri Paesi MENA. Le manifestazioni si sono svolte nella capitale Khartoum e in poche altre aree urbane situate in regioni abitate da popolazioni tradizionalmente discriminate dal governo centrale[18]. Verso la fine del 2011 le manifestazioni erano pressoché cessate, mentre l’attenzione della nazione veniva assorbita dalla tanto attesa secessione del Sud Sudan, dove si trova la maggior parte dei giacimenti petroliferi del Paese. Nei mesi successivi, il Paese è entrato in una profonda crisi economica causata dalla perdita della sua principale fonte di reddito, derivante perlopiù dagli idrocarburi. Per compensare il crescente deficit di bilancio, nei mesi successivi il governo ha introdotto misure di austerity che hanno portato a un rapido deterioramento delle condizioni di vita della popolazione. Nel 2012 è iniziata una nuova ondata di proteste, che questa volta ha coinvolto anche la popolazione araba dei principali centri urbani. Negli anni successivi si sono verificate periodicamente delle ondate di proteste e instabilità, mentre l’economia dava segnali di ripresa[19]. All’inizio del 2019, un nuovo, consistente movimento di protesta ha portato alla fine della presidenza trentennale di Omar al-Bashir, e all’inizio di un periodo di transizione guidato da un governo formato dalla leadership militare e dai rappresentanti civili del movimento di protesta.
I dati relativi al Sudan riflettono chiaramente il profondo cambiamento innescato dalla secessione del Sud Sudan. Nel 2011, il divario urbano-rurale (a favore delle aree rurali) e la religiosità (a favore degli individui in media meno praticanti) si sono confermati determinanti principali della partecipazione. I dati del 2011 mostrano anche come il Sudan sia, insieme al Libano, l’unico caso in cui il genere non è correlato in maniera significativa alla partecipazione in almeno una rilevazione. Essere maschi diventa una determinante significativa della partecipazione nel 2018/2019, mentre il divario tra zone urbane e rurali perde d’importanza a favore dell’età (privilegiando i cittadini in media più giovani).
Giordania. La Giordania è stata tra i primi Paesi in cui è nato un movimento di protesta significativo, anche se relativamente breve, all’indomani delle rivolte in Tunisia e in Egitto[20]. In risposta alle manifestazioni, re Abdallah ha nominato un nuovo governo incaricato di elaborare riforme politiche sulla base delle richieste dei manifestanti, sebbene in seguito non si sia fatto quasi alcun passo legislativo concreto[21]. Secondo gli osservatori, la debolezza del movimento è dovuta allo stato di relativa salute in cui versava l’economia del Paese e alla divisione e alla sfiducia tuttora esistenti tra la componente transgiordana e quella palestinese della società. Negli anni successivi il Paese ha visto un costante deterioramento delle sue condizioni socio-economiche. Per equilibrare un sistema economico diventato sempre più insostenibile, i governi che si sono susseguiti hanno introdotto diverse misure di austerity[22]. Sono così scoppiate molte nuove proteste, soprattutto nel 2018 e nel 2019. I dati, tuttavia, mostrano una leggera diminuzione del tasso di partecipazione tra le due tornate considerate, oltre a un cambiamento significativo delle determinanti. Mentre nel 2011 il genere, l’istruzione e il reddito (a favore della metà superiore della distribuzione del reddito) erano le uniche variabili correlate in maniera significativa alla partecipazione, nella rilevazione del 2018 e del 2019 hanno acquisito importanza anche l’età (a favore degli individui in media più giovani) e la religiosità (a favore degli individui in media meno praticanti). Anche il divario urbano-rurale (a favore delle aree urbane) è diventato lievemente significativo (nell’intervallo del 90%).
Libano. Il Libano non è stato tra i Paesi più colpiti dall’ondata di proteste del 2011, come mostra il grafico numero 2. Tuttavia, negli anni successivi, la crisi socio-economica generata da corruzione e malgoverno e dall’afflusso di quasi due milioni di rifugiati dalla vicina Siria ha innescato una nuova serie di proteste contro il sistema politico costituito dopo la fine della guerra civile nel 1990. Dal 2012 si sono registrate manifestazioni sporadiche con una partecipazione crescente[23]. Nell’ottobre 2019, un nuovo pacchetto di misure di austerity introdotto dal governo di Saad Hariri per far fronte alle crescenti difficoltà di bilancio e finanziarie ha scatenato un’ondata di proteste senza precedenti in tutto il Paese[24]. Sebbene i sondaggi dell’Arab Barometer del 2018-2019 siano stati realizzati prima dell’ultimo movimento di protesta, i dati catturano l’impressionante aumento della partecipazione alle proteste osservato negli ultimi anni. Detto questo, non vi è stata però alcuna variazione significativa nelle determinanti della partecipazione. In entrambe le tornate, l’età (a favore degli individui in media più giovani) è l’unico indicatore forte di partecipazione, mentre l’istruzione e il reddito (a favore degli individui in media più poveri) sono solo debolmente correlati alla partecipazione alle proteste. È interessante notare inoltre come il Libano sia l’unico Paese in cui il genere non sia mai collegato alla partecipazione.
Un processo ancora in corso?
Si possono ora riassumere i risultati per ogni determinante demografica analizzata, mettendo in evidenza le continuità e le eccezioni nella loro incidenza sulla partecipazione.
Genere. La persistente rilevanza della variabile di genere – a favore della partecipazione maschile – è una caratteristica di quasi tutte le regressioni presentate in questo articolo (a eccezione della prima rilevazione in Sudan e del Libano). I risultati riflettono una cultura patriarcale, ancora estremamente diffusa nella regione, che frena la partecipazione delle donne ai movimenti di protesta. A livello aggregato, il coefficiente della determinante di genere è diminuito solo leggermente tra le due tornate, ed è perciò assai improbabile che questo divario scompaia nel breve periodo. Quindi, presumendo che il livello di malcontento e risentimento delle donne arabe sia simile a quello della loro controparte maschile, si può concludere che, a causa di questa discriminante culturale, gli attuali movimenti di protesta nei Paesi arabi non riescano a fare un uso efficace di un potenziale serbatoio di partecipazione aggiunta.
Età. I dati mostrano come, sia nel 2011 che nel 2018-2019, l’età sia stata una forte determinante della partecipazione. Per questa ragione, la definizione di “rivoluzioni dei giovani” che la stampa internazionale ha iniziato a usare subito dopo l’inizio della Primavera araba è appropriata. Le generazioni più giovani nella maggior parte dei Paesi arabi sono state colpite duramente dal deterioramento dell’economia degli ultimi decenni. Per milioni di giovani arabi, l’impossibilità di assicurarsi un lavoro e un reddito adeguati ha significato il perturbamento dei loro progetti di vita, in termini di formazione di una famiglia e di pieno accesso all’età adulta[25]. Inoltre, in alcuni casi come l’Egitto, le notizie date dai media sulle ultime ondate di proteste, avvenute quasi dieci anni dopo la Primavera araba, mostrano come la maggior parte dei partecipanti fosse troppo giovane per aver preso parte alle rivolte del 2011. Le proteste di piazza non sono quindi una modalità di opposizione rimasta confinata alle generazioni che hanno preso parte alle rivolte del 2011, ma stanno diventando la normalità anche tra le nuove generazioni più giovani che non avevano partecipato ai movimenti del 2011[26].
Divario urbano-rurale. La maggior parte delle notizie sulle proteste provengono solitamente dai centri urbani. Le immagini più potenti delle rivolte del 2011 sono arrivate da luoghi come piazza Tahrir al Cairo o Avenue Bourguiba a Tunisi. In effetti, l’analisi dei dati sulla partecipazione alle proteste mostra che, a livello aggregato, il divario urbano-rurale è stato un fattore determinante importante della partecipazione soltanto nel 2011. Su base nazionale, esso è stato importante solo in pochi casi, come l’Egitto (per entrambe le tornate) e la Giordania (per quanto debolmente e soltanto nella seconda rilevazione). Questi risultati suggeriscono che oggi esistono movimenti di protesta significativi, per quanto sparpagliati, nelle campagne della maggior parte dei Paesi arabi, che però non vengono segnalati e non sono studiati.
Livello d’istruzione. Insieme all’età e al genere, l’importanza del livello d’istruzione quale determinante della partecipazione alla protesta è l’elemento più consistente a emergere dall’analisi. Esso è infatti correlato in maniera significativa alla partecipazione a livello aggregato in entrambe le tornate, e nella maggior parte delle analisi su base nazionale. Ciò potrebbe derivare in parte dal fatto che i giovani istruiti sono tra i gruppi sociali più colpiti dalla crisi in molti Paesi arabi. Inoltre, questo conferma i risultati della letteratura sulla politica della contestazione, che tende a istituire un legame diretto e forte tra l’istruzione e la volontà (e la capacità) di partecipare ad azioni di contestazione politica[27].
Reddito. I risultati relativi a questa variabile contraddicono la narrazione prevalente sulle rivolte arabe, spesso descritte come una lotta tra gruppi sociali poveri e gruppi sociali ricchi. A livello aggregato, il reddito si presenta come un importante indice di partecipazione alla prima rilevazione, mentre perde d’importanza nella seconda. Esso risulta inoltre essere un indicatore importante in diverse analisi su base nazionale. Tutti i casi di appartenenza alla parte superiore della distribuzione del reddito (sopra la mediana) sono correlati positivamente, e non negativamente come si pensava all’inizio, alla partecipazione. Questi risultati confermano i filoni più recenti della letteratura che studia l’incidenza della condizione socio-economica sulla partecipazione alle proteste, come la teoria delle risorse[28] e la teoria del potere relativo[29], secondo le quali la condizione economica è decisiva nel determinare se gli individui possono permettersi di spendere il tempo e le risorse necessarie per partecipare ai movimenti di protesta. Tuttavia, il fatto che la variabile del reddito perda d’importanza nella seconda rilevazione può essere spiegato dal drastico aumento della partecipazione complessiva nell’ultimo decennio. La partecipazione sembra essersi estesa anche ai gruppi sociali emarginati che prima non intendevano o non potevano prendere parte alle proteste, rendendo di fatto il reddito un elemento non più determinante.
Disoccupazione. La disoccupazione è probabilmente il più debole indice di partecipazione alle proteste tra quelli considerati in questa analisi. Non risulta infatti rilevante se considerato con le altre variabili indipendenti, né a livello aggregato né su base nazionale.
Religiosità. Un altro aspetto intrigante che emerge da quest’analisi sono i risultati riguardanti il ruolo della religiosità degli individui nel determinare la partecipazione alla protesta. In effetti, soprattutto nel 2011, l’emergere dei movimenti islamisti quali potenti (a volte i più potenti) attori delle rivolte avrebbe potuto essere interpretato come una prova del forte ruolo giocato dalla religiosità nelle proteste contro regimi autoritari (solitamente) piuttosto laici. Tuttavia, la religiosità si è dimostrata un indice non significativo della partecipazione a livello aggregato in entrambe le tornate, mentre, su base nazionale, il suo legame nei sondaggi del 2011 è sempre inverso, erano cioè le persone meno praticanti le più propense a partecipare. Ma a sorprendere maggiormente è che questo legame inverso è stato meno forte nella rilevazione del 2018-2019. A livello nazionale, troviamo addirittura due casi (l’Egitto e la Tunisia) in cui una maggiore religiosità è legata (seppur debolmente) alla partecipazione, nonostante negli ultimi anni i movimenti islamisti non sembrino aver avuto alcun ruolo significativo nelle proteste, almeno finora. Alla luce di questi risultati, le dinamiche tra religiosità e partecipazione alla politica della contestazione nella regione MENA richiedono un’indagine più approfondita.
Per sintetizzare, si può affermare che lo zoccolo duro di chi ha partecipato alle proteste in entrambe le tornate era costituito da cittadini maschi e istruiti. Inoltre i dati evidenziano un ruolo limitato (anche se importante in alcuni casi) delle altre variabili demografiche considerate, in particolare il reddito. Questi risultati sembrano confermare la letteratura che ritiene la classe media istruita il gruppo sociale più importante quando si tratta di organizzare e partecipare alla politica della contestazione[30]. Infine, è possibile affermare che il quadro che emerge da questa analisi ritrae una situazione di conflitto costante e crescente in tutta la regione. Secondo molti studiosi, le dinamiche che hanno acceso le rivolte arabe nel 2011 sono quasi del tutto scomparse[31]. Contrariamente a questa idea, tali dinamiche potrebbero invece essere state ulteriormente aggravate dalla recente crisi socio-economica causata dalla pandemia di coronavirus e dal calo dei prezzi del petrolio. Ciò potrebbe significare che ci troviamo di fronte a un processo ancora in corso di trasformazione sociale e politica, che negli anni a venire potrebbe produrre più episodi di protesta e maggiore destabilizzazione e cambiamento politico.
Tabelle
Vedere i risultati delle regressioni logistiche multivariate sia a livello aggregato che per paese.
Tabella 1 - Risultati del modello di regressione logistico multivariato a tre livelli utilizzando i dati aggregati del 2011 di tutti i paesi considerati
Fixed effects |
Random effects |
||||||
Estimate |
Z value |
Pr(>|z|) |
Region:country variance |
||||
Education |
0.29755 |
7.354 |
1.93E-13 |
*** |
Education |
3.30E-02 |
|
Urban/Rural |
-0.28874 |
-2.251 |
0.0244 |
* |
Urban/Rural |
2.51E-01 |
|
Gender |
-1.25271 |
-8.221 |
< 2e-16 |
*** |
Gender |
8.28E-01 |
|
Age |
-0.01927 |
-4.877 |
1.08E-06 |
*** |
Age |
6.07E-05 |
|
Religiosity |
0.11139 |
1.749 |
0.0802 |
. |
Religiosity |
7.69E-02 |
|
Unemployment |
0.09218 |
0.735 |
0.4622 |
Unemployment |
3.23E-01 |
||
Income |
0.57339 |
4.042 |
5.29E-05 |
*** |
Income |
5.41E-01 |
*Significance codes: 0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’ 1
Tabella 2 - Risultati del modello di regressione logistico multivariato a tre livelli utilizzando i dati aggregati del 2018/2019 di tutti i paesi considerati
Fixed effects |
Random effects |
|||||||
Estimate |
Z value |
Pr(>|z|) |
Region:country variance |
|||||
Education |
0.24601 |
8.252 |
< 2e-16 |
*** |
Education |
0.04324 |
||
Urban/Rural |
-0.1671 |
-1.815 |
0.0695 |
. |
Urban/Rural |
0.20073 |
||
Gender |
-0.8226 |
-10.562 |
< 2e-16 |
*** |
Gender |
0.20282 |
||
Age |
-0.0092 |
-2.941 |
0.00327 |
** |
Age |
0.00029 |
||
Religiosity |
0.02326 |
0.72 |
0.47133 |
Religiosity |
0.02353 |
|||
Unemployment |
-0.0131 |
-0.134 |
0.89338 |
Unemployment |
0.11152 |
|||
Income |
-0.0771 |
-0.957 |
0.33866 |
Income |
0.16524 |
*Significance codes: 0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’ 1
Tabella 3 - Risultati dei modelli di regressione basati sui dati del 2011 tenendo conto di una variabile per volta
Model 1 - Gender |
Model 2 – Age |
Model 3 - Urban/Rural |
||||||
Estimate |
-1.2432 |
Estimate |
-0.0208 |
Estimate |
-0.304 |
|||
Pr(>|z|) |
6.71E-13 |
*** |
Pr(>|z|) |
2.14E-06 |
*** |
Pr(>|z|) |
0.0392 |
* |
Region:country variance |
0.5713 |
Region:country variance |
0.0002 |
Region:country variance |
0.2473 |
|||
Model 4 - Religiosity |
Model 5 – Unemployment |
Model 6 - Income |
||||||
Estimate |
0.27711 |
Estimate |
-0.5947 |
Estimate |
0.9957 |
|||
Pr(>|z|) |
1.18E-05 |
*** |
Pr(>|z|) |
4.49E-06 |
*** |
Pr(>|z|) |
2.79E-11 |
*** |
Region:country variance |
0.06491 |
Region:country variance |
0.3249 |
Region:country variance |
0.3735 |
*Significance codes: 0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’ 1
Tabella 4 - Risultati dei modelli di regressione basati sui dati del 2018/2019 tenendo conto di una variabile per volta
Model 1 - Gender |
Model 2 – Age |
Model 3 - Urban/Rural |
||||||
Estimate |
-0.8763 |
Estimate |
-0.0211 |
Estimate |
-0.242 |
|||
Pr(>|z|) |
<2e-16 |
*** |
Pr(>|z|) |
3.64E-14 |
*** |
Pr(>|z|) |
0.011 |
* |
Region:country variance |
0.2267 |
Region:country variance |
0.00026 |
Region:country variance |
0.2001 |
|||
Model 4 - Religiosity |
Model 5 – Unemployment |
Model 6 - Income |
||||||
Estimate |
0.11147 |
Estimate |
0.24378 |
Estimate |
0.23908 |
|||
Pr(>|z|) |
0.00073 |
*** |
Pr(>|z|) |
0.00454 |
** |
Pr(>|z|) |
0.00344 |
** |
Region:country variance |
0.04258 |
Region:country variance |
0.02293 |
Region:country variance |
0.2506 |
*Significance codes: 0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’
Tabella 5 – Algeria (dati del 2011)
|
Coeff |
Pr(>|z|) |
|
Education |
0.00369 |
0.984 |
|
Urban/Rural |
-0.1788 |
0.72195 |
|
Gender |
-1.4624 |
0.00196 |
** |
Age |
-0.0393 |
6.82E-02 |
. |
Religiosity |
0.48483 |
8.38E-02 |
. |
Unemployment |
0.56338 |
0.23426 |
|
Income |
-0.044 |
9.22E-01 |
Tabella 6 – Algeria (dati del 2018/2019)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
-0.0039 |
0.9339 |
|
Urban/Rural |
0.06572 |
0.8236 |
|
Gender |
-0.58 |
3.22E-05 |
*** |
Age |
0.00705 |
2.06E-01 |
|
Religiosity |
0.1299 |
7.05E-02 |
. |
Unemployment |
0.31102 |
8.34E-02 |
. |
Income |
-0.2301 |
1.06E-01 |
Tabella 7 – Marocco (dati del 2011)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.02891 |
0.7791 |
|
Urban/Rural |
-0.9111 |
0.01128 |
* |
Gender |
-0.044 |
0.88208 |
|
Age |
-0.0358 |
0.00789 |
** |
Religiosity |
-0.0002 |
0.99927 |
|
Unemployment |
-0.3063 |
0.41529 |
|
Income |
0.27467 |
0.42625 |
Tabella 8 – Marocco (dati del 2018/2019)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.35101 |
< 2e-16 |
*** |
Urban/Rural |
-0.1178 |
0.42332 |
|
Gender |
-0.8704 |
1.65E-12 |
*** |
Age |
0.01236 |
2.11E-02 |
* |
Religiosity |
0.18689 |
1.68E-03 |
** |
Unemployment |
0.05497 |
7.48E-01 |
|
Income |
-0.1048 |
5.87E-01 |
Tabella 9 – Tunisia (dati del 2011)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.29917 |
0.00011 |
*** |
Urban/Rural |
-0.3687 |
0.0851 |
. |
Gender |
-1.7219 |
6.00E-14 |
*** |
Age |
-0.0362 |
5.08E-07 |
*** |
Religiosity |
-0.048 |
0.56212 |
|
Unemployment |
0.04891 |
0.80161 |
|
Income |
0.31774 |
0.14835 |
Tabella 10 – Tunisia (dati del 2018/2019)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.40694 |
1.31E-10 |
*** |
Urban/Rural |
0.11532 |
0.53174 |
|
Gender |
-0.8809 |
4.61E-07 |
*** |
Age |
-0.0174 |
7.77E-03 |
** |
Religiosity |
-0.1091 |
9.60E-02 |
. |
Unemployment |
-0.0566 |
8.35E-01 |
|
Income |
0.06718 |
7.43E-01 |
Tabella 11 – Egitto (dati del 2011)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.45978 |
3.37E-09 |
*** |
Urban/Rural |
-0.5608 |
0.0187 |
* |
Gender |
-1.4494 |
4.79E-08 |
*** |
Age |
-0.0134 |
1.07E-01 |
|
Religiosity |
0.03472 |
8.09E-01 |
|
Unemployment |
0.11262 |
0.6522 |
|
Income |
0.21555 |
4.06E-01 |
Tabella 12 – Egitto (dati del 2018/2019)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.25543 |
1.78E-08 |
*** |
Urban/Rural |
-0.458 |
0.00217 |
** |
Gender |
-1.2433 |
< 2e-16 |
*** |
Age |
-0.0213 |
5.43E-04 |
*** |
Religiosity |
-0.1122 |
8.50E-02 |
. |
Unemployment |
-0.2149 |
4.17E-01 |
|
Income |
0.15554 |
3.16E-01 |
Tabella 13 – Sudan (dati del 2011)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.217457 |
0.00635 |
** |
Urban/Rural |
0.585528 |
0.02903 |
* |
Gender |
-0.23072 |
0.30923 |
|
Age |
-0.01155 |
0.23516 |
|
Religiosity |
0.371362 |
0.06736 |
. |
Unemployment |
-0.13768 |
0.59082 |
|
Income |
0.354876 |
0.14848 |
Tabella 14 – Sudan (dati del 2018/2019)
Coeff |
Pr(>|z|) |
|
|
Education |
0.14716 |
0.00117 |
** |
Urban/Rural |
0.07572 |
0.61389 |
|
Gender |
-0.6672 |
1.69E-07 |
*** |
Age |
-0.01 |
1.32E-01 |
|
Religiosity |
0.05608 |
3.77E-01 |
|
Unemployment |
-0.2709 |
1.46E-01 |
|
Income |
-0.1815 |
1.59E-01 |
|
Tabella 15 – Giordania (dati del 2011)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.31427 |
0.00704 |
** |
Urban/Rural |
-0.223 |
0.54039 |
|
Gender |
-1.2823 |
8.39E-04 |
*** |
Age |
0.00616 |
5.83E-01 |
|
Religiosity |
-0.0855 |
6.64E-01 |
|
Unemployment |
-0.3326 |
0.30771 |
|
Income |
1.23542 |
3.88E-03 |
** |
Tabella 16 – Giordania (dati del 2018/2019)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.18469 |
0.02439 |
* |
Urban/Rural |
-0.7045 |
0.06536 |
. |
Gender |
-0.7173 |
8.43E-04 |
*** |
Age |
-0.0256 |
7.18E-04 |
*** |
Religiosity |
0.16415 |
4.41E-02 |
* |
Unemployment |
0.28811 |
2.96E-01 |
|
Income |
0.48624 |
2.21E-02 |
* |
Tabella 17 – Libano (dati del 2011)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.13335 |
0.08825 |
. |
Urban/Rural |
-0.2739 |
0.44322 |
|
Gender |
-0.1377 |
4.75E-01 |
|
Age |
-0.026 |
2.07E-03 |
** |
Religiosity |
-0.0927 |
3.03E-01 |
|
Unemployment |
-0.1118 |
0.76177 |
|
Income |
-0.4511 |
7.77E-02 |
. |
*Significance codes: 0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’
Tabella 18 – Libano (dati del 2018/2019)
Coeff |
Pr(>|z|) |
||
Education |
0.13335 |
0.08825 |
. |
Urban/Rural |
-0.2739 |
0.44322 |
|
Gender |
-0.1377 |
4.75E-01 |
|
Age |
-0.026 |
2.07E-03 |
** |
Religiosity |
-0.0927 |
3.03E-01 |
|
Unemployment |
-0.1118 |
7.62E-01 |
|
Income |
-0.4511 |
7.77E-02 |
. |
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Riferimento al formato cartaceo:
Eugenio Dacrema, Maschio, giovane, istruito. Profilo del manifestante arabo, «Oasis», anno XVI, n. 31, dicembre 2020, pp. 53-65.
Riferimento al formato digitale:
Eugenio Dacrema, Maschio, giovane, istruito. Profilo del manifestante arabo, «Oasis» [online], pubblicato il 10 dicembre 2020, URL: /it/maschio-giovane-istruito-profilo-del-manifestante-arabo