Quello cui stiamo assistendo è uno scontro tra un sistema conservatore e un modello progressista
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:08:53
Le nostre società arabe non sono mai state chiuse in se stesse. La visione propugnata dalla letteratura islamista che oggi insiste nel presentare l’epoca preislamica, la jāhiliyya, come un’“epoca d’ignoranza”, non ha alcun fondamento storico. Gli arabi, infatti, già ben prima dell’avvento dell’Islam, avevano saputo ritagliarsi un ruolo nello spazio culturale dell’Antichità tardiva e chiaramente, in seguito alle conquiste questi scambi sono diventati ancora più consistenti. Lo stesso modo di pensare Avendo lavorato in passato sulle dispute islamo-cristiane in lingua araba, soprattutto del periodo abbaside, mi sono reso conto che in questo genere di letteratura abbiamo a che fare con lo stesso modo di pensare, nonostante le differenze teologiche. Sarà sufficiente qualche esempio: il filosofo e teologo cristiano Yahyā Ibn ‘Adī si guadagnava da vivere confezionando Corani per i musulmani. Leggendo alcuni autori caraiti (gruppo ebraico medievale che accettava solo la Bibbia, rifiutando le elaborazioni rabbiniche successive, come la Mishna e il Talmud) come Qirqisānī nel X secolo, lo studioso si domanda se si tratti di testi ebraici, tanto sono numerosi gli echi del pensiero islamico. Il caso del celebre medico, filosofo e teologo ebreo Maimonide, che scrisse la maggior parte delle sue opere in arabo, non è isolato. Il meticciato era una costante nello spazio mediterraneo, ma questo non escludeva il ricorso alla forza tanto da parte cristiana quanto da parte musulmana. Se riferita all’Islam, questa costatazione relativa all’uso della violenza non è falsa, ma non dice tutta la storia, perché la fede musulmana si diffuse anche grazie ai mercanti e ai sufi. Decostruire il periodo coloniale Dopo il periodo di decadenza e stagnazione che seguì la conquista turca, il mondo arabo reagì con entusiasmo al contatto con l’Europa all’inizio del XIX secolo. Autori come Tahtāwī in Egitto o Khayr al-Dīn in Tunisia raccomandavano di adottare le stesse istituzioni in uso in Europa. È fondamentale constatare che questo movimento è stato ostacolato dal periodo coloniale che l’ha seguito e di questo blocco noi subiamo ancora le conseguenze. Pertanto mi sembra urgente per il futuro del pensiero arabo decostruire il periodo coloniale, senza negarne le realtà negative, ma allo stesso tempo assumendo in maniera critica le istanze positive che ci sono giunte dal contatto con l’Europa. Peraltro questa decostruzione non è un atto volontarista, perché si sta già producendo attraverso Internet e i social network. Stiamo assistendo a uno scontro tra un sistema conservatore e un modello progressista più che a una lotta tra società musulmane e non-musulmane. La donna è al centro di questo conflitto ma il cambiamento è inesorabile. Ne è un esempio il velo: per un’astuzia della storia, un simbolo destinato ad assoggettare la donna è diventato funzionale alla sua emancipazione perché le dà la possibilità di accedere allo spazio pubblico. E di fatto ciò che è considerato islamico lo è soltanto in parte, perché non crea la realtà, la legittima. La realtà in sé è segnata profondamente dal processo di secolarizzazione. Ricordo di aver accennato a questo tema negli anni ’80 a Roma durante un incontro al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica. Una parte del pubblico fu sorpresa dalla mia diagnosi ma oggi, a maggior ragione, la confermerei. Negli ultimi due secoli l’Occidente e il mondo musulmano hanno vissuto un rapporto di amore-odio. Si oscilla tra l’uno e l’altro. Detto questo, è altrettanto vero che gli argomenti utilizzati, nel mondo musulmano come altrove, contro l’universalismo europeo sono essi stessi europei. L’universalismo, oggi, non è più una scelta, è una necessità. Specialmente nell’ambito del dialogo interreligioso constato l’emergere di fratture trasversali che trascendono i confini delle religioni. In particolare, sono sempre più frequenti i casi di fedeli di religioni diverse che si sentono più vicini tra loro piuttosto che ai loro correligionari, soffocati in visioni chiuse e ideologiche della loro appartenenza. Per saperne di più: Abdelmajid Charfi, L’islam entre le message et l’histoire, trad. di André Ferré, Albin Michel, Paris 2004 Abdelmajid Charfi, La pensée islamique. Rupture et fidélité, Albin Michel, Paris 2008 Abdelmajid Charfi, Révolution, modernité, Islam, Sud Éditions, Tunis 2012