La nostra intervista a Fethullah Gülen
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:33
Parla Fethullah Gülen, uno degli intellettuali più influenti del pianeta. Musulmano, nato in Turchia, uomo poliedrico e attivissimo in molti campi, è all’origine di un movimento diffuso in diversi Paesi che agisce nella società civile, nell’economia e soprattutto nell’educazione, “il più grande dono che una generazione possa fare all’altra”.
Nel 2008 la rivista Foreign Policy, sulla base di un sondaggio, lo ha definito l’intellettuale più influente del pianeta: è il turco Fethullah Gülen. Non ama essere definito un leader spirituale eppure a partire dalla sua esperienza ha preso vita un movimento islamico diffuso in tutto il mondo e impegnato soprattutto nell’educazione. Come il suo maestro Said Nursi, Gülen pensa che il Corano vada letto alla luce dei tempi, ma senza tradirne il contenuto e sempre ispirandosi alla tradizione islamica. Educatore, scrittore, pensatore, imam, protagonista del dialogo interreligioso, è attivo su molti fronti. Il suo scopo, afferma in questa intervista, è uno solo: «far conoscere il nome di Dio in ogni angolo della terra».
Può parlarci delle esperienze, degli incontri e delle circostanze che hanno segnato la sua vita? In particolare, abbiamo recentemente visitato la città di Urfa, dove abbiamo visto la tomba di Said Nursi [1]. Qual è stato l’impatto di questo pensatore e riformista sulla sua crescita spirituale e intellettuale?
Posso dire con certezza di essere sempre stato profondamente toccato dagli sforzi, dall’abnegazione e dall’altruismo dei nostri amici che fanno parte del movimento di volontari che in modo disinteressato non risparmiano alcuno sforzo per il bene dell’umanità. Tra i servizi (hizmet, come si dice in turco) che prestano, sono incluse attività educative che, avviate inizialmente in poche località e con mezzi limitati, si sono in seguito sviluppate a piccoli passi qua e là e gradualmente si sono diffuse in tutta la Turchia e nel mondo. Gli educatori che lavorano in queste scuole erano ben consapevoli delle difficoltà che avrebbero incontrato. Pur ricevendo il sostegno di ricchi filantropi, fondazioni e associazioni, hanno sperimentato difficoltà e gravi privazioni. Per quanto poi possa valere la mia opinione, direi che Bediüzzaman Said Nursi è il più grande pensatore della nostra epoca, un uomo d’azione che ha profondamente sofferto per i mali che affliggevano l’Islam e l’intera umanità e si è impegnato in suo favore. È stato un grande studioso e un eroe per moralità, onore, modestia e servizi resi all’umanità. I suoi pensieri e il suo modo di vivere mi hanno profondamente ispirato e colpito, così come hanno colpito chiunque sia entrato in contatto con lui. Ci sono altre grandi personalità che considero altrettanto eminenti e che ho ammirato per tutta la vita: per esempio i grandi maestri sufi come l’Imam Rabbânî [2], Mawlâna Khâlid [3], al-Ghazâlî [4], ‘Abd al-Qâdir al-Jilânî [5] e Muhammad Bahâ’uddîn [6], la cui visione delle cose ho seriamente cercato di capire. Seguire le loro orme è sempre stato per me come camminare dietro al Messaggero di Dio (Maometto, ndr). Dal mio punto di vista, Bediüzzaman è particolare perché è una persona dell’era moderna e ammiro la sua capacità di interpretarla perfettamente.
Quando ha pensato di trasformare la sua esperienza personale in un movimento internazionale? Come definirebbe la natura e gli ideali del Movimento Gülen?
Anche nella situazione di seria malattia in cui mi trovo, ci sono persone che mi considerano il “capo di una comunità religiosa” o lo “shaykh di un ordine sufi”. Queste definizioni mi urtano pesantemente. Ho sempre spinto le persone che rispettano il mio pensiero e hanno un’opinione positiva sulla mia persona a compiere opere che consideravo buone e utili. Ho consigliato loro, per esempio, di aprire scuole e centri di formazione che preparassero ai test di ingresso nelle università. Mi sono poi reso conto che molte persone rispondevano positivamente a questi inviti, mossi dalla stessa visione. Sono solo un comune musulmano e cittadino che ha fatto tutto quello che ha fatto per il suo popolo. Oggi l’idea soggiacente a questo movimento – o alla “comunità”, come viene chiamata – è quella di un insieme di persone che condividono le stesse emozioni, hanno idee simili e uniscono i loro sforzi alla ricerca delle migliori risposte possibili a domande come: «In che modo possiamo porci a servizio alla nostra gente? Come possiamo contribuire al progresso del nostro Paese sia in termini materiali che morali? Come possiamo accendere le menti e illuminare i cuori?» Il risultato è che queste persone di fede hanno portato le loro convinzioni in Asia, Europa, America e anche in Africa e hanno costruito centinaia di scuole nei Paesi dove si sono recate. In essi, così come in Turchia, hanno fondato società e imprese che hanno finanziato la costruzione di molte scuole. Se ho svolto un ruolo in questo processo e se posso dire di essere stato utile all’umanità, è solo per i consigli che ho dato. Non abbiamo altro obiettivo che piacere a Dio. Non ho altro scopo che far conoscere il nome di Dio in ogni angolo del mondo, preservando la fede della gente e la loro sorte nell’Aldilà e stabilendo la pace e il giusto ordine per il mio Paese e per l’intera umanità. Ero e resto fermamente convinto che la vera pace e il giusto ordine sono possibili solo tramite l’azione di individui responsabili e altamente morali, profondamente spirituali e decisi ad astenersi da qualsiasi atto sbagliato di corruzione e abuso.
Come ha già detto, tra le attività svolte dal Movimento Gülen l’educazione ha un ruolo preminente. Perché questa preoccupazione? Cosa significa per Lei l’educazione e come pensa che essa possa influenzare le giovani generazioni?
Il mondo, con il progredire delle tecnologie della comunicazione e dei trasporti, è diventato un villaggio globale. Tutte le nazioni ormai somigliano le une alle altre. In questo mosaico di Paesi e nazioni, le nazioni che non saranno state in grado di proteggere i propri stili di vita e le proprie specificità finiranno per svanire. I popoli potranno continuare a esistere se rafforzeranno ulteriormente la loro identità nazionale, ma in completo accordo con i requisiti dell’era moderna e, naturalmente, in piena conformità coi valori universali. ‘Ali (il quarto califfo dell’Islam e genero del Profeta), che occupa un posto di primo piano nell’Islam, disse: «Tutti i musulmani sono nostri fratelli e sorelle nella fede e i non musulmani sono nostri fratelli e sorelle in umanità». La natura di “esseri umani” dovrebbe essere il terreno comune che ci unisce tutti. Per questo gli uomini devono essere cresciuti in uno spirito di rispetto per i valori morali e i loro cuori dovrebbero essere pieni di amore per i “fratelli e le sorelle” nella fede o nell’umanità. Solo in questo modo saremo capaci di lasciare a chi verrà un mondo più felice. Nel corso della storia, le generazioni più vecchie si sono assunte la responsabilità di educare le generazioni successive. Per loro era un dovere. In questo senso un’educazione riuscita è sempre stato il più grande dono che una generazione potesse fare a un’altra. L’educazione e la -trasmissione dei valori impediscono agli esseri umani di deviare dalla loro natura cedendo agli appetiti carnali e alle passioni. L’educazione, allo stesso tempo, fa emergere e sviluppa le capacità e i talenti insiti negli esseri umani e aiuta a rivelare il potenziale del loro spirito. L’educazione e il dialogo sono facce complementari di un progetto per una civiltà umana. Mentre la prima si preoccupa di crescere generazioni che amino la pace e la fratellanza, e perciò individui sani in coscienza e intelligenza, il secondo è parte indispensabile della prima, perché si preoccupa di rendere possibile e mantenere la pace, istillando nelle giovani generazioni una cultura dell’accettazione della propria condizione e posizione e una benevola apertura a tutte le differenze.
Il Suo impegno religioso sembra rappresentare una sfida alla laicità – un caposaldo non solo della Turchia moderna, ma anche dei Paesi occidentali in cui il Movimento Gülen si è diffuso. Pensa che il modello della laicità, anche nelle forme assunte in Europa o in America, sia ancora valido o ritiene che la relazione tra politica e religione vada ripensata?
Prima di tutto dobbiamo ricordare che la laicità viene definita come «un sistema in cui la religione non interferisce con le cose mondane e in cui l’amministrazione dello Stato non interferisce con la vita religiosa delle persone, consentendo loro di praticare la propria fede nelle loro vite». Saranno le persone a decidere liberamente se seguire una fede o meno, e non potranno essere costrette in ogni modo a credere o a seguire i dettami di una determinata religione. L’Islam si basa sul libero arbitrio e fonda tutti i suoi principi su questa premessa. La fede religiosa è sacra; tuttavia, questa sacralità richiede assolutamente che la religione non diventi uno strumento per ottenere vantaggi mondani di qualsiasi tipo. Politicizzare la religione attribuendo una sorta di santità alle nostre opinioni o a determinate posizioni alla fine può costituire un insulto alla religione e una sua umiliazione. La verità della religione deve essere rappresentata in tal modo da essere compresa come qualcosa che si pone oltre ogni prospettiva o interpretazione politica. Penso perciò che quanti politicizzano la religione le stiano veramente arrecando un grave danno. Alla luce delle più adeguate esegesi del Corano e della Sunna prodotte nell’epoca attuale, è impossibile considerare l’Islam in conflitto con la democrazia. Per quanto riguarda poi le dimensioni giuridiche, filosofiche e politiche della laicità, vediamo oggi che essa viene applicata in varie parti del mondo in senso politico, e in altri Paesi in senso giuridico. La laicità, cioè la separazione dello Stato e degli affari religiosi, può infatti indicare la neutralità dello Stato nelle questioni religiose, o, come sottolineano molti politici, la protezione della sfera e dello status della religione impedendone interpretazioni negative. La laicità politica può variare secondo le inclinazioni e le posizioni personali. Credo tuttavia che in Turchia, quando si parla di laicità, si intenda in realtà una sorta di laicismo molto diverso dalla laicità giuridica o filosofica. Come sostiene Ali Fuat Basgil [7]nel suo libro Din ve Laiklik (Religione e laicismo), il laicismo in Turchia è stato solo “un po’” simile alla laicità moderna e i primi commentatori turchi hanno inizialmente interpretato la laicità come “la-dini” (irreligiosità), non riconoscendo alcuno spazio alla religione nel loro sistema. Tuttavia, un sistema è un sistema, cioè un’entità relativa, collettiva, mentre la religione è per gli uomini, per le persone reali.
Anche in Turchia è in corso una rivalutazione del ruolo dell’Islam nella vita pubblica. Pensa che questo fatto riuscirà a modificare alla radice la cultura politica del Suo paese e ne influenzerà la collocazione geopolitica?
La collocazione geopolitica della Turchia, sia oggi che in futuro, è legata al posto che l’Islam occuperà nella società. Fin dalle origini, il nostro stesso insediamento in Anatolia è stato la conseguenza di questo sentimento e di questa idea. La posizione geopolitica che abbiamo acquisito successivamente nella storia, anche durante il periodo ottomano, è dipesa dalla nostra devozione verso l’Islam. Perciò la questione non è se il posto dell’Islam nella società potrà cambiare la geopolitica della Turchia, ma in che direzione avverrà questo cambiamento. È già stato abbondantemente affermato che i musulmani in Turchia praticano l’Islam come religione e che l’Islam politico è sbagliato e inutile. La religione è una questione tra l’individuo e Dio e si basa sulla sincerità, l’intimità, l’onestà, sulla ricerca dell’approvazione di Dio in ogni atto e intenzione. La religione serve all’individuo a ordinare la propria vita alle “pure colline color smeraldo del cuore”. È assolutamente sbagliato trascurare l’aspetto spirituale della religione, ridurla a uno spettacolo od ostentarla in maniera pretenziosa. Politicizzare l’Islam in uno Stato laico come la Turchia è un tradimento dell’essenza dell’Islam; la religione non deve mai essere usata come strumento politico.
Oasis ha recentemente pubblicato un’intervista in cui Mons. Padovese metteva in evidenza la condizione precaria dei cristiani di Turchia e le discriminazioni cui sono sottoposti. L’assassinio del Vescovo italiano, così come quello di don Andrea Santoro, del giornalista turco-armeno Hrant Dink e di altri membri di minoranze religiose, sembrano tragici esempi di questo stato di cose. Qual è a suo avviso la situazione della libertà religiosa in Turchia?
Il nocciolo della questione della libertà religiosa e di fede è riconducibile al fatto che ognuno dovrebbe poter scegliere liberamente la fede che preferisce, osservare gli obblighi religiosi senza essere sottoposto ad alcuna inibizione, ricevere l’educazione necessaria per praticare ciò che crede e insegnare la propria fede ad altri. Chi concepisce la religione solo come una faccenda di convinzione personale limitata alla coscienza individuale distorce la religione con interpretazioni che sono in conflitto con i decreti divini e limita la sua sfera di applicazione e influenza, vanificando i benefici che attraverso la religione Dio accorda agli individui, alla famiglia e alla società. Accanto a una ferma adesione ai principi della fede, il credo islamico implica anche la piena osservanza della disciplina islamica, una pratica rigorosa delle norme morali e il rispetto di alcune regole legate alla vita famigliare, sociale e giuridica. Solo i veri musulmani che praticano e osservano con rigore l’Islam hanno mostrato un rispetto sincero per ogni fede, opinione e filosofia di vita, si sono sempre impegnati in un dialogo sincero e sono stati molto tolleranti con i seguaci di altre religioni. Invece, quanti non comprendono correttamente l’Islam agiscono verso quelli che chiamano “gli altri” – ovviamente se hanno il potere per farlo – con violenza, forza bruta, guerre e con altri atti crudeli e selvaggi. Sin dall’inizio, il Profeta Muhammad, pace e benedizione su di Lui, si è comportato con i fedeli di altre religioni con una tolleranza straordinaria, spingendo i suoi seguaci ad agire nella stessa direzione e richiamandoli al dovere di essere la ummat al-wasat (la comunità mediana lontana da ogni tipo di estremismo). I musulmani hanno sempre rispettato questo richiamo e, se si escludono gli atteggiamenti fanatici e violenti di alcune persone afflitte da ristrettezza di pensiero e cattiva coscienza, hanno sempre agito in sincera tolleranza, sono stati rispettosi delle fedi e delle filosofie altrui e non hanno mai oppresso alcuno per le sue opinioni o credenze religiose. Non potrebbero che fare così, perché nel Corano, il versetto «Non vi sia costrizione nella fede: la retta via ben si distingue dall’errore» (Corano 2,256) indica chiaramente come comportarsi. Certo, i musulmani credono che abbracciare la religione porti alla felicità assoluta. Ma, se si segue il versetto «non via sia costrizione nella fede», non è accettabile costringere le persone a convertirsi all’Islam. Al contrario, l’Islam si impegna a proteggere gli altri da costrizioni di ogni tipo e garantisce a tutti la possibilità di vivere tranquillamente la propria religione. L’impegno dell’Islam in nome della libertà di religione e della coscienza personale è molto chiaro. Penso che basti dare uno sguardo alla storia. Dai giorni fulgidi del Profeta sino agli omayyadi, agli abbasidi e agli ottomani, tutti i governanti – tranne alcune eccezioni – hanno garantito alle minoranze il diritto di preservare e praticare il proprio credo, partecipare liberamente al culto, osservare i giorni di festa, educare i figli secondo le proprie convinzioni, associarsi in istituzioni, corporazioni e fondazioni per continuare a esistere, restaurare vecchi edifici di culto e costruirne di nuovi, e non hanno richiesto niente in cambio se non l’obbedienza alle leggi e all’ordinamento di Stato.
Tuttavia l’Islam e le società islamiche stanno attraversando tempi difficili. Come può contribuire il Movimento Gülen a una nuova interpretazione dell’Islam, sempre che ritenga che una nuova interpretazione sia necessaria?
Se proprio si vuole chiamare questo essere-insieme un “movimento”, dovremmo mettere l’accento sul fatto che questo cosiddetto movimento non ha alcuna pretesa di aggiungere qualcosa di proprio all’Islam. Quando facciamo qualcosa, lo facciamo innanzitutto osservando e avendo sempre in mente i nostri obblighi e le nostre responsabilità religiose. Possiamo perciò parlare piuttosto di un certo modo di comprendere la fede e la religione che ha particolarmente influenzato le persone del nostro tempo a partire da Bediüzzaman. Tale approccio mira a riunire segmenti della società che oggi sono separati, frantumati e disgregati, a riconciliare tutti i musulmani che sono stati alienati gli uni dagli altri. È la cosa che colpisce di più le persone, ma è legata in tutto e per tutto al Corano e alla Sunna. Il nostro non è un sistema di pensiero che nasce da opinioni personali e da una riflessione riformista di individui che di fatto affermano il loro personale modo di credere e giudicare. Perciò, se si ritiene che il nostro sia un movimento, lo stimolo che lo anima è la capacità delle persone (che acquisiscono la qualità e la capacità necessarie a leggere correttamente l’era presente) di interpretare il Corano e la Sunna secondo i bisogni del nostro tempo. Un altro stimolo nella stessa direzione è costituito dal nuovo corpus di riflessioni con cui si vogliono incontrare e soddisfare desideri e bisogni dell’umanità contemporanea. Esso non differisce molto dalla comprensione islamica formulata da altre persone. Non percepiamo l’Islam in un modo diverso da quello degli altri musulmani. In un certo senso però, potremmo essere un po’ più avanti di altri. Per esempio per il fatto di accettare e rispettare chiunque, in qualsiasi posizione sociale si trovi. Oggi abbiamo assolutamente bisogno di nuove interpretazioni che tengano conto degli aspetti non ancora pienamente rivelati del Libro e delle azioni del Profeta secondo i mutati bisogni della nostra epoca e senza intaccarne l’autenticità. Nella spiegazione degli aspetti propri dell’Islam, lo stile, la retorica o il modo di rivolgersi alle persone possono variare nel tempo. Il Corano è, innanzitutto, un dono di Dio. E di questo dono si può beneficiare in molti modi. L’importante è interpretare il Corano in tutti i suoi aspetti e riflettendovi in profondità, cercando, alla luce delle condizioni odierne, di scoprire e portare alla luce le perle e i tesori preziosi che esso contiene così come essi si rivelano nel divenire storico. Nel corso della storia nuove interpretazioni hanno sempre permesso di scoprire diversi colori della rivelazione divina. ‘Umar Ibn Abd al-‘Azîz [8], al-Ghazâlî, Fakhr ad-Dîn al-Râzî [9], Imam Rabbânî, e Bediüzzaman hanno tutti letto il Corano in modo diverso dai loro predecessori.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
[1] Nato nel 1878 nell’allora provincia ottomana di Bitlis, in Anatolia orientale, è stato un importante studioso e riformatore musulmano, autore di un poderoso commento coranico. La sua fama gli valse il soprannome di Bediüzzaman (la meraviglia del tempo). Morì a Urfa (Edessa), in Anatolia, nel 1960. La sua tomba fu demolita e il corpo rimosso per impedirne la venerazione.
[2] Imâm-i Rabbânî Shaykh Ahmad al-Farûqî al-Sirhindî (1564-1624), di origine indiana, è stato un grande mistico e riformatore islamico.
[3] Khâlid al-Baghdâdî, mistico della confraternita Naqshbandiyya, morto in Siria nel 1826.È autore di diversi trattati sufi.
[4] Abû Hâmid al-Ghazâlî (1058-1111), mistico e teologo, è stato uno dei maggiori pensatori e riformatori della storia dell’Islam.Cfr. «Oasis» 11 (2010), 66-69.
[5] ‘Abd al-Qâdir al-Jilânî (1077-1166) è stato uno dei massimi mistici islamici e fondatore della confraternita Qâdiriyya. È sepolto a Baghdad.
[6] Muhammad Bahâ’ ud-Dîn (1318-1389), grande mistico islamico, è il fondatore della confraternita sufi Naqshbandiyya. È sepolto a Bukhara, in Asia Centrale.
[7] Noto giurista turco nato nel 1893 e morto nel 1967.
[8] Vissuto tra il VII e l’VIII secolo, ottavo califfo della dinastia omayyade, famoso per la sua pietà religiosa.
[9] Nato in Iran nel 1149 e morto a Herat nell’odierno Afghanistan nel 1209, teologo, è autore di un importantissimo commento al Corano.
Per citare questo articolo
Riferimento al formato cartaceo:
Fethullah Gülen, Non ho altro scopo che piacere a Dio e diffondere il Suo nome in ogni angolo del mondo, «Oasis», anno VI, n. 12, dicembre 2010, pp. 81-85.
Riferimento al formato digitale:
Fethullah Gülen, Non ho altro scopo che piacere a Dio e diffondere il Suo nome in ogni angolo del mondo, «Oasis» [online], pubblicato il 1 dicembre 2010, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/non-ho-altro-scopo-che-piacere-a-dio-e-diffondere-il-suo-nome-in-ogni-angolo-del-mondo.