Il confronto sistematico tra i salmi dell’Antico Testamento e alcune sure evidenzia numerose somiglianze e corrispondenze retoriche che documentano come il Corano sia stato concepito come un libro per la preghiera liturgica della comunità musulmana.
Ultimo aggiornamento: 24/07/2024 17:05:38
Tra i libri sacri che l’hanno preceduto, il Corano ne menziona solo tre per nome: la Torah, il Salterio e il Vangelo. Il Salterio (zabûr) è citato tre volte (4,163; 17,55; 21,105). Nei primi due casi si precisa che Dio ha dato il Salterio a David: «Noi abbiamo dato a David il Salterio». Il terzo riferimento aggiunge una citazione pressoché testuale del versetto 29 del Salmo 37 «I giusti avranno in eredità la terra» che nel Corano diventa: «Nei Salmi, dopo che era giunto l’avvertimento, abbiamo scritto che i Miei servi buoni erediteranno la terra». Nel Corano si possono individuare altre formule presenti anche nel Salterio, come la seguente: «Dio, non c’è altro dio che Lui, il Vivo, il Sussistente, non Lo prendono mai né sopore né sonno» (2,255), che ricorda «Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele» (Sal 121,4). In linea generale, nei due libri si ritrovano un certo vocabolario e certe idee (ne vedremo alcuni esempi in seguito). Anche il loro stile è spesso formulare: si ripetono espressioni identiche. Un’altra caratteristica comune è che salmi e sure non costituiscono un genere omogeneo ma si diversificano in una varietà di generi letterari: lodi, suppliche, oracoli profetici, massime sapienziali, racconti (schematizzati) dei profeti o della storia sacra, etc… Questi punti di convergenza non significano però che le sure siano repliche arabe dei salmi ebraici. Questi ultimi sono poesie, mentre le sure non obbediscono alla prosodia araba, benché molte delle sure brevi si avvicinino alla poesia per il ritmo molto accentuato e la maggior parte dei versetti coranici terminino con una rima (a differenza dei salmi). Anche il contenuto dei due libri, nonostante alcune convergenze, differisce notevolmente. Il Corano non è una copia del Salterio. Ciononostante, alcune caratteristiche letterarie legate alla struttura dei due libri non cessano d’incuriosire. Il Salterio e il Corano sono costituiti da capitoli brevi, salmi e sure (con la notevole eccezione della lunga Sura 2, “la Vacca”). Tali capitoli sono in numero comparabile: 150 salmi contro 114 sure. Il Salterio è l’unico libro della Bibbia i cui capitoli siano separati da titoli, ciò che avviene anche nel Corano (e poco importa che questi titoli non siano originali). Le sure procedono per concatenazione così come i salmi: questi, infatti, sono legati uno all’altro da una serie ininterrotta di parole di raccordo (mot-crochet) e lo stesso vale per le sure. Alcuni commentatori classici (Râzî, Biqâ‘î, Tabarsî) e numerosi commentatori moderni segnalano anche i legami tematici o lessicologici che uniscono una sura a quella precedente. Il Salterio raggruppa molti salmi a coppie (per esempio i salmi 103 e 104, 105 e 106, 111 e 112, 114 e 115) e in serie. Le serie più note sono quelle del Regno di Yhwh (93-100), delle Ascensioni (120-134), dello Hallel pasquale (113-118) e dello Hallel finale (146-150), ma ce ne sono anche altre: i salmi attribuiti a Davide (3-41 e 51-72), ad Asaf (73-83), ai figli di Core (42-49 e 84-88). Si deve a un esegeta moderno pachistano, Amîn Ahsan Islâhî (m. 1997), la scoperta che la maggior parte delle sure del Corano, se non tutte, si raggruppa per coppie (secondo un tema simile, antitetico o complementare), fatto che l’analisi retorica di un certo numero di sure ha potuto successivamente confermare [1]. Secondo Islâhî, il Corano si dividerebbe ulteriormente in sette grandi serie di sure, ma questo resta ancora da dimostrare[2]. L’analisi retorica ha peraltro comprovato l’esistenza di serie più ridotte, di quattro, sei o otto sure, in particolare nelle sure brevi alla fine del Corano. Un’altra somiglianza tra il Salterio e il Corano, sempre in relazione alla loro struttura, è la corrispondenza tra l’inizio e la fine di ciascuno dei due libri. Molto di più: il confronto manifesta una sorprendente convergenza testuale tra le estremità dell’uno e quelle dell’altro. Nei testi composti secondo la retorica semitica, come la Bibbia e il Corano, le estremità (e le parti centrali) hanno sempre un’importanza particolare come indicatori di senso. Così è anche per il Salterio, nel quale il Salmo 1 indica le due vie che si aprono davanti all’uomo, mentre lo Hallel finale (i salmi 146-150) celebra la vittoria definitiva di Dio e dei credenti sulle forze del male. Lo stesso vale per il Corano: la prima sura propone anch’essa le due vie, mentre le ultime, in particolare le sure 110-112, celebrano la vittoria dei credenti e la sconfitta degli empi. Guardiamo più da vicino questi testi, mettendone in rilievo la composizione. La Sura 1, al-Fâtiha –1 Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso. =2 sia lode a Dio, il Signore dei mondi, –3 il Clemente, il Misericordioso. =4 il Padrone del Giorno del Giudizio. [iD-DÎN] +5a Te adoriamo +b e Te chiamiamo in aiuto. (-în) –6 guidaci per la retta via, –7a la via di quelli che hai colmato di grazia, =b non [di] quelli che sono incorsi nella Tua collera, =c né di quelli che errano [aD-DâllÎN]. Questo testo è perfettamente costruito secondo i principi di simmetria della retorica semitica[3]. Vi si distinguono tre brani: vv. 1-4, 5 e 6-7. Il primo brano è composta da due segmenti paralleli: i membri (o versetti) 1 e 3 sono parzialmente identici, i membri 2 e 4 sono sinonimici (un titolo di signoria divina, seguito da un complemento). Il terzo brano è composto da due segmenti antitetici: oppone la via diritta di coloro che sono stati colmati di grazia (6-7a) a quella di coloro che sono incorsi nella collera divina e si sono smarriti (7b-c). I due membri del brano centrale (5a-b) sono complementari: adorare e chiedere a Dio sono le due forme fondamentali della preghiera. Esso fa perfettamente da cerniera tra le due unità che lega: il primo membro («Te adoriamo») rimanda a ciò che precede (1-4), che nel suo insieme è un’adorazione di Dio in alcuni dei Suoi nomi più belli; il secondo («Te chiamiamo in aiuto») annuncia il seguito (6-7), che è una supplica, un appello al soccorso divino. «Te adoriamo» (5a) potrà essere messo più direttamente in relazione con «sia lode a Dio» (2), e «Te chiamiamo in aiuto» (5b) con «guidaci» (6). I tre brani terminano con la rima in –în, e le due estremità si concludono inoltre con un’assonanza: iD-DÎN (4) / aD-DâllÎN (7c). Questo testo è dunque costruito secondo una disposizione concentrica A/x/A’: due preghiere complementari (AA’) incorniciano il centro (x) che le collega, esplicitandone il contenuto – adorazione e richiesta. La Fâtiha e il Salmo 1 Il testo del Salmo 1 è più lungo e più complesso di quello della Fâtiha. È composto da tre parti, disposte anch’esse in modo concentrico: le parti estreme contano ciascuna due brani che si rispondono a specchio, e sono collegate da una piccola parte centrale: AB/x/B’A’. A –1a Beato l’uomo –b che non entra nel consiglio dei malvagi, =c nella via dei peccatori non sta, =d e incompagnia degli arroganti non siede, +2a ma nella Legge di YHWH [è] la sua gioia, +b e nella sua Legge è assorto giorno e notte. B = 3a Sarà come un albero =b piantato lungo corsi d’acqua; +c che il suo frutto dà a suo tempo +d e le sue foglie non appassiscono. *3e E tutto quello che EGLI farà riuscirà bene. *4a Non così i malvagi. B’ =b Ma come la pula =c che disperde il vento, A’ –5a perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio, –b né i peccatori nell’assemblea dei giusti. +6a poiché conosce, YHWH, la via dei giusti, +b e la via dei malvagi va in rovina. Alle estremità il Salmo è incorniciato dall’antitesi tra «l’uomo beato» (1a) o «i giusti» (6a) e «i malvagi» (1b e 6b), e tra «la via dei peccatori» (1c) e «la via dei giusti» (6a). È questa antitesi a percorrere tutto il testo e a dargli il suo senso. La si ritrova al centro: «E tutto quello che egli (l’uomo beato, il giusto) farà, riuscirà bene» / «non così i malvagi». La via dell’uomo giusto lo conduce al successo, quella dei malvagi li conduce al fallimento. Il centro fa da cerniera ai due versanti del testo: «E tutto quello che farà, riuscirà bene» è la conclusione del primo versante (1-3d); «non così i malvagi» introduce al secondo versante (4b-6). Lo stesso vale, come si è visto, per la parte centrale della Fâtiha. Numerose corrispondenze collegano i brani A e A’: tutti i verbi sono alla forma negativa; la preposizione “in” è ripetuta in tutti i membri (tranne 1a); i termini “malvagi” e “peccatori” figurano nei due brani; i verbi «non sta» (1c) / «non si alzeranno» (5a) sono sinonimi; i due brani terminano con alcuni termini antitetici: «la compagnia degli arroganti» (1d) / «l’assemblea dei giusti» (5b); negli ultimi segmenti (3c-d e 6a-b) figura il termine «Yhwh», e uno stesso termine è ripetuto due volte: «Legge» (2a e b) / «via» (6a e b), poiché per gli ebrei e per la Bibbia, «via» è un sinonimo di «Legge». I brani B e B’ oppongono due paragoni antitetici, del giusto e dei malvagi: «come un albero» / «come la pula»; «piantato» / «disperde»; «corsi d’acqua» / «il vento». Si può dunque constatare che la Fâtiha è costruita sulla base degli stessi principi della retorica semitica del Salmo 1: stesso gioco di simmetrie, parallelismi, sinonimie, antitesi, stesso ruolo cerniera della parte centrale. Tuttavia non è soltanto la retorica ad avvicinare la Fâtiha al Salmo 1: essi hanno in comune anche la tematica delle due vie e un finale pressoché identico, con termini dallo stesso significato: «va in rovina» (Salmo 1, 6b), e «quelli che errano» (Sura 1,7c). Il Salmo 1 e la Sura 1,6-7 sono entrambi costruiti sull’antitesi di due umanità che adottano posizioni morali opposte: «i giusti» e «i malvagi» (Salmo 1) da una parte, coloro che sono guidati sulla «diritta via» e «quelli che errano» (Sura 1), dall’altra. Tale antinomia dovrà affrontare un giorno il giudizio di Dio, che è ricordato nei due testi: «Perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio» (Salmo 1,5a); «Padrone del Giorno del Giudizio» (Sura 1,4). Questo confronto tra il Salmo 1 e la Fâtiha trova conferma in un altro passaggio del Corano (14,24-27) che riprende la parabola dei due alberi del Salmo 1 e termina con la constatazione dello smarrimento dei peccatori: «Non vedi come Dio paragona una buona parola a un albero buono, con salde radici e rami alti protesi nel cielo – che fruttifica in ogni stagione […]. Invece una parola cattiva è come un albero cattivo, che facilmente si sradica dalla superficie della terra, privo di stabilità. – Dio conferma i credenti con una parola salda nella vita del mondo e nell’aldilà, e Dio travia gli oppressori e Dio fa ciò che vuole.» Il vocabolario dell’ultimo brano della Fâtiha (v. 6-7) si ritrova ugualmente nel finale del Salmo 2, v. 12: «Perché (Yhwh) non si adiri e voi perdiate la via: in un attimo divampa la sua ira» (Salmo 2,12). «La via […] non di quelli che sono incorsi nella Tua collera, né di quelli che errano» (Sura 1,7). Ciò non ha nulla di sorprendente perché, secondo tutta una tradizione esegetica, il Salmo 1 e 2 insieme formano l’unica duplice introduzione al Salterio. Esiste dunque una chiara affinità tra l’"Ouverture” del Corano e quella del Salterio. Ma c’è di più. Le prime due parole della Fâtiha dopo la basmala[4], sono identiche alle ultime parole del Salterio: «Sia lode a Dio» (Sura 1,2) «Ogni vivente dia lode a Yhwh. Alleluia» (=Hallelu-Yah, Lodate-Yah[weh]) (Salmo 150,6). Al contrario, l’inizio del Salterio corrisponde all’ultima parola del Corano: «Beato l’uomo» (Salmo 1,1) / «gli uomini» (Sura 114,6). A loro volta, i primi membri delle ultime due sure corrispondono all’ultimo membro del Salmo 2 che conclude l’introduzione del Salterio: «Mi rifugio nel Signore» (Sura 113,1 e 114,1) «Beato chi in lui si rifugia» (Salmo 2,12). Sapendo l’importanza delle prime e delle ultime parole dei testi sacri, si può essere certi che queste corrispondenze non sono dovute al caso. Esse annunciano allo stesso tempo la somiglianza del Corano al Salterio e la loro differenziazione. Mentre il Salterio parte dall’uomo e da tutte le contraddizioni che esso deve affrontare, per concludersi con una lode universale, il Corano, senza ignorare le contraddizioni umane, visto che conosce anch’esso il tema delle “due vie”, parte dalla lode a Dio per terminare con l’affidamento dell’uomo al suo Signore, in mezzo a tutti i pericoli che lo assalgono. Non sorprende perciò che il vocabolario e le idee del primo brano della Fâtiha si ritrovino nel gran finale del Salterio, i Salmi 146-150 (detti il terzo Hallel, perché sono incorniciati dal grido di lode “alleluia”, Hallelu-Yah). - «Il nome di Dio»: «lodino il nome di Yhwh», Salmo 148,5 e 13. - «Lode a Dio»: «Alleluia». - «Il Misericordioso», al-Rahmân, non figura come tale in questi salmi, ma molti verbi esprimono la misericordia di Dio: «rende giustizia agli oppressi…libera i prigionieri» (146,7); «risana i cuori affranti e fascia le loro ferite» (147,3); «Yhwh sostiene i poveri» (147,6). - «Signore dei mondi»: si trovano degli equivalenti nelle seguenti espressioni: «ha fatto il cielo e la terra» (146,6); «Lodate Yhwh dai cieli, lodatelo dalla terra» (148,1 e 7); «la sua maestà sovrasta la terra e i cieli» (148,13). L’idea della sovranità assoluta di Dio è onnipresente nei salmi dello Hallel, in particolare nel Salmo 148, dove tutte le creature sono successivamente invitate a lodare il Signore, e nel finale del Salmo 150: «Ogni vivente dia lode a Yhwh». - Padrone, mâlik, secondo la lettura di Warsh, fatta propria dall’edizione del Cairo; “Re”, malik, secondo la lettura di Hafs: «Yhwh regna per sempre» (Salmo 146,10); «esultino nel loro re», (Salmo 149,2). - «Giorno del giudizio»: l’espressione non è presente nei nostri salmi ma Dio è spesso rappresentato come Colui che giudica: «Rende giustizia agli oppressi, Yhwh libera i prigionieri» (146,7); «sconvolge le vie dei malvagi» (146,9); «sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi» (147,6); si pensi anche al finale del Salmo 149 dove tocca ai fedeli applicare la sentenza di Dio: «Compiere la vendetta fra le nazioni e punire i popoli, per stringere in catene i loro sovrani, i loro nobili in ceppi di ferro, per eseguire su di loro la sentenza già scritta». L’inizio della Fâtiha riassume dunque in poche parole molti dei grandi temi dello Hallel che conclude il Salterio: il Nome di Dio, la sua Misericordia, la lode del credente al Signore dell’Universo che giudicherà il mondo come suo Sovrano. Beninteso non vi figurano le allusioni all’elezione di Israele («Dio di Giacobbe», 146,5; «Sion», 146,10; «Il Signore che ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi d’Israele» 147,2, ecc…). Così, la Fâtiha si presenta come un piccolo Salmo nel quale si ritrovano elementi delle due estremità del Salterio – che, secondo i biblisti, si trovano in strette relazioni retoriche tra di loro[5]. E non a caso, la prima Sura e le ultime due (113 e 114) sono anch’esse strettamente connesse. Vediamole più da vicino. I Rapporti tra la Fâtiha e le Sure 113-114 Le ultime due sure del Corano sono due brevi preghiere di scongiuro che, secondo la tradizione, all’origine avrebbero protetto il Profeta da attacchi di magia. Le due tabelle che seguono ne mostrano la composizione, che è sufficientemente chiara anche senza commento. Sura 113 –1 Di’: «Mi rifugio nel Signore dell’alba, –2 dal male di quel che Egli ha creato, –3e dal male del buio quando si addensa, =4e dal male delle donne che soffiano sui nodi, =5e dal male dell’invidioso che invidia» Sura 114 –1 Di’: «Mi rifugio nel Signore degli uomini, –2 Re degli uomini, –3 Dio degli uomini, =4 dal male del sussurratore furtivo, =5 che sussurra in petto agli uomini, =6 [che venga] dai jinn o dagli uomini». Come la Fâtiha, queste due sure sono composte ciascuna da due unità simmetriche (separate, nel caso della Fâtiha, da un segmento centrale): la prima orienta l’uomo verso Dio (vi si ritrovano, in una serie di membri paralleli, gli stessi termini «Signore» [1,2/114,1], «Dio» [1,1-2 / 114,3], «Padrone» o «Re» – due parole dalla stessa radice MLK: mâlik / malik [1,4 / 114,2]); la seconda si riferisce all’uomo alle prese con la scelta morale tra il bene e il male. Le due sure sono preghiere: adorazione e richiesta di soccorso nella Fâtiha, umile affidamento a Dio contro il male nella sura 114. In entrambi i casi lo sguardo verso Dio viene per primo, seguito dal rifiuto del male (o della «via di quelli che errano», nella Fâtiha), ciò che fa pensare piuttosto alla struttura del Pater, al quale pure è stata paragonata la Fâtiha. Le tre sure (1; 113;, 114) formano chiaramente un inquadramento liturgico del Libro. Esse hanno inoltre in comune il fatto di essere state inserite nel Corano, a quanto pare, in un secondo tempo: Ibn Mas‘ûd, uno dei primi compilatori del Corano, non le includeva nella sua raccolta. Le sure 113 e 114 che, secondo la tradizione, in origine erano semplici preghiere di scongiuro o formule di esorcismo, si trovano investite di un senso nuovo e più profondo per il solo fatto di essere situate alla fine del Libro e in collegamento con la Fâtiha. Mawdûdî (m. 1979), nel suo commentario coranico, interpreta così la corrispondenza tra l’inizio e la fine del Corano: all’inizio, dopo aver lodato Dio, il credente chiede di essere guidato sulla via diritta. In risposta a questa richiesta gli viene donato tutto il Corano per mostrargli questa via diritta[6]. All’uomo non resta infine che lodare ancora il Signore cercando rifugio in lui contro tutti i mali che possono ostacolare questa ricerca della via diritta. Una parabola analoga (ma non identica) è percorsa dal Salterio. L’opposizione dei giusti e dei malvagi nel Salmo 1 diventa l’opposizione delle nazioni ribelli contro il re-messia nel Salmo 2. Questa lotta percorre tutto il Libro per sfociare, nel Salmo 149, nel trionfo del re e del suo popolo contro le nazioni nemiche e i loro re. Si può concludere che le numerose somiglianze e corrispondenze tra il Salterio e il Corano rivelano una volontà deliberata da parte dei redattori di quest’ultimo, nel momento in cui si procedeva alla raccolta dei frammenti e degli oracoli sparsi che costituivano o avrebbero costituito le sure e infine il Libro nella sua interezza. Essi hanno concepito tale Libro come la raccolta fondamentale della preghiera liturgica per la comunità musulmana, al modo del Salterio per gli ebrei e i cristiani. Il termine Qur’ân deriva verosimilmente dal siriaco qeryânâ che, nella Chiesa siriaca, designa il lezionario letto durante la liturgia. Tale è anche la funzione essenziale del Corano. Secondo gli esegeti, la parola araba zabûr, che traduce il Salterio, significa semplicemente “il libro” o “lo scritto” (sinonimo di kitâb). Questo lezionario che è il Corano ha dunque assunto, per molti tratti, una forma simile a quella del Salterio, Libro di preghiera per eccellenza degli ebrei e dei cristiani, chiamato in ebraico “il Libro delle Lodi” (Sefer Tehillim). Non è inutile insistere: il Corano non è un plagio del Salterio. Poche sure possono davvero essere considerate come dei salmi (la Fâtiha è una di queste). Ma non vi è alcun dubbio che i redattori finali del Libro, nel conferirgli la sua forma molto particolare che per molti tratti si avvicina a quella del Salterio, hanno voluto significare il ruolo liturgico del Corano, destinato a svolgere nella pietà musulmana il ruolo assunto dal Salterio in quella degli ebrei e dei cristiani.
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[1] Sulle sure 81-114 si vedano i seguenti articoli: Michel Cuypers, Structures rhétoriques dans le Coran. Une analyse structurelle de la sourate «Joseph» et de quelques sourate brèves, «MIDEO» 22 (1995), 107-196; Id., Structures rhétoriques des sourates 105 à 114, «MIDEO» 23 (1997), 157-196; Id., Structures rhétoriques des sourates 99 à 104, «Annales islamologiques» 33 (1999), 31-62; Id., Structures rhétoriques des sourates 92 à 98, «Annales islamologiques» 34 (2000), 95-138; Id., Structures rhétoriques des sourates 85 à 90, «Annales islamologiques» 35 (2001), 27-99. Di questi articoli è in preparazione una nuova edizione.
[2] Mustansir Mir, Coherence in the Qur’ân. A Study of Islâhî’s Concept of Nazm in Taddabur-i Qur’ân, American Trust Publications, Indianapolis 1986.
[3] Si veda Michel Cuypers, La Composition du Coran, Gabalda, Pendé 2012, e Id., La regola del Corano? La retorica semitica, «Oasis» 10 (2009), 100-103.
[4] Con basmala si indica la formula Nel nome di Dio, clemente, misericordioso con cui iniziano tutte le sure del Corano tranne la nona (N.d.R.).
[5] Si veda André Wénin, Le Livre des Louanges. Entrer dans les Psaumes, Lumen Vitae, Bruxelles 2001, 92-93.
[6] Abul A‘la Maududi, The Meaning of the Qurân, Islamic Publications, Lahore 1991, XVI, 377.