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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:52:49

Intendo proporre una riflessione preliminare su di un aspetto particolare dei processi di ramificazione delle attuali tendenze globali: dinamiche che sono normalmente all'opera in quei casi di comunicazione culturale incrociata nei quali aspetti tipicamente occidentali sono imitati ed assimilati da culture di origine differente. Pur sviluppando le mie riflessioni in un'ottica generale, terrò conto, come esempio storico preciso, dell'incontro degli armeni con la modernità europea. Voglio fare due osservazioni preliminari. In primo luogo, qualsiasi siano le nostre opinioni sul dibattito circa il postmoderno, nessuno può ignorare il fatto che il problema di cui stiamo dibattendo sorge nell'epoca moderna e riguarda essenzialmente le modalità con cui specifiche e differenti culture nazionali hanno incontrato la modernità. Esiste la convinzione quasi generalizzata, nonostante differenze di accento, che le origini dell'epoca moderna debbano essere collocate in quelle profonde trasformazioni nella vita e nel pensiero che si verificarono in Europa nei secoli XV e XVI. In secondo luogo, l'epoca del Rinascimento e della Riforma, tuttavia, fu solo il punto di partenza di una lunga e polivalente evoluzione che si protrasse per molti secoli. Nulla di strano dunque se tutti questi sviluppi successivi come l'Illuminismo, la Rivoluzione Francese, la questione sociale, le esperienze fascista e nazista abbiamo caricato l'idea di modernità di problemi specifici. Due Casi Emblematici Poniamoci ora la domanda basilare: com'è possibile armonizzare la "modernità" e le sue molteplici implicazioni, essenzialmente di origine occidentale, con culture ed identità nazionali estranee? Il problema è stato sentito anche all'interno della stessa Europa, tra le sue componenti orientali ed occidentali, e persino all'interno delle nazioni che più strettamente si possono definire europee occidentali per quelle tendenze che avevano le loro radici nel contesto culturale di un'altra nazione. Possiamo formulare il nocciolo della questione come dialettica tra identità ed alterità, trasformazione e continuità, tradizione ed evoluzione. Per ricordare soltanto due casi emblematici, la Turchia ed il Giappone hanno offerto lungo il XX secolo due modelli differenti del processo cosiddetto di "occidentalizzazione" o "modernizzazione". Per quanto concerne gli armeni, essi furono tra i primi nel contesto mediorientale a confrontarsi con la modernità. Ciò accadde già nelle primissime fasi dell'ascesa della modernità, quando gli armeni avevano già perso la loro entità statuale ed erano dispersi in una vasta diaspora. Modelli di Sintesi In primo luogo dobbiamo rammentare che, per quanto riguarda l'esperienza armena, una così aggiornata sensibilità nell'accettare modelli "estranei" e specialmente occidentali non si tradusse in imitazione pedissequa. Spesso capita di assistere ad un connubio tra forme, modelli, tecnica, poetica, teorie occidentali ed una sensibilità squisitamente armena. Ad esempio, gli armeni furono in grado di secolarizzare senza rifiutare la religione come parte della loro identità sociale e riuscirono a perseguire l'emancipazione delle donne, senza rifiutare, su di una base teoretica, femminilità e maternità. Una tale apertura critica permise loro di essere, al termine del XIX secolo, per certi aspetti persino più avanti di alcuni paesi europei nel contatto con le realtà più innovative. Ad esempio, le eco del simbolismo francese furono percepite nei circoli armeni prima che in alcuni angoli d'Europa ed il Manifesto Futurista di Marinetti fu pubblicato in armeno solo alcuni mesi dopo la sua apparizione a Parigi. C'è un secondo punto rilevante. I problemi posti all'autocoscienza armena dallo stretto contatto con la cultura occidentale spesso portarono con sé, oltre alla questione più generale della dialettica tra trasformazione e continuità, anche un aspetto più peculiare, connesso direttamente con una specifica caratteristica della storia armena: l'emigrazione in tutto il mondo. Questa caratteristica è divenuta ai nostri giorni un fenomeno mondiale di grandissimo interesse. La cultura, l'arte ed il modo di vivere armeno si sono sviluppati nei secoli non solo nella madrepatria, ma anche e in certi casi prevalentemente in terra straniera. Gli armeni riuscirono in questo in virtù di una singolare comprensione della loro identità nazionale e della sua relazione con le culture circostanti e dominanti. Possiamo definire questa autocoscienza, da un punto di vista antropologico-filosofico, come una "identità multidimensionale" e la sua relazione con l'ambiente come una "integrazione differenziata". Il re della tradizione trobadorica armena Sayath-Nova e uno dei suoi più dotati ammiratori dei nostri tempi, il famoso regista Sergueï Parajanov, possono essere considerati come casi esemplari di questa tendenza multidimensionale e "cosmopolita" della cultura armena, in una felice sintesi di tratti tradizionali indigeni ed elementi assimilati. Nonostante questi risultati, gli armeni su di un punto non compresero affatto l'Occidente. Anche se condivisero questo fraintendimento con altri cristiani orientali privi di una struttura statale e persino con alcune potenze orientali, lo pagarono molto caro. Intendo riferirmi alla viva speranza coltivata dagli armeni che la cosiddetta Europa "cristiana" li avrebbe salvati o, quanto meno, non avrebbe permesso che perissero. Il primo genocidio ideologico del XX secolo, del quale gli armeni furono vittime nell'Impero Ottomano, fu per entrambe le parti, autori e vittime, uno dei risultati più terribili di una modernità abbracciata o sognata. Tali fraintendimenti nell'incontro interculturale sono, anche nel nostro tempo, più comuni di quanto possiamo pensare. In particolare popoli che lottano per la libertà e l'autodeterminazione e che guardano all'Occidente come ad un modello sono spesso vittime di speranza utopiche e tragiche. Le Condizioni dello Scambio Ho cercato di proporre alcune osservazioni preliminari circa problemi basilari nella comunicazione interculturale o nella ramificazione delle tendenze globali. L'argomento è estremamente ampio e complesso. Tuttavia il punto principale che vorrei far emergere come conclusione è il seguente: tali processi possono risultare arricchenti quando l'incontro interculturale consente a gruppi, nazioni, religioni e culture di impegnarsi in un dialogo aperto ed in uno scambio costruttivo. Si tratta di una condizione fondamentale per evitare rischi reali di perdita dell'identità, anche se comprendiamo quest'ultima non come un fattore statico, ma vitale e dinamico. A tal fine, l'educazione e la presa di coscienza sono della massima importanza: educazione su come accostarsi alla controparte, come percepire la sua percezione di valori e la sua sensibilità per essi; presa di coscienza delle ambiguità e dei fraintendimenti che conducono verso nuove forme di assoggettamento e schiavitù sotto gli auspici e con l'ingannevole apparenza del dialogo e della democrazia.

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