Chi sono Aqmi e al-Murabitun, all’origine dell’attacco in Burkina Faso

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:09:17

Nonostante il Burkina Faso in passato fosse già stato teatro di attentati di piccole dimensioni e rapimenti di stranieri, azioni terroristiche come quelle che hanno insanguinato la capitale Ouagadougou il 15 gennaio 2016 sono inedite. A poche ore dall’attentato, al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) ha rilasciato un primo comunicato, diffuso dal suo ente di comunicazione al-Andalus, in cui attribuiva l’operazione ai “cavalieri Murabitun”, suoi affiliati. I Murabitun hanno agito in Burkina Faso a nemmeno due mesi dall’attentato all’hotel Radisson di Bamako, in Mali.

 

Gli anni del massacro in Algeria

La rivendicazione riaccende l’interesse sui rapporti che intercorrono tra Aqmi e la brigata Murabitun. Diversamente dalla galassia jihadista mediorientale in cui le alleanze tra gruppi sono più chiare, il caso del Sahara e del Sahel è complesso perché spesso i legami tra i gruppi sono instabili e volatili; le formazioni possono nascere e disgregarsi in pochi anni e poi dar vita a nuove organizzazioni, adattandosi alle necessità del momento e superando le differenze ideologiche. Le origini di Aqmi e dei Murabitun costituiscono un esempio di questa dinamica.

Aqmi si è costituita sulle ceneri del Gruppo Islamico Armato (Gia) algerino - negli anni 90 si era opposto alla leadership militare algerina che aveva impedito la vittoria elettorale degli islamisti - e del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (Gspc), creato nel 1998 da alcuni comandanti dal Gia fuoriusciti dall’organizzazione perché contrariati dall’eccessiva violenza perpetrata sui civili algerini. Benché all’inizio questo nuovo movimento avesse riscosso un certo successo di reclutamento, una campagna antiterrorismo del governo algerino nei primi anni del 2000 lo fece cadere in disgrazia. Fu allora che il Gspc dichiarò fedeltà ad al-Qaida, divenendo nel gennaio 2007 al-Qaida nel Maghreb islamico.

Nel corso del tempo al-Qaida nel Maghreb ha subito scissioni al suo interno: si sono formati altri gruppi e brigate, tra cui il Movimento per l’Unità e il Jihad in Africa Occidentale (Mujao) e la brigata al-Mulathamin (“i velati”), dalla cui unione nell’agosto 2013 è nata la brigata dei Murabitun, capeggiata dal famigerato Mokhtar Belmokhtar. I Murabitun hanno assunto il loro nome in ricordo dei guerrieri che nell’XI secolo diedero vita al sultanato berbero degli Almoravidi, in arabo appunto al-Murabitun. All’epoca i guerrieri vivevano nel ribât, il fortino al confine del Dar al-Islam, da dove conducevano il jihad in Africa e nella Spagna islamica. Il nome dell’organizzazione di Belmokhtar perciò vuol essere un segno di presunta continuità del jihad con l’antico impero almoravide.

 

Mister Marlboro

Reduce del jihad che negli anni 80 aveva fatto convergere in Afghanistan migliaia di mujahidin per respingere l’invasione sovietica, e poi membro del Gia, l’algerino. Belmokhtar è considerato il signore indiscusso del jihad nel Sahara e nel Sahel. Terrorista e trafficante, finanzia le attività della sua brigata e di Aqmi con i traffici di sigarette – da qui gli deriva il soprannome “Mr. Marlboro” – armi, droga ed esseri umani, e con i soldi ottenuti dai riscatti pagati dai governi e dagli enti privati per la liberazione degli stranieri rapiti in loco. Nel 2012 il generale americano Carter Ham definiva Aqmi l’affiliato più ricco di al-Qaida.

 

Perché un attentato in Burkina Faso

Pochi giorni dopo l’attentato a Ouagadougou, al-Qaida nel Maghreb ha diffuso un secondo comunicato, molto più esteso della prima dichiarazione. Nel documento, che si apre con un’immagine di tre giovani jihadisti autori dell’attentato, Aqmi si dilunga sulle ragioni dell’attacco, lancia un messaggio alla Francia e ai suoi alleati, e proclama la propria vicinanza ai mujahidin iracheni e palestinesi.

Obiettivo degli attentatori – si legge – erano i “covi di crociati che depredano le nostre ricchezze, attentano al nostro onore e profanano le nostre cose sacre”. Il comunicato continua affermando che “Dopo lo studio, l’analisi, la raccolta di informazioni e la messa a punto degli obbiettivi, al-Qaida nei Paesi del Maghreb islamico ha colpito attraverso i suoi combattenti e i cavalieri migliori uno dei covi più pericolosi dello spionaggio mondiale in Africa occidentale – in particolare l’hotel Splendid e alcuni locali adiacenti nella capitale burkinabé Ouagadougou, dalla quale è diretta la guerra all’Islam e in cui si sottoscrivono i contratti per depredare le risorse africane”.

I “crociati” sono evidentemente i francesi, che dal 1896, anno in cui iniziarono la colonizzazione della regione, sono parte integrante della storia burkinabé. Anche in seguito all’indipendenza del Paese, concessa nel 1960, l’influenza francese non è mai cessata. Nell’ottobre 2014 quando il Presidente Blaise Campaoré è stato costretto alle dimissioni dalle proteste popolari dopo aver retto il Paese per ben 27 anni, i francesi hanno favorito il processo di transizione politica.

Quanto all’accusa di spionaggio, sarebbe un riferimento all’impegno dei francesi nella guerra al terrorismo in Africa occidentale. Dal gennaio 2013, per oltre un anno la Francia è stata impegnata nell’operazione Serval, che prevedeva il sostegno militare e logistico alle forze del governo del Mali per liberare il nord del Paese dall’occupazione dei ribelli jihadisti. A questa operazione, terminata il 15 luglio 2014, è seguita l’operazione Barkhane, che si prefiggeva di combattere i jihadisti del Sahel e riconfermava l’impegno militare francese in Africa occidentale. Il Burkina inoltre ospita sul suo territorio le forze speciali francesi che a novembre hanno liberato, assieme alle forze maliane, l’hotel Radisson a Bamako, attaccato dai jihadisti di Belmokhtar.

Nel comunicato Aqmi accusa la Francia d’ingerenza e le attribuisce la responsabilità dello “spargimento di sangue dei suoi sudditi”. Riprendendo le parole di Osama bin Laden e Ayman al-Zawahiri, al-Qaida nel Maghreb lancia un monito alla Francia e ai suoi alleati avvisandoli di lasciare le terre islamiche se non vogliono che la sicurezza dei loro cittadini sia compromessa.

“Oggi la questione securitaria è una questione globale, non può essere considerata in modo parziale. O ci lasciate in pace nelle nostre terre o noi comprometteremo la vostra pace e quella dei vostri sudditi, così come voi compromettete la nostra. Al bene risponde il bene e colui che lo inizia è il più nobile, e al male risponde il male e colui che lo inizia è il più iniquo, come vi disse già il leone dell’Islam Osama bin Laden, e vi ha ripetuto il nostro emiro Ayman al-Zawahiri: ‘la sicurezza è un destino comune; se noi viviamo in sicurezza voi vivrete in sicurezza, se noi siamo in pace voi sarete in pace, ma se siamo colpiti e uccisi e Dio lo vuole, voi sarete colpiti e uccisi. Questa è la giusta reciprocità’”.

Nel comunicato compare inoltre un riferimento alla storia medievale del Maghreb. I combattenti jihadisti del Sahara e del Sahel si sono definiti “discendenti di Yusuf bin Tashfin”, primo sultano almoravide che regnò nel Maghreb al-Aqsa (l’attuale Marocco) dal 1089, e in al-Andalus (la Spagna musulmana) dal 1094. In quanto eredi della dinastia almoravide i combattenti sarebbero chiamati a vendicare il sovrano dell’undicesimo secolo: “I combattenti non dimenticano le offese ricevute e non si accontentano di una vita miserabile e meschina; sono risoluti a non riporre le loro spade finché la loro umma non tornerà a risplendere, e la croce e la miscredenza non saranno umiliate sotto i loro piedi”.

Questa “operazione benedetta” ricorda Aqmi, “non è altro che una goccia nel mare del jihad mondiale”. Il comunicato si conclude con un invito rivolto a tutti i mujahidin a “distruggere l’empietà sionista, crociata e sciita”, e un’esortazione rivolta specificamente ai sunniti del Levante e in particolare dell’Iraq “a schierarsi uniti di fronte ai complotti internazionali contro il jihad, e a mettere in pratica la parola del loro Signore: ‘Afferratevi tutti alla fune di Dio, non disperdetevi’ (Cor. 3,103)”.

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