Al-Azhar, Egitto. Intellettuali musulmani e ulema hanno redatto un nuovo documento sul futuro dell’Egitto, sulle libertà fondamentali e sui diritti della donna. Purtroppo mai pubblicato

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Ultimo aggiornamento: 19/06/2024 10:07:04

Dopo la rivoluzione del 2011, al-Azhar, una delle più autorevoli istituzioni dell'Islam sunnita, ha prodotto una serie di documenti: sul futuro dell’Egitto (2011), sul sistema delle libertà fondamentali (2012) e sui diritti della donna (2013). Redatti da un gruppo di intellettuali e di ulema, questi documenti si propongono di rispondere alle questioni più dibattute nella società egiziana, delineando un consenso tra istituzioni religiose e pensatori laici.

 

A partire dal gennaio 2015, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha lanciato la parola d’ordine della riforma del discorso religioso. Anche in questo caso, dalla fine del 2015 in avanti, si è riunito all’Azhar un gruppo di intellettuali e ulema per produrre un nuovo documento. Tuttavia, nonostante tre successive elaborazioni del testo, non è stato raggiunto il consenso necessario alla sua pubblicazione. Nel gennaio 2017, Salah Fadl, intellettuale incaricato della prima stesura dei documenti, ha deciso di rompere gli indugi e pubblicare ugualmente il testo in un libro dal titolo "I documenti di al-Azhar… Quelli pubblicati e quelli rimasti inediti".

 

Offriamo di seguito la traduzione dell’ultima versione del documento. In esso viene offerta una lucida e coraggiosa diagnosi della situazione attuale della società egiziana. La soluzione è individuata nella linea di pensiero inaugurata da Muhammad ‘Abduh a fine Ottocento, per la quale l’Islam è perfettamente compatibile con la modernità in quanto ne anticipa i valori. Essendo la posizione di ‘Abduh tuttora controversa, non stupisce che il documento non abbia raggiunto il necessario consenso. Ma a un livello più profondo resta soprattutto da vedere se il tentativo di rintracciare nell’Islam delle origini i tratti della modernità possa realmente risolvere la crisi in cui le società islamiche si dibattono attualmente.

 

Martino Diez

 

Il rinnovamento del discorso religioso

 

Sulla base dei fondamenti del pensiero islamico mediano (wasatī) che l’Azhar ha adottato come metodo e come finalità, e nel rispetto dei risultati del progresso di civiltà che la cultura araba moderna ha attivamente promosso, riconoscendo la necessità di attivare la ragione critica e il pensiero scientifico e di far crescere il sistema dei nobili valori spirituali, un gruppo formato dai maggiori ulema e dai più grandi intellettuali si è incontrato nei precinti dell’Azhar su gentile invito dell’imam supremo, lo Shaykh al-Azhar Muḥammad Aḥmad al-Tayyib, per studiare insieme le sfide che la umma araba islamica è chiamata oggi ad affrontare e che ne mettono a rischio la stabilità. Tra queste sfide spiccano in particolare:

 

  • La legittimazione dell’uccisione nel nome della religione e la pratica del terrorismo, attraverso il lancio di anatemi e la diffusione del panico tra la gente, in forza di alcune concezioni errate addotte per coprire i veri obbiettivi di una campagna di distruzione che mira a lacerare l’unità dei popoli e disperderne le energie in guerre civili settarie devastatrici.
  • Il regresso rispetto al percorso di civiltà che il mondo islamico e l’umanità hanno conosciuto, per ritornare a epoche in cui si praticava la schiavitù, si prendevano le persone come bottino di guerra, si faceva commercio di uomini e si sgozzavano e frustavano gli innocenti per terrorizzare le persone pacifiche. 
  • La diffusione degli slogan dello pseudo-califfato, per creare la discordia (fitna), lacerare i Paesi e appiccicare l’etichetta dell’Islam a realtà che contrastano con ogni valore di fratellanza, uguaglianza e consultazione democratica.
  • Lo sfruttamento di taluni elementi della tradizione giuridica islamica, propri di alcune epoche antiche, per deformare il discorso religioso e alterarlo rispetto ai suoi obbiettivi supremi (maqāsid ‘ulyā) e metterlo al servizio di finalità anti-islamiche.

 

Questo gruppo di ulema e intellettuali si è ingaggiato in un dialogo costruttivo tra le sue diverse componenti per addivenire a una rappresentazione di principio dei punti di partenza per il rinnovamento del discorso religioso. Tale rinnovamento permetterà di affrontare queste sfide e proteggerà il pensiero islamico da pericolose conseguenze, riattivando la sua potenza creativa, che nel passato ha contribuito alla creazione della civiltà umana, per costruire il futuro delle nuove generazioni. Al termine di questo dialogo sono state espresse le seguenti raccomandazioni fondamentali.

 

1. Il concetto di “rinnovamento” va considerato come una legge divina (sunnat Allāh) che Dio ha stabilito per l’uomo quando lo ha posto come suo vicario sulla terra e gli ha affidato il compito di abitarla e dar vita in essa alla civiltà. Così si legge nel versetto chiaro «È Lui che v’ha fatto nascer dalla terra e sulla terra v’ha dato dimora» (Cor 11,61), così è confermato dalla nobile Tradizione profetica quando allude al rinnovatore della religione che Iddio invia all’inizio di ogni secolo[1] e così richiede la natura della vita, che si oppone alla sterilità, all’immobilismo e alla morte. Il pensiero islamico, in tutte le sue manifestazioni, ha sempre onorato il rinnovamento, al punto che i due termini possono essere considerati come sinonimi, a condizione di comprendere che il rinnovamento non significa affatto la rinuncia ai fondamenti stabili e costanti, come s’immaginano erroneamente alcuni conservatori, ma realizza un approfondimento della coscienza degli obiettivi universali e dei principi ispiratori delle norme che regolano i casi mutevoli della vita. Rinnovamento significa ancora saper trarre il massimo beneficio dalle esperienze storiche dei popoli islamici e dalla fioritura culturale che hanno saputo produrre e che nel Rinascimento ha illuminato il mondo lasciando tracce evidenti nel patrimonio materiale e morale dell’umanità fino a oggi.

 

2. Poiché il rinnovamento non si realizza attraverso un salto o una rottura con il passato, occorre mettere a frutto i risultati a cui sono pervenuti i grandi rinnovatori dell’Islam, in particolare nell’epoca moderna, a partire da quel pioniere che fu lo shaykh Rifā‘a al-Tahtawī[2] e dal modo in cui seppe saggiamente assorbire lo choc della modernità, per arrivare all’imam Muhammad ‘Abduh[3], che mise in evidenza l’universalità dell’Islam e come esso abbia preceduto l’età contemporanea nell’affermare i suoi più importanti valori, ai grandi shaykh Mustafā e ‘Alī ‘Abd al-Rāziq[4], a ‘Abbās Mahmūd al-‘Aqqād[5], Taha Husayn[6], lo shaykh Shaltūt[7] e altri grandi esponenti della religione, del pensiero, della cultura e del Risorgimento intellettuale (Nahda) fino a oggi. I frutti di questa recente tradizione costruttiva vanno considerati come giusti passi nella direzione dello sviluppo e della modernizzazione, con l’obiettivo di consolidare gli elementi dogmatici stabili e far evolvere le norme giuridiche mutevoli, per suscitare nuovi orientamenti adeguati allo spirito dell’epoca e ai rivolgimenti del nostro tempo, onde far prevalere gli interessi supremi della umma secondo le priorità che essa stessa si fissa, e in accordo con la logica dell’accumulazione delle conoscenze. Gli sforzi interpretativi (ijtihādāt) dei secoli passati, con l’esclusione della prima epoca degli imam [ben guidati], non vanno considerati come vincolanti per il pensiero moderno, poiché sono limitati dalle circostanze storiche in cui furono formulati e dalle necessità del tempo. Ogni epoca ha i propri paradigmi gnoseologici con cui comprende i testi, li interpreta e si sforza di applicarli per realizzare il bene della umma e il suo interesse.

 

3. I principi fondamentali formulati dai documenti dell’Azhar che negli anni scorsi sono stati redatti congiuntamente dagli ulema della umma e dai suoi intellettuali vanno considerati come un moderno anello in questa catena di rinnovamento. Essi individuano i principi essenziali dello Stato nel governo civile (madanī) costituzionale su basi democratiche, che realizza giustizia, libertà e uguaglianza, superando l’idea del califfato storico e facendo propri i concetti di cittadinanza, giustizia sociale, attenzione verso gli emarginati e politica della crescita. Lo stesso vale per i documenti sul sistema delle libertà, che comprende la libertà di credenza, di opinione, di espressione, di ricerca scientifica e accademica e di creazione letteraria e artistica. Tali documenti, che hanno riscosso unanime apprezzamento in ambito arabo e internazionale, vanno considerati come passi nella giusta direzione e il loro contenuto va tenuto presente nell’intero discorso. Essi creano un clima favorevole all’ulteriore rinnovamento che è oggi indispensabile.

 

4. È necessario opporsi con decisione alle stolte ondate del takfīr [dichiarazione di miscredenza] che, colpendo alla cieca, consentono a chiunque di dichiarare miscredenti quanti hanno opinioni diverse dalle proprie rendendone leciti il sangue e i beni. Questa pratica contravviene ai fondamenti della religione a ai suoi documenti affidabili, lede il diritto di cittadinanza e realizza gli auspici dei gruppi devianti, assetati di potere e desiderosi di spandere la corruzione sulla terra. Occorre dichiarare la fine dell’epoca del takfīr [anatema] e l’inizio di quella del retto tafkīr [pensiero], secondo il principio che si è affermato nella legislazione islamica, valorizzato dai grandi giurisperiti e invocato dall’imam Muhammad ‘Abduh, che occorre rispettare la diversità d’opinione, anche quando questa sembri implicare la miscredenza nella maggior parte dei suoi aspetti, e in omaggio ai documenti e ai trattati internazionali che riconoscono il pluralismo delle inclinazioni e degli orientamenti e rifiutano d’istituire tribunali d’inquisizione per quanto riguarda le opinioni dogmatiche e le coscienze. In questo modo si sbarrerà la strada a quanti si ergono a tutori della gente, censori autonominati di quanti non condividono le loro idee, sfruttando la sacralità delle religioni e violando la libertà dell’uomo. L’Islam infatti individua nella partecipazione alla stessa patria, nell’uguaglianza e nel rifiuto della discriminazione etnica, religiosa, settaria e di genere alcuni tra gli elementi costanti più notevoli all’interno del suo messaggio, attestati dai testi coranici e dalla nobile Tradizione profetica ben prima dei documenti internazionali emanati a questo proposito. Violare questi principi è per l’Islam un crimine da punire secondo la legge civile e un attentato alla retta religione.

 

5. È necessario organizzare convegni scientifici dedicati a studiare la pratica legislativa nelle società arabe islamiche e gli sviluppi attraverso cui esse sono passate a livello di civiltà, sulla base della comprensione del quadro complessivo in termini di cause effettive, condizioni da realizzare e ostacoli da rimuovere, per rispondere alle accuse, lanciate a queste società dai predicatori dell’eccesso e dell’estremismo, di non applicare la sharī‘a, in particolare per quanto riguarda alcune pene corporali (hudūd). Questi predicatori ignorano la filosofia islamica e la filosofia del diritto islamico, la differenza tra il principio sciaraitico costante affermato da testi dirimenti e il giudizio oggettivo che prende in considerazione le condizioni economiche e sociali della umma e gli scopi e obbiettivi della legislazione. Questo condusse già nella prima epoca della storia islamica a rinunciare alle pene corporali nei casi dubbi e a sospendere l’applicazione di alcune di esse, sostituendovi gli strumenti della pena discrezionale comminata dal giudice e della reclusione, tranne che per il taglione in caso di omicidio, anche per rispondere alle esigenze di conservare la dignità umana, come affermato negli accordi internazionali che l’Islam ha anticipato. Tali accordi vietano la schiavitù in tutte le sue forme e rifiutano con forza le pratiche dei gruppi estremistici che prendono come schiave le donne, sgozzano i bambini, applicano punizioni esemplari e perseguono la pulizia etnica pretendendo di derivare queste pratiche dalle leggi dell’Islam e dalle sue consuetudini.

 

Gli ulema della comunità musulmana devono innalzare la bandiera dell’interpretazione creativa e difendere i principi della tolleranza nella religione, della misericordia nella legislazione, della profonda coscienza degli sviluppi della vita contemporanea e del necessario adeguamento alle sue condizioni, senza minimamente rinunciare alla sacralità dei testi, ai diritti dell’esegesi, e alla necessità del rinnovamento nella comprensione. Va tenuta presente l’assoluta urgenza di risollevare la condizione dei popoli islamici orientandone le energie alla crescita e all’avanzamento nelle scienze, nelle arti e nelle lettere. Occorre entrare seriamente nella competizione scientifica tra le civiltà e nell’era delle società della conoscenza, della produzione e del progresso. Ciò consentirà di realizzare la giustizia sociale, liberando i poveri dalla morsa della fame e della deprivazione. Sarà così possibile per le nostre società assumere come obbiettivi strategici un’istruzione di qualità, un’assistenza sanitaria effettiva e la lotta alla disoccupazione, invece di far commercio della religione e gareggiare a chi è più oltranzista, dando a credere alla gente di essersi lasciati alle spalle la fede ed essersi allontanati dalle sue norme. Infatti quello che i musulmani trovano buono per l’innalzamento e il progresso è buono anche presso Dio, finché non oltrepassa i fondamenti stabili che Egli ha posto.

 

6. Il rinnovamento del discorso religioso richiede una radicale riconsiderazione dei curricula educativi egiziani, per unificare per quanto possibile le varie componenti della ragione e i diversi pilastri della personalità egiziana. A questo fine si dovranno tenere convegni, condurre ricerche e proporre provvedimenti per ridurre la schizofrenia che vige attualmente tra le modalità d’insegnamento, reciprocamente estranee, seguite negli istituti religiosi da una parte e nelle scuole civili e nelle istituzioni straniere dall’altra. Ognuna di queste realtà produce un tipo di ragione molto diversa, per cui è indispensabile ridurre la distanza tra questi metodi integrandoli gradualmente in un sistema complessivo e omogeneo che, senza cancellare il pluralismo, assicuri una certa misura di armonia e di coerenza per quanto riguarda i fondamentali della lingua, del pensiero scientifico e della cultura. Si devono individuare i denominatori comuni, che conservino l’identità nazionale, liberino le energie della creatività e assicurino un saldo fondamento ai valori spirituali, accompagnati dall’apertura alle tecnologie della nostra epoca e agli strumenti per avere successo. Servono provvedimenti seri e sforzi sinceri per innalzare il livello dell’insegnamento, organizzarlo meglio e assicurare agli studenti l’acquisizione delle necessarie competenze scientifiche e pratiche e una comunicazione fruttuosa con il mondo della ricerca scientifica e pedagogica.

 

7. Occorre altresì rinnovare il discorso religioso e formare nuovamente i predicatori e quanti tengono i sermoni nelle moschee inviandoli nelle facoltà specializzate perché nel loro operare si attengano alle regole scientifiche e metodologiche e ai fondamenti del discorso. Essi vanno addestrati regolarmente a far propri i contenuti del pensiero religioso mediano e corretto e a tenersi lontani dall’estremismo, dall’eccesso e dal fanatismo. Bisogna ampliarne gli orizzonti attraverso il dialogo con sociologi, economisti, letterati, artisti e uomini di cultura così che possano digerire i frutti dello sviluppo culturale e purifichino il loro discorso dai miti e da concezioni pericolose per la sicurezza e la pace sociale. Vanno esortati a continuare a svolgere una ricerca scientifica circa la storia culturale islamica e a proteggere la convivenza, lo spirito di cittadinanza e i valori che necessariamente ne discendono. Non va dimenticata la loro condizione materiale e occorre fare in modo che possano resistere alle sirene delle organizzazioni estremistiche. Vanno istituite gare circa la lettura approfondita dei più importanti libri dei rinnovatori del pensiero religioso per diffondere uno spirito di competizione positiva che faciliti la ricezione di queste idee; vanno incoraggiati a scrivere, pubblicando le migliori ricerche e conferenze e favorendone la circolazione tra tutti i predicatori.

 

Per poter realizzare questi obiettivi relativi allo sviluppo del discorso religioso e al suo rinnovamento è indispensabile:

  • Continuare la collaborazione fruttuosa tra i grandi ulema e gli intellettuali per formare gruppi di ricerca incaricati di rispondere ai discorsi che deformano i concetti islamici e i suoi termini tecnici come jihad, “Dimora della Guerra”, “Califfato”, così da confutare la giurisprudenza della barbarie e della distruzione e rivelarne la vacuità metodologica e scientifica.
  • Invitare i mezzi d’informazione a presentare con precisione e oggettività i temi collegati al discorso religioso, attraverso un dibattito argomentato e bandendo lo stile della disputa, dell’accusa di miscredenza e della corsa al rialzo, senza che le differenze politiche interferiscano nelle questioni di fede, pensiero e cultura.
  • Rivedere organicamente i libri di testo per far sì che rispettino queste indicazioni in tutte le materie e i gradi, proponendo i necessari aggiornamenti metodologici per ridurre la distanza tra l’insegnamento religioso, civile e straniero, in particolare a livello elementare.
  • L’Azhar deve riprendere i propri sforzi per il riavvicinamento tra le diverse scuole giuridiche islamiche[8] per evitare i conflitti e unificare i fondamenti e i principi tra le diverse sette, organizzando incontri scientifici tra i responsabili religiosi delle varie comunità, così da togliere un’arma ai nemici della comunità islamica.
  • Il ministero della cultura va sollecitato a pubblicare i libri dei pionieri del rinnovamento del discorso religioso in una collana facilmente accessibile e a organizzare convegni sul tema, tenendosi lontano dalle questioni controverse. L’umma deve ritrovare una parola unitaria nella lotta contro gli orientamenti estremisti devianti.

(Tratto da: Salah Fadl, Wathā’iq al-Azhar. Mā zahar minhā wa-mā batan, Dār badā’il, al-Qāhira 2017, pp. 122-129)

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

 

Note

[1] Secondo alcuni hadīth Dio invia un rinnovatore dell’Islam all’inizio di ogni secolo [questa e le successive note sono del traduttore].
[2] Rifā‘a al-Tahtawī (1801-1873), studente all’Azhar, fu inviato in missione a Parigi tra il 1826 e il 1831. Molto impressionato dalla civiltà francese, lasciò un resoconto del suo soggiorno parigino e si adoperò per l’introduzione di numerose idee europee in Egitto, in particolare attraverso la scuola di traduzione di cui assunse la direzione.
[3] Il grande innovatore dell’Islam egiziano, vissuto tra il 1849 e il 1905. Un suo celebre testo sulla riforma è stato tradotto in «Oasis» 19 (2014), pp. 72-75.
[4] Mustafā ‘Abd al-Rāziq (1885-1947), discepolo di Muhammad ‘Abduh, fu un filosofo islamico e divenne Shaykh al-Azhar dal 1945 alla morte. Il fratello ‘Alī ‘Abd al-Rāziq (1888-1966), anch’egli azharita, fu rimosso dai suoi incarichi per aver sostenuto la non necessità del califfato e la separazione tra politica e religione.
[5] Autodidatta, al-‘Aqqād (1889-1964) fu intellettuale e scrittore di successo. Elaborò una propria visione della religione come fatto essenzialmente spirituale in una serie di libri famosi, tra cui La genialità di Muhammad e La genialità del Messia.
[6] Taha Husayn (1889-1973) fu il maggiore intellettuale egiziano del XX secolo. Formatosi inizialmente all’Azhar, la abbandonò per frequentare i corsi della neonata università del Cairo. Dopo aver conseguito il dottorato alla Sorbona, tornò in patria e divenne un convinto sostenitore del posizionamento europeo dell’Egitto. Da ministro dell’istruzione introdusse l’obbligo scolastico. Un brano della sua autobiografia è riprodotto in «Oasis» 9 (2009), pp. 58-63.
[7] Mahmūd Shaltūt (1893-1963) fu Shaykh al-Azhar dal 1958 alla morte. Riformista, cercò di sanare la frattura tra sunniti e sciiti.
[8] Si tratta dell’espressione tecnica islamica per designare l’“ecumenismo” tra sunniti e sciiti.