Autore: Jeffrey Tayler
Titolo: Angry Wind: Through Muslim Black Africa by Truck, Bus, Boat and Camel
Editore: Houghton Mifflin Co., Boston, 2005, pp. 256
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:55
Quando soffia l'Harmattan, intere popolazioni dell'Africa centrale e occidentale vedono peggiorare ogni giorno di più, impotenti, le loro già miserevoli condizioni. Ma in questi anni c'è anche un altro vento che soffia sul Sahel, un vento rabbioso che scuote gli animi di milioni di persone dal Ciad alla Nigeria, dal Niger al Mali. È il vento di un risentimento contro l'Occidente, e in particolare contro l'America, che si nutre di un islamismo ideologico pronto ad alimentare la rabbia di chi si sente senza speranza. Una regione di cui il mondo si ricorda quasi sempre solo nei momenti di crisi, corre il rischio di trasformarsi in un "Afghanistan africano", una fucina dove creare nuove generazioni di terroristi. Cristiani e musulmani convivono con molta fatica in uno scenario il cui caso esemplare è quello della Nigeria che, con i suoi 137 milioni di abitanti, corre il rischio di diventare il più vasto (e pericoloso) Stato fallito sulla faccia della Terra, con conseguenze catastrofiche per l'Africa e non solo. A viaggiare per mesi attraverso l'Africa Nera musulmana, per raccontarne in un libro gli umori, è stato il giornalista americano Jeffrey Tayler, ufficialmente corrispondente da Mosca per The Atlantic, ma in pratica da anni freelance giramondo, specializzato in luoghi difficili e dimenticati (sono diventati bestseller negli Usa i suoi volumi dedicati alla Siberia, al Congo e al Sahara). Angry Wind documenta il lungo girovagare di Tayler nei paesi del Sahel, lontano dalle rotte comuni, in villaggi sperduti in mezzo al deserto dove solo la sua padronanza di arabo e francese oltre a una buona dose di "mance" a guardie e burocrati locali corrotti gli hanno permesso di non mettersi (troppo) nei guai. Un'Africa islamica e arrabbiata, dove le mosse degli Stati Uniti in Medio Oriente creano un risentimento che si estende all'intero Occidente e ai cristiani. Dimenticare o sottovalutare ciò che si agita nel Sahel è un rischio che il resto del mondo non deve correre, è la tesi di Tayler. Nel descrivere una zona dell'Africa che manda segnali di radicalizzazione, l'autore tenta analisi religiose e sociologiche che risultano la parte meno convincente del libro. Ma se Tayler ha evidenti difficoltà a capire ciò che anima e alimenta le tensioni a sfondo religioso dell'area, dà invece il meglio di sé nel descrivere i luoghi che visita e nel condurre il lettore alla scoperta di paesaggi, tradizioni, odori e sapori di zone dove pochi occidentali hanno messo piede. Le pericolose traversate in deserti popolati da miliziani e soldati corrotti, le cene a base di deliziosa carne di cammello o i racconti dei balli durante la festa musulmana del Tabaski, celebrata in mezzo ai nomadi Tuareg, catturano come solo i grandi libri di viaggi sanno fare. Il vento che soffia continuamente e impoverisce la terra, inoltre, insieme alle descrizioni delle condizioni miserevoli di vita locale, fa venire alla mente pagine di Furore di John Steinbeck (un autore dalla cui influenza riescono a distaccarsi ben pochi scrittori americani). Tayler offre strumenti di conoscenza di grande importanza sul solco che si sta aprendo nel Sahel tra cristiani e musulmani, portati sempre più a guardarsi con sospetto e a dividersi per aree geografiche, con la tentazione che circola tra molti di andare allo scontro. Il Ciad, punto di partenza del viaggio che ha portato l'autore americano fino in Senegal, confina del resto con il Sudan, dove queste tensioni ormai da tempo sono sfociate in massacri. La sofferenza dell'Africa emerge passo passo a ogni tappa del viaggio di Tayler, ma si manifesta in tutta la sua enormità storica quando lo scrittore raggiunge Île de Gorée, l'isoletta di fronte alle coste del Senegal attraverso cui passarono milioni di schiavi neri diretti verso il continente americano.