Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:41:40
Mi propongo, in modo molto sintetico, di sottomettere all’attenzione di tutti alcuni dati concreti e talune domande e considerazioni che quei dati mi suggeriscono.
1. Alcuni dati
Sia i media internazionali che diversi tra i relatori del nostro incontro hanno messo in evidenza il ruolo dei new media, in particolare face book e così via, negli eventi di questi ultimi mesi. A dire di tanti, grazie ad una potentissima capacità di convocazione, migliaia di giovani [e non si deve sottovalutare questo fatto anagrafico] si sono trovati nelle piazze, sia in Nord Africa che in Medio Oriente, ma anche in Spagna, per manifestare il loro disagio nei confronti della situazione delle loro rispettive società.
Non occorre, tuttavia, dimenticare che quella stessa capacità di convocazione la troviamo all’opera per le macrofeste urbane in tante città di Occidente (ultimo caso: i problemi sorti in proposito in Germania una settimana fa).
In questo senso, e senza voler sottovalutare i fenomeni, sembrerebbe che i giovani rispondano in modo massiccio a proposte di “protesta” e di “svago”. Non possiamo, infatti, dimenticare che questi fenomeni di raduni spontanei di grandi numeri capitano in un frangente storico che trova l’appartenenza ad associazioni (di qualunque tipo esse siano) ridotti al minimo. Per questa ragione, forse non sarebbe sbagliato parlare di grandi concentrazioni di individui.
Un altro fatto che, a mio avviso, non occorre sottovalutare è la reale capacità costruttiva di tali fenomeni. Di fatto i presidenti della Tunisia e dell’Egitto hanno abbandonato i loro paesi e questo è un dato da cui non si può prescindere. Occorrerà, tuttavia, capire quanto quelle uscite siano dovute ai movimenti della piazza o ad altri motivi (istruttivo in questo senso il paper sull’Armée Egyptienne). Forse si potrebbe affermare che i cambiamenti non sarebbero accaduti senza le manifestazioni in piazza, anche se essi non sono stati ultimamente motivati da quelle manifestazioni.
L’ultimo elemento che vorrei mettere in campo è la perplessità sul futuro: come evolveranno questi fenomeni? Quali forze costruttive mettono in campo? Finiranno per essere riassorbiti in forme “più tradizionali” di partecipazione sociale (ad esempio i partiti)?
2. Considerazioni
In primo luogo mi sembra possibile interrogarsi sulla consistenza reale dei soggetti in campo. Siamo di fronte a individui, anche idealmente impegnati, o esistono soggetti comunitari? Chi sono i soggetti dietro i computer da cui vengono convocati migliaia di giovani?
La debolezza di questi soggetti, se tale si dovesse confermare, emerge in modo molto chiara dall’assenza di capacità costruttiva, di proposte operative che possano incidere veramente sul tessuto sociale.
A questo punto penso sia necessario richiamare la realtà dei soggetti comunitari e delle opere come i fattori effettivamente costruttivi di una società plurale. Parlando di soggetti comunitari si vuol superare la deriva individualistica e mettere al centro la persona e la trama di relazioni che la costituiscono. Il riferimento alle opere, invece, vuol mettere in campo i bisogni reali della società (educazione, lavoro, carità) e le risposte i soggetti comunitari offrono ad essa.
Quale categoria usare per descrivere la vita di uno Stato che si ponga al servizio della vita di questi soggetti comunitari e delle loro opere in modo che si attui “il riconoscimento del valore del bene comune pratico-sociale dell’essere insieme” (Botturi, Scola)? Laicità? Nuova laicità?
Forse sarebbe più opportuno cambiare registro linguistico e far ricorso alla categoria di “società plurale” , dove l’aggettivo plurale non intacca l’unicità della verità, ma vuol riflettere il fatto della pluralità di soggetti in campo che debbono giocare la loro responsabilità, in modo personale e comunitario, nei confronti della verità (logica della testimonianza). Questa responsabilità troverà nelle opere il luogo privilegiato di esercizio (esempio:
Our Lady of Peace in Amman).