Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:52:15
Il "multiculturalismo" non è il nome di una soluzione, bensì il nome di un problema. Il progetto della coesistenza di diverse tradizioni etniche, religiose e culturali, sulla base del solo riconoscimento del loro diritto all'esistenza non è risposta adeguata al problema della convivenza. A conferma si può osservare che le politiche multiculturali così intese conducono al risultato sociologicamente attestato non dell'integrazione, ma della giustapposizione delle comunità, ad una convivenza senza rapporti, che scivola verso l'estraneità tra le comunità, l'emarginazione delle comunità più deboli, la segregazione di quelle più coese, l'esaltazione del potere autoritario di capi-comunità, la costituzione di poteri occulti incontrollabili e di forme di illegalità protetta, ecc. D'altra parte, non è alternativa valida al progetto multiculturalista un modello di convivenza secondo il principio della massima assimilazione possibile alla tradizione culturale del paese di immigrazione. Ma neppure lo è un progetto di massima neutralizzazione pubblica delle specificità culturali a favore di una cittadinanza "laica", secondo l'attuale modello francese. Si tratta perciò di pensare secondo una prospettiva di "interculturalità", per indicare il processo di interazione e di sinergia, in cui le differenze trovino la forma efficace della loro unità. Va dunque ripensata la politica nella sua dimensione istituzionale, affinché il suo compito di creare e garantire lo "spazio pubblico" del confronto renda possibile una corretta dialettica interculturale delle identità. La questione dell'interculturalità si definisce perciò come "fondazione e cura dello spazio politico" del protagonismo e della dialettica tra identità culturali ed etniche differenti. Il compito storico è allora di ricavare all'interno della tradizione liberale un duplice spazio, quello della "presenza sociale" delle etnie multiculturali e quello della loro "comunicazione politica". La prima questione non riceve risposta adeguata se non entro una rivalutazione del ruolo della società civile. Infatti, né il solo inserimento lavorativo dello straniero nel ciclo del libero mercato (l'immigrato contemporaneo non è semplice forza lavoro straniero in cerca di impiego, ma si concepisce per lo più come soggetto appartenente a comunità particolari), né il solo riconoscimento della cittadinanza statuale danno sufficiente prospettiva ad un processo di integrazione. è necessario, invece, rendere possibile una reale dialettica civile, che però ha come sua condizione la maturazione di una coscienza che non accetta la partizione del sociale tra pubblico statuale e privato mercantile, ma rivendica la consistenza autonoma, anzi il primato socio-politico, del "pubblico civile non statale". Questo significa anche ripensare il "ruolo pubblico civile delle religioni", in direzione del superamento della divaricazione moderna di religione e politica (obsoleta dopo la crisi delle ideologie, cioè delle religioni politiche sostitutive), ma non per questo in senso integralistico, bensì come agenti culturali della dialettica civile fondamentale. Bene Comune e Comunicazione Politica La seconda questione riguarda la "comunicazione sociale" come fatto fondamentale e patrimonio comune, attivo e significativo prima di ogni pattuizione e regolamentazione riflessa. Per comunicazione sociale intendo l'evento complesso di interazione, scambio, azione comune, ecc. che costituisce un "bene già sempre condiviso". Si potrebbe obiettare che nella situazione multiculturale collaborazione e cooperazione sono circostanze da raggiungere piuttosto che punto di partenza. Ma ciò non è vero in assoluto, perché per quanto occasionale, frammentario, sospettoso, insicuro sia un minimo di scambio comunicativo tra i diversi esiste sempre; salvo che la situazione sia già degenerata in emarginazione o conflitto. Il problema è, piuttosto, che l'evento sociale iniziale diventi fatto politico; cosa possibile nella misura in cui lo si assume consapevolmente e volontariamente come "bene comune", cioè come evento che comunque accomuna e che è bene (al limite anche come minor male) che venga promosso. In sintesi, il corpo politico nasce, quando si istituisce come fine comune il perseguimento della comunicazione sociale stessa. Vi è dunque un "senso formale del bene comune", di cui si prende cura il politico, che si adatta anche alla società del pluralismo postmoderno e a quella del multiculturalismo etnico-culturale, perché non chiede nessun preventivo accordo su contenuti di valore, che non siano il "valore stesso dell'essere in società". Il politico coincide a questo livello con "l'istituzione permanente" dello spazio della comunicazione, cioè del confronto tra i diversi, della cooperazione e dello stesso conflitto in quanto riconosciuto e regolato. Ciò significa che il bene della comunicazione traccia il "confine della partecipazione politica", distinguendo quanti ne riconoscono il vincolo da quanti invece, non riconoscendolo, se ne escludono. In tal senso risulta subito l'impossibilità politica di una convivenza di qualunque componente culturale solo perché esistente e tanto più di quelle forme che contraddicono il bene della comunicazione sociale (fondamentalismo, anarchismo, terrorismo, separatismo, settarismo occulto, ecc.). Questa prospettiva di istituzione pratica del politico non si conclude però con il suo profilo costituzionale formale, perché essa è aperta ad accogliere tutti quei contenuti valoriali che le diverse tradizioni si trovassero concretamente a condividere. Infatti, l'incontro-scontro delle diverse tradizioni e concezioni comprensive delimita un campo di condivisioni e di esclusioni che si definisce e si ridefinisce su base di negoziazione storica in continuo aggiornamento. A questo livello il "bene comune" non è più solo formalmente la comunicazione sociale, ma si riempie di "contenuti" (pratiche economiche e sociali, patrimoni valoriali, morali, spirituali) diversamente individuati secondo i differenti contesti e le specifiche contrattazioni politiche. In tal modo, sul canovaccio stabile del progetto condiviso e regolato di comunicazione, il pluralismo può trovare lo spazio delle sue innumerevoli variazioni, senza subire la coazione di impossibili omogeneità e senza distruggere la coesistenza dei differenti. Dialettica della Partecipazione L'appartenenza ad una società politica garantisce l'equo diritto all'organizzazione, all'espressione, alla difesa. Ma lascia anche la libertà del gioco delle forze e delle prevalenze, compresa la prevalenza della componente culturalmente maggioritaria di una società, che normalmente è anche la protagonista della storia di una società e del suo stato nazionale e che, quindi, ha sia il dovere di ammettere alla comunicazione politica quanti lo chiedono e si trovano nelle condizioni di farlo, sia il diritto di proteggere e proporre il proprio patrimonio di storia, di cultura, di tradizioni, di costumi, ecc. in un leale confronto e con una schietta negoziazione con i sopravvenuti. Sarà la dialettica sociale e culturale in condizioni di equità di interlocuzione a decidere le prevalenze e/o le mescolanze nella lunga durata. In generale non si tratta dunque di preservare o di promuovere le differenze perché tali (problema dei cosiddetti "diritti culturali"), bensì di porre le condizioni politiche affinché queste possano preservarsi e autopromuoversi e confrontarsi, secondo le loro reali capacità. In sintesi, impostare il problema del multiculturalismo secondo il criterio della "comunicazione politica" interculturale permette di salvare sia il valore della differenza, sia il principio della pari dignità, secondo una formula del tipo: "garanzia dei diritti e dei vincoli delle differenze culturali nella pari dignità della loro partecipazione politica". In concreto, il fenomeno storico dell'interculturalità risulta dalla sinergia di due fattori: la "libera dialettica civile" tra i reali soggetti sociali, culturali e religiosi e l'"intervento pubblico statuale", che deve prendere decisioni in ordine alla convivenza delle differenze, facendo riferimento al patrimonio di valori di cui è espressione.