Intervista con Abdullahi Ahmed an-Na‘im, a cura di Andrea Pin

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:41:24

Il mondo ha ora due Sudan. Pensa che dovremmo considerarlo un successo politico, un compromesso o un fallimento?

È naturalmente troppo presto per dirlo. Molte questioni stanno solo iniziando ad emergere. Dobbiamo anche considerare “l’eterogenesi dei fini”: il modo in cui definiamo le cose ‒ il modo in cui speriamo che esse funzionino ‒ potrebbe infatti rivelarsi sbagliato. Non è come scrivere un copione, perché troppi fattori vi si trovano coinvolti. La mia idea è sempre stata che la separazione in quanto tale, o l’unità in quanto tale, non è una risposta. Non sono d’accordo con le opinioni del tipo «se ci separiamo andrà tutto bene», o «se rimaniamo uniti, andrà tutto bene». Che il Sudan sia separato o diviso, le questioni sul tappeto rimangono la giustizia sociale, la democratizzazione i diritti umani, la pari cittadinanza, ecc. Il risultato non è una semplice questione di secessione o di unità come se ognuno di essi fosse un fine in sé. Un altro fattore da prendere in considerazione è ciò che è successo durante la creazione del Sudan meridionale. Il processo è iniziato con un voto ordinato e pacifico, ma è rapidamente diventato caotico e generatore di divisioni, non solo per il Sud o nel Sud, con tensioni emergenti qui e là, ma anche per tutte le altre parti dell’accordo di pace. Infatti l’accordo di pace include altre regioni che non hanno mai tenuto un referendum per decidere se essere parti del Sud o del Nord, e tutt’ora ci sono scontri nelle montagne della Nubia nel Kordofan meridionale e nella regione meridionale del Nilo azzurro. Regna attualmente il caos nella regione di confine tra il Nord e il Sud. Nell’accordo si sono lasciate troppe ambiguità e incertezze e le soluzioni non sono facili da trovare. Le radici del conflitto sono molto problematiche. Per esempio la secessione del Sud potrebbe non essere l’ultima. Potrebbero esserci altre secessioni in altre regioni: Darfur, Abiey, Nilo azzurro meridionale… Ci sono molti scenari oltre alla tensione tra il Nord e il Sudan del Sud: se l’evento principale, la secessione del Sudan del Sud, sia stato un compromesso buono o cattivo sarà chiaro quando diventeranno più chiare anche le altre questioni. In questo senso è ancora troppo presto per dirlo.

Che cosa possiamo ragionevolmente aspettarci ora?

È difficile immaginare cosa potrà succedere, ma c’è una certa prevedibilità nelle personalità e nel tipo di regimi che hanno guidato i due Paesi. Poiché il Nord è ancora governato dal regime di Al-Bashir, non possiamo aspettarci grandi cambiamenti nei suoi comportamenti e nelle sue politiche. Le forze di Bashir sono già state ampiamente condannate per aver minacciato l’equilibrio politico e avere minato la pace. È ciò che hanno fatto in Darfur e nel Sudan del Sud per anni e anni. Perché dunque dovrebbero cambiare? Finché il regime del Nord resta al potere si può prevedere una “ripetizione dell’identico” in base o ciò che il regime è stato in precedenza. Non vi sarà una politica né benevola né positiva. Continuerà ad essere una politica manovriera, disonesta e violenta. Stanno oggi pensando di lanciare un jihad per liberare luoghi come le montagne della Nubia e il Darfur. Stanno facendo una campagna nelle moschee in questo senso. Tutto ciò è folle. È esattamente quello che è successo negli anni ’90. Stanno giocando lo stesso gioco per distrarre le persone dai problemi reali, come la corruzione e le difficoltà economiche. È scoraggiante vedere che tutto ciò sta succedendo di nuovo. Un altro problema deriva dall’amministrazione del Sudan del Sud. La politica della liberazione non è la stessa cosa della politica del governo democratico. Può verificarsi una felice transizione dal movimento di liberazione al governo democratico effettivo, ma è cosa rara ed eccezionale. Nella maggior parte delle situazioni, i movimenti di liberazione non si comportano bene quando vanno al governo perché continuano ad avere una struttura prevalentemente militare e non hanno alcuna esperienza di istituzioni e trattative politiche. Le istituzioni politiche hanno bisogno di una mentalità e di un approccio diversi. I leader del Sud Sudan non hanno familiarità con le dinamiche del compromesso e della flessibilità che un’azione di governo richiede. Inoltre, nel Sud bisogna tenere conto di un altro fattore: la complessità e le tensioni del mosaico etnico, ciò che può facilmente combinarsi con le ambizioni dei signori della guerra, i quali potrebbero manipolare un ambiente politico volatile. Il petrolio è un altro fattore rilevante. Penso che il Sud Sudan abbia deciso di adottare la politica di esportare il petrolio attraverso il Nord. Ma il compenso che il Nord pretende per un oleodotto che, dal Sud, attraversi il suo territorio è molto alto. Vi è un ricatto dietro il mercato del petrolio nel Sud Sudan. Perciò la domanda da fare è la seguente: qual è la merce di scambio che il Sud può far valere nel mercato petrolifero? Potrebbe essere l’acqua. Il Sud, come Stato indipendente, può ora rinegoziare l’accordo sulle acque del Nilo con il Sudan del Nord, l’Egitto e l’Etiopia. Il fiume ha due affluenti: il Nilo bianco dal Sud e il Nilo azzurro dall’Etiopia. In passato l’Etiopia non ha mai giocato alcun ruolo negli accordi sulle acque del Nilo. Si è sempre trattato di una questione tra l’Egitto e il Sudan. È quanto accaduto col primo accordo del 1919, quando il Sudan era una colonia anglo-egiziana, e anche con l’accordo del 1958, quando il Sudan si trovava sotto il primo governo militare dopo l’indipendenza, e il popolo sudanese aveva percepito che il Sudan era stato costretto ad accettare un accordo che offriva scarsi vantaggi. In ogni caso, molti altri Paesi del bacino del Nilo non sono stati coinvolti nell’accordo sulle acque del Nilo. Forse, se il Sudan meridionale potesse giocare la carta delle acque del Nilo, ciò darebbe al Paese un certo potere. Il Sud potrebbe intervenire nel gioco dell’esportazione e dello sfruttamento dell’acqua e influenzarlo. Non è solo una questione di petrolio. Ho l’impressione che l’acqua valga più del petrolio. Il petrolio è una risorsa non rinnovabile, che si esaurirà. Ma non c’è vita senz’acqua. Un impegno nella politica idrica richiede perizia, capacità negoziali e istituzioni ufficiali. Gli egiziani hanno 5 mila anni di storia in questo ambito. Altri Paesi della regione non hanno alcuna esperienza in tutto ciò. Neanche il Sudan del Nord è mai riuscito a tenere testa all’Egitto nelle questioni relative all’acqua. E l’Egitto ne ha sempre beneficato in modo colossale. Se l’Etiopia e il Sudan del Sud si unissero e cooperassero potrebbero avere un potere contrattuale. L’acqua è necessaria per nutrire le persone, per coltivare i campi, ma anche per le industrie, per esempio l’Etiopia potrebbe usare le acque del Nilo azzurro per produrre energia elettrica. Penso che i popoli della regione dovrebbero prendere le distanze dallo scontro immediato, essere più creativi rispetto a ciò che sta accadendo e non limitarsi a combattere per rovesciare i regimi oppressivi come quello del Sudan del Nord. La politica più corretta è piuttosto quella che parte dal dato dell’appartenenza alla regione e dalla capacità di gestirla insieme agli altri attori coinvolti. Negli Stati Uniti, per esempio, ho visto politiche idriche molto affascinanti tra i vari Stati. La Florida, la Georgia, l’Alabama e il Mississippi negoziano sulle questioni relative all’acqua attraverso incontri tra i governatori. Alcuni Stati hanno maggiore disponibilità d’acqua e potrebbero pretendere di aver un controllo assoluto su di essa. Il Governo federale non può fare molto perché gli Stati hanno un certo grado di sovranità. La cosa affascinante di quanto accade negli Stati Uniti è che la condivisione e la gestione dell’acqua si fa negoziando e attraverso una politica pacifica. Violenza e costrizione sono fuori questione. L’unica carta di cui si dispone e il negoziato. Il problema diventa così il modo in cui si negozia. È questa la lezione che tecnocrati e leader politici di entrambi i Sudan, così come quelli dell’Etiopia e degli altri Stati del bacino del Nilo devono imparare. Basta osservare l’Europa dell’Est e Israele e considerare come affrontano i problemi idrici. Bisogna imparare queste lezioni. Ma tali questioni devono essere affrontate su scala regionale. Uno Stato non può fare affidamento solo sulla sua indipendenza. Alcuni problemi non possono essere affrontati da soli. Solo una regione può occuparsene.

Che cosa pensa la gente del referendum e della creazione di uno Sudan meridionale indipendente e sovrano?

Non sono stato in Sudan recentemente, e non ho dunque un’idea diretta della percezione delle persone circa la separazione. Ma posso dire ciò che alcune persone mi riferiscono e ciò che deduco da quanto mi dicono. Com’era prevedibile ci sono sentimenti contrastanti. La maggior parte delle persone del Nord non ha ancora interiorizzato ciò che è successo. I media sono stati sommersi dai discorsi sull’indipendenza ma le persone nelle strade o nelle zone rurali non hanno un’idea chiara di cosa stia succedendo. Ci vuole tempo per prendere coscienza di ciò che è successo e delle sue conseguenze. Quando inizi a non vedere più alcune persone a cui eri abituato perché hanno lasciato il Nord per tornare nel Sud, allora ti chiedi che influenza avrà tutto ciò sull’economia e sulle relazioni sociali della gente nel Nord. Ci vuole tempo per elaborare gli eventi non solo intellettualmente. Molte reazioni nel Nord come nel Sud sono reazioni a scoppio ritardato. La maggior parte della gente del Nord o del Sud non appartiene alle classi istruite o all’amministrazione o ad altre élites e non hanno ancora interiorizzato gli eventi. Tra coloro che nel Sud hanno già elaborato i propri sentimenti c’è ancora euforia. Ma iniziano a capire che il processo di indipendenza aveva creato troppe aspettative: «Se ci separiamo dal Nord i nostri problemi saranno risolti». Col passare del tempo, stanno sperimentando problemi concreti ma critici, come il cambio di moneta. Il Nord rifiuta di accettare dal Sud alcuni dei vecchi tagli finiti ora fuori corso, ciò che rende difficile creare un mercato dei capitali. Oppure, per esempio, il destino di Juba sarà imprevedibile se verrà costruita una nuova capitale da qualche altra parte. È proprio quando si passa a considerare i problemi politici che la mancanza di leadership politica diventa evidente. Quando affrontano queste questioni le élites politiche smarriscono naturalmente l’euforia iniziale, o per lo meno la moderano. Il Nord ha sperimentato questioni simili. Molti nord-sudanesi hanno inizialmente avuto un moto di rifiuto di fronte al processo di indipendenza del Sud e la loro reazione è stata quella di pensare che il processo fosse un occasione per dimostrare al Sud che stava sbagliando. Anche gli intellettuali sudanesi liberali pensavano che il Sud alla fine avrebbe capito che senza il Nord non ci sarebbe stato futuro. Penso che sia solo una reazione infantile. Sintetizzerei la cosa in questo modo: gruppi politici diversi hanno avuto reazioni diverse. Per la maggior parte di essi le reazioni derivavano da una valutazione inaccurata del processo che era in corso. Prendiamo la questione del lavoro. Molti sud-sudanesi vivevano nel Nord perché vi trovavano lavoro, nell’economia, o nell’esercito. Molti sono tornati al Sud per votare a favore dell’indipendenza. Dopo la creazione del nuovo Stato hanno perso la cittadinanza del Sudan unitario ed è stato impedito loro di fare ritorno al Nord. Non hanno potuto così tornare a lavorare. Ma al Sud mancano sia case che opportunità di lavoro. Le persone che avevano casa e lavoro al Nord hanno perso entrambi con l’indipendenza del Sud. Il governo regionale del Sudan meridionale ha organizzato il trasferimento dei sud-sudanesi residenti al Nord per permettere loro di votare e quanti ne hanno beneficiato hanno perso il lavoro. Anche quelli che sono rimasti al Nord o hanno votato contro la secessione hanno perso casa e lavoro perché hanno smesso di essere cittadini di un Sudan unitario. Dopo avere lavorato e vissuto nel Nord, magari per decenni, hanno perso la cittadinanza del vecchio Sudan, perdendo il lavoro, e adesso devono partire e insediarsi nel Sud. Occorre inoltre considerare quanti si aspettano una pensione dall’amministrazione del Nord dopo avervi lavorato una vita, o le persone che attendono ancora il loro stipendio dai datori di lavoro del Nord. È difficile che vengano pagati e il livello di corruzione presente nell’amministrazione renderà il trasferimento di denaro ancora più difficile. Potremmo anche pensare ai bambini che andavano a scuola nel Nord. Ora sono cittadini del Sud, dove non ci sono scuole, e non ce ne saranno abbastanza per decenni. O possiamo pensare alla mancanza di infrastrutture… Sin dal momento immediatamente successivo all’indipendenza i sud-sudanesi hanno dovuto affrontare questioni molto pratiche. L’altissimo livello delle aspettative si scontra ora con duri limiti e ciò influirà sulla percezione della secessione.

I due Stati saranno altrettanto colpiti dalla grave carestia che altri Stati di quella regione africana hanno sperimentato?

Sì, saranno certamente coinvolti nella situazione ma forse in modi non immediatamente evidenti. Dobbiamo considerare che la regione non ha una leadership e governi affidabili e responsabili in grado di creare riserve di cibo. La dinamica è opposta. Quando vi è una buona produzione di cibo, c’è la corsa alle esportazioni perché i regimi hanno bisogno di valuta straniera. Ma, in tempi di crisi, non sanno cosa fare. Questo vale per l’Etiopia, per l’Eritrea e il Sudan – la Somalia, ovviamente, non ha un governo. Spesso i raccolti vengono esportati di contrabbando dal Sudan all’Etiopia e verso altri Stati della regione. La carestia che sta colpendo la Somalia e l’Etiopia orientale, colpirà altri Paesi anche in ragione della corruzione e delle attività criminali che fioriranno nell’area a causa della carestia. L’impatto della crisi può avere anche conseguenze positive perché potrebbe spingere i dirigenti ad adottare un approccio regionale piuttosto che nazionale, come ho detto prima. I bisogni delle persone possono essere soddisfatti mettendo in risalto i collegamenti e le collaborazioni regionali. Questo aiuterebbe sotto molti punti di vista: dal punto di vista politico e ambientale, per citare solo due aspetti. Le soluzioni devono valutare i problemi a livello regionale piuttosto che a livello nazionale. Sarebbe rivoluzionario. Finora, il Sudan del Nord ha trovato amici in Cina; il Sudan del Sud Occidente. Ma le alleanze globali e le rivalità possono distrarre dalle possibilità reali di collaborazioni regionali. La regione non ha altra possibilità che la collaborazione. Dovranno concentrarsi sulle collaborazioni regionali piuttosto che cercare soluzioni lontane.