Un gruppo storico dell’underground tunisino, trainato da un cantante carismatico che non si è mai tirato indietro, nemmeno dopo botte e intimidazioni. E ci consegna un ritratto crudo ma efficace di quanto sia difficile oggi essere giovane in Tunisia
Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:25:23
Halim Yousfi è stato definito come «una delle figure più importanti della nuova scena musicale tunisina, con le sue parole impegnate […] e le sue proposte alternative sincere ed eloquenti».
Che fosse destinato a trovare la sua strada nella musica forse lo speravano anche un po’ i suoi genitori, quando scelsero il nome del figlio in onore del celebre cantante egiziano Abdel Halim Hafez.
Dopo aver trascorso parte della sua infanzia a Gafsa, Halim e la sua famiglia si trasferiscono a Jbel Jelloud, nella periferia sud di Tunisi. A 15 anni, vedendo passare un suo coetaneo con una chitarra, Halim si innamora dello strumento, ne compra uno e, complice un «quartiere dove non vi è altro da fare», impara a comporre i suoi primi brani (in realtà, proprio questo quartiere “depresso” e “periferico” ha dato vita a molti talenti musicali contemporanei, come illustra bene questo documentario)
Tra il 1999 e il 2005 Halim fonda vari gruppi “locali” (Old 9 School, Soul Bowl Vibrations, Klandestina, …) finché nel 2006, di ritorno da un soggiorno in Belgio, inizia l’avventura dei Gultrah Sound System (gultrah significa “dillo” in arabo colloquiale tunisino), una delle band dell’underground tunisino oggi più conosciute e apprezzate (insieme a molte altre), e a giusto titolo indicata come pioniera nel suo esprimere musicalmente il proprio dissenso al regime di Ben Ali ben prima delle “Primavere arabe”.
Il gruppo è infatti conosciuto per uno stile unico e “globale” (reggae, dub, afrobeat, funk e jazz) e dei temi (affrontati a volte con gravità, a volte con umorismo) molto “locali”, spesso radicalmente “tunisini”, che trattano «del quotidiano più prosaico dell’essere umano» (potremmo dire d’ispirazione mezwed).
Benché abbiano avuto una carriera discontinua e qualche cambio nell’organico, nel 2019 i Gultrah sono tornati alla grande ed è previsto a breve un album (ufficialmente, il primo disco, se si esclude la demo Jazz fizzenga del 2008) in collaborazione con l’interessante The Arab Fund for Arts and Culture (AFAC).
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Ma torniamo a Halim. In questo bel ritratto, insieme ad altri giovani tunisini impegnati in diverso modo nella società civile, il nostro cantante è indicato come disinteressato alla politica, ma instancabilmente in lotta per cambiare il mondo della musica, affinché in Tunisia si possa vivere del proprio talento, senza censure e con leggi che tutelino la proprietà intellettuale e artistica di un cantante.
In effetti, nonostante la sua bravura e il meritato successo, Halim ha sempre fatto fatica a vivere di musica, anche dopo la Rivoluzione tunisina, a suo parere un momento di svolta in cui la società ha iniziato ad avere sempre più sete dei suoi testi e delle sue canzoni “libere” che, ricorda, trattano “temi scomodi” già da parecchi anni.
La sua schiettezza verso certe tematiche, a ben vedere, gli ha già procurato problemi: il 17 dicembre 2015 una pattuglia di polizia ha interrotto il suo concerto, accusandolo di non essere in regola (è il Ministero della Cultura tunisino che decide, attraverso un tesseramento, se gli artisti sono “professionisti” e dunque abilitati a esibirsi); un anno e mezzo prima, Halim era stato picchiato da «dei Barbuti perché giudicato immorale».
Immorali sono sicuramente le situazioni che Halim descrive e condanna nelle sue canzoni (dalla condizione delle donne allo stato poliziesco), da solo o nelle sue numerose collaborazioni con Paza Man o con Kachou5 (ma non mancano ballate su piano meno impegnate).
Il brano di oggi, intitolato Elli tchelou (“coloro che sono stati arrestati”) ne è un esempio: si tratta di una forte condanna allo Stato tunisino, accusato di aver imprigionato e ucciso alcuni giovani sulla base delle loro idee. Sul suo profilo Facebook, Halim ha recentemente ripostato la canzone, scrivendo:
«Purtroppo, [questo brano] è ancora attuale. Viviamo in uno stato di polizia governato da pagliacci, siamo regrediti a tutti i livelli e questo sta diventando invivibile. Forza e coraggio a noi tutti, il cammino verso la luce è ancora lungo». La voce di Halim e la folla che canta con lui ci fa quasi dimenticare che si tratta di una registrazione improvvisata, introvabile in una versione “studio”, e che la chitarra sarebbe stata meglio accordarla. Ma è anche questo lo stile spontaneo del gruppo di oggi.
Buon tarab!
Canzone: Elli tchelou
Artista: Halim Yousfi
Anno: tra il 2010 e il 2018
Nazionalità: Tunisia
Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.
Qui tutte le precedenti puntate.
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Coloro che sono stati arrestati
Questa (canzone) è per coloro che sono stati arrestati
Davanti a casa, e ad oggi ancora non sono ritornati
mentre i Tunisini han paura della loro stessa ombra
In questi tempi infidi
Quanti sono stati umiliati, in prigione
Questa (canzone) è per coloro che sono morti
Nel disprezzo e l’umiliazione
Per aver detto la verità
mentre i Tunisini han paura della loro stessa ombra
In questi tempi infidi
Quanti sono stati umiliati, in prigione
Già, miseria e povertà!
Ci hanno ucciso a belle parole
a tradimento, con un linguaggio chiaro e onesto.[1]
Viviamo spalle al muro[2]
E fumiamo roba marcia
Con occhi chiusi, narcotizzati, e le nostre vite morte
Povertà, ne parlano sempre ma son parole vuote[3]
Fatti un bicchierino di Whisky secco, Tunisia, canta e balla
Oggi i mascalzoni qui (in Tunisia) fanno la bella vita[4]
Mentre è dura per chi non ha nulla
Questa (canzone) è per coloro che sono stati arrestati
Davanti a casa, e ad oggi ancora non sono ritornati
mentre i Tunisini han paura della loro stessa ombra
In questi tempi infidi
Quanti sono stati umiliati, in prigione
Questa (canzone) è per coloro che sono morti
Nel disprezzo e l’umiliazione
Per aver detto la verità
mentre i Tunisini han paura della loro stessa ombra
In questi tempi infidi
Quanti sono stati umiliati, in prigione
Già, miseria e povertà!
Ci hanno ucciso a belle parole
a tradimento, con un linguaggio chiaro e onesto.
Viviamo spalle al muro
E fumiamo roba marcia
Con occhi chiusi, narcotizzati, e le nostre vite morte
Povertà, ma la gente inizia a svegliarsi
I loro occhi iniziano a riempirsi di rabbia,[5] mentre i soldi spariscono
Chi è costretto a calcolare al centesimo, ora vive alla giornata[6]
Mentre il ricco diventa sempre più ricco e l’oppresso sempre più oppresso, eh già!
Questa (canzone) è per coloro che sono stati arrestati
Davanti a casa, e ad oggi ancora non sono ritornati
E i Tunisini han paura della loro stessa ombra
In questi tempi infidi
Quanti sono stati umiliati in prigione
Questa (canzone) è per coloro che sono morti
Nel disprezzo e l’umiliazione
Per aver detto la verità
E i Tunisini han paura della loro stessa ombra
In questi tempi infidi
Quanti sono stati umiliati in prigione
«Sono uno del popolo, so come la pensano i ragazzi del quartiere»
E invece noi abbiamo visto l’ingiustizia in prima persona
e abbiamo visto come porti via ciò che è nostro di diritto
«Sono uno del popolo, conosco bene la mentalità…» ma piantala di parlare a caso,
Ora capiamo bene cosa sta succedendo
Ora capiamo bene la tua politica
Hai sfruttato l’ignoranza e la forza del denaro
Hai ingannato i poveri e i disoccupati
E non ci dimenticheremo coloro che sono morti
Devi capire che niente dura per sempre
Questa (canzone) è per coloro che sono stati arrestati
Davanti a casa, e ad oggi ancora non sono ritornati
E i Tunisini han paura della loro stessa ombra
In questi tempi infidi
Quanti sono stati umiliati in prigione
Questa (canzone) è per coloro che sono morti
Nel disprezzo e l’umiliazione
Per aver detto la verità
E i Tunisini han paura della loro stessa ombra
In questi tempi infidi
Quanti sono stati umiliati in prigione
اللي تشالوا
وهذي للناس اللي تشالوا
من قدام الدار و ليومنا هذا ما بانوا
والتونسي خايف من خياله
من الوقت الغدار قداش في الحباس تهانوا
هذي للناس اللي ماتوا
في الذل و العار
لكلمة حق اللي قالوا
والتونسي خايف من خياله
من الوقت الغدار قداش في الحباس تهانوا
أي ماهي ميزيريا و الفلوس ماهي كاينة
قتلونا بالقدر
الغدر واللغة باينة
عايشين شادين الحيط
والراس بالسلعة البايتة
عينين مغمضين مخدرين عمارنا فايتة
ميزيريا تزغريت أكثر من الكسكسي
زيدي يا تونس كاس وسكي ساك وغني وارقصي
رقاصى اليوم
عايشين فيك هانية وحالة معاهم
بقية الشعب اللي ما عنده والو غفصي ومقصي أي
وهذي للناس اللي تشالوا
من قدام الدار و ليومنا هذا ما بانوا
والتونسي خايف من خياله
من الوقت الغدار قداش في الحباس تهانوا
هذي للناس اللي ماتوا
في الذل و العار
لكلمة حق اللي قالوا
والتونسي خايف من خياله
من الوقت الغدار قداش في الحباس تهانوا
أي ما هي ميزيريا و الفلوس ماهي كاينة
قتلونا بالقدر
الغدر واللغة باينة
عايشين شادين الحيط
والراس بالسلعة البايتة
عينين مغمضين مخدرين عمارنا فايتة
ميزيريا و العباد بدات تفيق
عينين بدات تحمر اليوم ونفوس بدات تضيق
فما اللي الحساب محسوب وماشي حكاية زهر
واللي عنده يزيد و المقهور يزيد يتقهر
أي
وهذي للناس اللي تشالوا
من قدام الدار و ليومنا هذا ما بانوا
والتونسي خايف من خياله
من الوقت الغدار قداش في الحباس تهانوا
وهذي للناس اللي ماتوا
في الذل و العار
لكلمة حق اللي قالوا
والتونسي خايف من خياله
من الوقت الغدار قداش في الحباس تهانوا
ياو شعبي وعقلية ولاد حوم
شفنا الظلم en face شفنا الحق كي تقدم
شعبي وعقلية سايب عليك
فهمنا إش قاعد يصير
فهمنا البوليتيك
لعبتوا عالجهل وقوة المال
خدعتوا الزوالي والبطال
والناس اللي ماتوا راهم في البال
إيه ياو لازمك تفهم ما يدوم حال
إيه
وهذي للناس اللي تشالوا
من قدام الدار و ليومنا هذا ما بانوا
والتونسي خايف من خياله
من الوقت الغدار قداش في الحباس تهانوا
وهذي للناس اللي ماتوا
في الذل و العار
لكلمة حق اللي قالوا
والتونسي خايف من خياله
من الوقت الغدار قداش في الحباس تهانوا
[1] I due versi sono collegati da un gioco di parole. Qatalūnā bi-l-qadar può essere tradotta letteralmente con: “ci hanno ucciso con parole di approvazione”; parole apparentemente oneste e chiare che però hanno ucciso a tradimento, come riporta il secondo verso.
[2] Più letteralmente: “aggrappati” al muro, dunque impauriti, immobili, schiacciati.
[3] Lett. “Ululi (di gioia) sono più comuni del couscous”, ossia: è bene che manifestazioni di gioia siano numerose, ma ciò che conta è poi poter mangiare. Un modo di dire che si avvicina parzialmente al nostro: “tanto fumo, niente arrosto”.
[4] Raqqās/Raqqāsa significa letteralmente “ballerino/ballerini” ma il termine può indicare più in generale persone “a loro agio” (dove il ballare è associato a un senso di conforto generale, rāha) e, per estensione, persone che stanno bene. Nel contesto della canzone si è preferito associare a questo senso di agiatezza e di inazione (persone che si possono permettere di esser “perditempo”, di essere “fannulloni”) nelle difficili condizioni tunisine un senso di disonestà (“mascalzoni”).
[5] Gli occhi thmār, lett. “diventano rossi”, sottointeso di rabbia; i soldi tdhīk, lett. “si assottigliano”.
[6] Lett. “Chi calcola tutto, vive tirando i dadi” ossia “giocando con la sorte”.