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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:43

Autore: Madre Agnès-Mariamde la Croix Titolo: Icone arabe    Editore: Jaca Book, Milano 2009 Abramo vestito come uno sceicco arabo. Un cavallo raffigurato in stile romanico. Le vesti dei santi lavorate come fossero miniature. Un Ecce ­Homo e un San Giuseppe con Bambino di chiara tradizione latina. Un’Ascensione bizantina per tema e composizione della scena. Tecnica dell’assist per lumeggiare attraverso sottili striature dorate le vesti di Cristo, degli angeli e di alcuni santi. L’oro dello sfondo di chiara tradizione bizantina lavorato tramite punzonatura e goffratura per creare volute e girali decorativi. Architettura ­prospettica, stilizzata e arabo-musulmana sullo sfondo delle scene. Barocchismo post-bizantino nelle opere del cretese Michele Polychronis. Uso dell’arabo affiancato al greco. Ricorrenza ­continua di santi “locali” quali san Giorgio, san Sergio e sant’Elia. Queste e altre caratteristiche ricorrono nelle icone presentate da Madre Agnès-Mariam de la Croix. L’autrice, dividendole in scuole basate su botteghe legate ai monasteri, le definisce espressioni dell’arte arabo-cristiana. Storicamente e geograficamente siamo nell’impero ottomano, tra il XVI e il XIX secolo nella zona compresa tra Aleppo, Beirut, Damasco e Gerusalemme. Si tratta di arte cristiana, nello specifico di icone portatili destinate a chiese e monasteri commissionate da comunità arabofone di rito greco-ortodosso e greco-latino e prodotte da una serie di maestri, non sempre di pari valore, locali oppure provenienti dal mondo post-bizantino (Costantinopoli cade nel 1453). Le congiunture storiche del primo periodo ottomano, infatti, permettono alle comunità cristiane di riallacciare i contatti con altri centri monastici di tradizione greca, di entrare in contatto con il mondo latino presente nell’area grazie a concessioni commerciali e ai missionari e, infine, di relazionarsi con il mondo slavo-ortodosso intenzionato a rafforzare i suoi legami con la Terra Santa. L’estrema diversità delle icone riflette le reti cui appartengono le comunità committenti: la crescente latinizzazione di alcune comunità che tornano sotto l’autorità di Roma è evidente, per esempio, nella Koimesis datata al 1593, forse di ambito maronita, in cui i due committenti sono un vescovo con la tiara latina e paramenti bizantini e un prete vestito di una pianeta latina recante una grande croce rossa e con il tipico copricapo nero siriaco a cuffia (kukulos). Lo stesso può essere detto della magnifica icona del battesimo di San Paolo appartenente alla Scuola di Aleppo e datata al 1715. In questo caso Anania, davanti a un’architettura religiosa simboleggiante la città e i cristiani di Damasco, veste come un prete bizantino e battezza Paolo con la conchiglia tipica della tradizione latina. Altrove invece l’influenza di distanti aree geografiche come la Valacchia e l’Ucraina è spiegata tramite il movimento di icone e artigiani lungo le reti del mondo ortodosso (è il caso ad esempio di un prolifico pittore proveniente dall’Ucraina, attivo ad Aleppo nel XIX secolo). “Un mondo nuovo”, come giustamente lo descrive l’autrice, che è il prodotto di una nuova e marcata circolazione di beni, persone e idee nell’area del Mediterraneo e dell’Europa orientale. L’opera di Madre Agnès-Mariam de la Croix, già pubblicata in francese, è particolarmente preziosa per la decifrazione iconografica e stilistica dei diversi gruppi di icone raggruppati ­sotto l’etichetta di arte arabo-cristiana. Questo materiale, sconosciuto ai più e ora magnificamente illustrato nella pubblicazione di Jaca Book, potrebbe sollecitare altri studiosi a indagare più nel dettaglio le dinamiche dell’interazione tra stili e iconografie dissimili, così da interrogare in ­modo proficuo le categorie utilizzate per descriverli e da comparare quest’arte con altre produzioni artistiche cristiane attive sotto un potere musulmano. Pensiamo, ma gli esempi potrebbero essere più numerosi, al primo Egitto islamico e a Cipro nel periodo successivo alle crociate.

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