La Costituzione tunisina riflette i rapporti di forza che hanno presieduto alla sua elaborazione: garantisce ai laici la libertà di coscienza, agli islamisti la protezione della religione e del sacro
Ultimo aggiornamento: 18/06/2024 17:28:46
Come ogni legge fondamentale elaborata in un contesto di transizione e di confronto democratico tra progetti antagonisti, la nuova Costituzione tunisina riflette i rapporti di forza che hanno presieduto alla sua difficile elaborazione: garantisce ai laici la libertà di coscienza e il libero esercizio dei culti; agli islamisti accorda la protezione della religione e del sacro.
I difensori della democrazia e dei diritti umani di tutto il mondo hanno accolto con entusiasmo la nuova Costituzione tunisina adottata il 26 gennaio 2014, tre anni dopo la rivoluzione che ha messo fine al regime di Zine El-Abidine Ben Ali e al sistema istituito all’indomani dell’indipendenza. Il segretario generale dell’Onu ha visto in essa una «tappa storica», e nella Tunisia un «modello per gli altri popoli che aspirano alla riforma»[1]. Il teologo franco-libanese Antoine Fleyfel ha sottolineato dal canto suo che «riconoscere la libertà di coscienza nella Costituzione, come ha appena fatto la Tunisia, è un passo verso la democrazia, che non è solamente il governo della maggioranza, ma anche il rispetto di un insieme di valori contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. È importante notare che a beneficiare di questa libertà di coscienza saranno tutti quanti, e non soltanto i cristiani, dal momento che essa favorisce l’emergere di una società pluralista e rispettosa di tutti gli esseri umani». E ha aggiunto: «Ciò che ha fatto la Tunisia fa ben sperare in un progresso nel resto del mondo musulmano. Voglia Dio che sia contagioso»[2]. Alcuni attribuiscono questo progresso agli islamisti tunisini, di gran lunga il gruppo più consistente all’interno dell’Assemblea costituente che ha votato la nuova legge fondamentale, dimenticando però i progetti di Costituzione che gli stessi islamisti avevano cercato d’imporre, prima di appoggiare, all’ultimo minuto, la versione faticosamente negoziata nel quadro del dialogo nazionale.
È opportuno allora ricordare le condizioni in cui questa Costituzione è stata strappata e l’incidenza dei rapporti di forza tra i diversi protagonisti della transizione, che hanno influito sugli apporti e i limiti del documento in materia di libertà di coscienza, tanto a livello del nuovo testo costituzionale che delle leggi e delle pratiche ancora in vigore dopo, e nonostante, l’adozione di questo principio.
Una transizione dominata dalla paura per le libertà fondamentali
La rivoluzione ha liberato tutto ciò che la dittatura aveva soffocato, nel bene e nel male: le voci che aspiravano a una maggiore libertà e quelle che cercavano d’imporre una teocrazia, rimettendo in discussione tutte le conquiste della società. L’abrogazione della Costituzione del 1959, che riconosceva, tra le altre cose, la libertà di credenza e d’espressione e non riferiva la legislazione ad alcuna norma religiosa, ha rilanciato il dibattito in merito allo statuto della norma islamica rispetto allo Stato, alla legislazione, ai costumi e ai comportamenti individuali e collettivi. Si tratta di una norma che vincola soltanto chi vi aderisce o va eretta a principio costituzionale al quale tutto deve essere sottomesso – lo Stato, la legge e i comportamenti individuali e collettivi in tutti gli ambiti – come hanno chiesto a gran voce i seguaci delle letture più integraliste e delle tradizioni più rigoriste? L’irruzione dei movimenti salafiti che chiedevano la “restaurazione del califfato”, “l’applicazione della sharī‘a”, l’abrogazione delle “leggi empie” e la “reislamizzazione” dello Stato e della società con qualsiasi mezzo, compresa la violenza, ha colto di sorpresa chi si cullava nell’idea di una “eccezione tunisina” posta sotto il segno della “modernità”, della secolarizzazione, della “tolleranza”, dell’apertura sul secolo e sul mondo, del riconoscimento dei diritti della donna e via dicendo.
Presi dal panico per l’irruzione imprevista di quest’altra Tunisia, i laici hanno ridimensionato le proprie rivendicazioni, chiedendo di mantenere l’articolo 1 della Costituzione abrogata: «La Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano; la sua religione è l’Islam, la sua lingua l’arabo, il suo regime la Repubblica». In tal modo hanno fatto agli islamisti un regalo insperato. Infatti, contrariamente alla lettura del padre fondatore e primo presidente Habib Bourguiba e dei laici, i quali ritenevano che l’Islam fosse la religione della Tunisia e non dello Stato tunisino, gli islamisti hanno sempre sostenuto che l’articolo in questione si riferisse all’istituzione dell’Islam come religione di Stato e che occorresse trarne le dovute implicazioni a tutti i livelli, legislativi e culturali. Di fronte all’atteggiamento timoroso dei loro avversari laici, essi non dovevano far altro che negoziare un compromesso tra le conquiste della Costituzione del 1959 e gli eccessi degli islamisti più salafiti e più arroganti.
La rivoluzione ha liberato tutto ciò che la dittatura aveva soffocato, nel bene e nel male
La campagna per le elezioni dell’Assemblea Nazionale Costituente (Anc) e i dibattiti durante il periodo di transizione – tra la caduta del vecchio regime, la sospensione dei lavori della Costituente in seguito all’uccisione del politico di sinistra Mohamed Brahmi e il colpo di Stato del generale Abdel Fattah al-Sisi in Egitto – sono stati segnati dai rapporti di forza tra i sostenitori di un timido progetto laico, inibito dal timore di perdere le conquiste della Tunisia moderna, e i fautori di un progetto islamista, certi di poter avere la meglio sfruttando la paura suscitata dall’intensificarsi della violenza dei movimenti salafiti, protetti dal governo di una troika dominata dagli islamisti di Ennahda.
Le prime versioni della Costituzione, rese pubbliche nel luglio 2012, facevano riferimento alla sharī‘a come fonte della legislazione e all’Islam come religione di Stato e non parlavano di libertà di coscienza. Lo stesso vale per le versioni successive tra cui, in particolare, quella che la Costituente si apprestava ad approvare alla vigilia dell’estate dei grandi pericoli, sotto la pressione del moltiplicarsi degli attentati terroristici, degli effetti dell’assassinio di Mohamed Brahmi e della drammatica piega assunta dalla transizione in Egitto.
Tutti i progetti di Costituzione presentati fino ad allora tenevano conto più delle rivendicazioni dei movimenti salafiti che di quelle della società civile e delle forze democratiche, ancora stordite dalla sconfitta elettorale del 2011. La libertà di coscienza era sacrificata a vantaggio del riferimento alla sharī‘a e della criminalizzazione della violazione del sacro. Quest’ultima, abbandonata dalla maggioranza dell’Anc durante un voto nell’aprile 2013 per favorire la ricerca di un fragile equilibrio tra protezione della religione e libertà di coscienza, era reintrodotta dagli islamisti durante le discussioni finali del gennaio 2014, alla vigilia dell’adozione della nuova Costituzione[3].
I limiti delle pressioni della società civile
È stata la mobilitazione della società civile impegnata nella difesa e nella promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali – in particolare delle associazioni femministe, della Lega tunisina dei diritti umani (LTDH) e dell’Unione generale dei lavoratori tunisini (UGTT) – a rovesciare, nell’estate del 2013, i rapporti di forza in favore di un finale di transizione che tenesse conto delle aspirazioni democratiche della rivoluzione contro il regime di Ben Ali. Grazie a queste mobilitazioni l’Anc, che non aveva rispettato né il suo mandato né il termine di un anno fissato dalla legge, ha smesso di fungere da quadro di riferimento per l’elaborazione della Costituzione e il completamento della transizione. Al suo posto si è imposta una nuova istanza: il dialogo nazionale voluto da quattro organizzazioni: l’UGTT, l’Unione tunisina per l’industria, il commercio e l’artigianato (UTICA), la LTDH e l’Ordine degli avvocati. Queste organizzazioni sono state sostenute dalle varie espressioni organizzate della società civile e da manifestazioni quotidiane contro l’Anc e la troika al potere. Già nel 2012, la mobilitazione delle donne e delle forze democratiche aveva spinto gli islamisti a rinunciare al progetto di sostituire nella nuova Costituzione il principio di uguaglianza tra uomo e donna con la nozione di complementarietà. Nel quadro del dialogo nazionale, a cui gli islamisti hanno finito per aderire dopo averlo boicottato per lungo tempo, i vari disegni di Costituzione presentati fino a quel momento sono stati messi da parte. Ma non per questo gli islamisti hanno rinunciato completamente al loro progetto.
Che cosa implica il ruolo di «custode della religione» di cui è investito lo Stato? Come conciliare il divieto di violazione del sacro con la libertà di espressione e coscienza?
Mettendo a frutto un compromesso concluso tra i “due vecchi” (il leader di Ennahda Rashid Ghannoushi e il suo rivale Beji Caid Essebsi) a Parigi, alle spalle del quadro del dialogo nazionale e con il patrocinio (implicito) dei Paesi europei e degli Stati Uniti, essi hanno negoziato fino alla fine le condizioni della resa, sfruttando tutte le occasioni per evitare che il prezzo della sconfitta fosse troppo alto. Il 4 gennaio 2014, un eletto di Ennahda ha accusato un membro del Fronte Popolare di essere nemico dell’Islam. I rappresentanti dell’opposizione hanno approfittato di questo incidente per proporre la criminalizzazione dell’accusa di miscredenza (takfīr), che può istigare all’omicidio di chi è considerato apostata, come accaduto a diversi artisti e intellettuali in Algeria, Egitto e altrove. La proposta è stata adottata, scatenando immediatamente la furia degli imam. Questi hanno lanciato una petizione, ripresa dal Mufti della Repubblica e da alcuni islamisti dell’Anc, che esigeva la revoca del divieto di accusa di apostasia, ritenuto una violazione di “un pilastro dell’Islam”. Di questa levata di scudi hanno approfittato gli eletti islamisti e i loro alleati più fedeli per introdurre l’obbligo da parte dello Stato di proibire insieme all’accusa di apostasia anche la violazione del sacro.
Libertà di coscienza e tutela del sacro
La nuova Costituzione tunisina, come ogni Costituzione elaborata in un contesto di transizione e di confronto democratico tra progetti antagonisti, riflette i rapporti di forza che hanno presieduto alla sua elaborazione. Questo vale per la Costituzione nel suo insieme, ma soprattutto per l’articolo 6, che tratta della libertà di coscienza e che riflette i punti di vista dei due campi:
Lo Stato è il custode della religione. Esso garantisce la libertà di coscienza e di fede, il libero esercizio dei culti, la neutralità delle moschee e dei luoghi di culto rispetto alle strumentalizzazioni di parte. Lo Stato si impegna a diffondere i valori di moderazione e di tolleranza, a proteggere il sacro e impedirne la violazione. S’impegna ugualmente a vietare e combattere gli appelli al takfīr [accusa di apostasia] e l’istigazione alla violenza e all’odio.
Secondo gli uni l’articolo garantisce la libertà di coscienza, il libero esercizio dei culti, il divieto di takfīr e la lotta contro di esso; secondo gli altri accorda la protezione della religione e del sacro vietandone la violazione. Le moschee e i luoghi di culto vengono dichiarati neutri e al riparo da qualsiasi “strumentalizzazione di parte”, ma ciò non significa che gli imam non possano fare sermoni politici, come hanno ricordato in seguito gli islamisti.
Che cosa implica il ruolo di «custode della religione» di cui è investito lo Stato? Di quale religione si tratta? Questo ruolo si estende ugualmente, su un piano di parità con l’Islam, alle religioni minoritarie e a tutte le comunità spirituali appartenenti all’Islam e ad altre religioni e spiritualità, riconosciute e non? Qual è la portata effettiva della nozione vaga e indefinita di violazione del sacro? Come conciliare il divieto di violazione del sacro con la libertà di espressione e la libertà di coscienza? Gli islamisti hanno la tendenza a subordinare la libertà di coscienza, la libertà di espressione e tutte le libertà e i diritti fondamentali alla priorità di proteggere la religione e il sacro, di cui estendono al massimo la portata. Essi sfruttano i riflessi identitari più conservatori per opporsi all’abrogazione delle leggi, delle normative e delle misure liberticide anticostituzionali, che difendono in nome della religione, per esempio le leggi omofobe, le leggi e le misure che consentono alla polizia, alla magistratura e all’amministrazione di perseguire e sanzionare chi mangia e beve in pubblico durante il mese di Ramadan, chi consuma alcool, chi si permette creazioni artistiche giudicate blasfeme, chi è dichiarato ateo o “adepto di riti e pratiche sataniche” o delle “eresie” sciita, bahai o kharijita, per non parlare delle violazioni all’integrità fisica e morale delle persone Lgbt.
Le ambiguità della Costituzione consentono di esercitare pressioni contro la libertà di coscienza, in nome della protezione della religione
Secondo la strategia “della competizione tra diverse pressioni sociali” (tadāfu‘ ijtimā‘ī), gli islamisti hanno moltiplicato le dichiarazioni e gli atteggiamenti tesi a mettere in discussione la libertà di coscienza in nome del rispetto dei sentimenti religiosi del popolo, dell’obbligo di proteggere la religione e di proibire le violazioni del sacro. Da parte loro, i difensori dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della libertà di coscienza, pur denunciando la doppiezza degli islamisti e le violazioni dei diritti e delle libertà da parte dei funzionari dello Stato che dovrebbero garantirli, sono consci dei pericoli che si nascondono nell’ambivalenza della Costituzione e chiedono il rispetto delle norme internazionali in materia di diritti umani. Essi ricordano giustamente che il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha rifiutato la nozione di diffamazione delle religioni, ritenendola un pericolo per i diritti umani e la libertà di espressione[4]. Inoltre, fanno riferimento alle precisazioni del Comitato dei diritti dell’uomo in merito all’articolo 19 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici: «Vietare le manifestazioni ritenute manchevoli di rispetto per una religione o un altro sistema di fede, comprese le leggi sulla blasfemia, è incompatibile con il Patto». La storia e la realtà di diversi Paesi, tra cui la maggior parte di quelli musulmani, mostrano come il reato di “blasfemia”, il divieto di critica della religione e la protezione del sacro costituiscano nei fatti limiti alla libertà di pensiero, di coscienza e di espressione> allo scopo di imporre un ordine morale fondato sulla disuguaglianza e sulla sottomissione cieca a tradizioni e gerarchie obsolete.
La piena cittadinanza
La costituzionalizzazione della libertà di coscienza in Tunisia è un risultato importante in quanto rappresenta un elemento di forza per contrastare le violazioni di questo diritto fondamentale, per abrogare le leggi e le normative che la ostacolano, denunciare e perseguire chi lo infrange e instaurare la piena cittadinanza, senza che nessuno sia discriminato in nome della religione. A questo risultato non è estranea la ripresa della lotta per l’uguaglianza successoria fra uomini e donne e l’abrogazione della circolare che vieta alla tunisina musulmana di sposare un non-musulmano, avvenuta a settembre 2017[5]. Il nuovo articolo costituzionale ha consentito di far ricorso alla giustizia e alle autorità per difendere quanti sono ingiustamente e illegalmente perseguiti perché rifiutano di digiunare nel mese di Ramadan. Ha inoltre obbligato le autorità a intervenire in favore di un’insegnante minacciata di sospensione su richiesta di alcuni genitori fanatici, che l’hanno accusata di ateismo per aver chiuso le finestre della classe per poter svolgere la lezione senza essere disturbata dai rumori provenienti dall’altoparlante di una moschea vicina[6].
Il riconoscimento della libertà di coscienza dà ai bahai tunisini la possibilità di appellarsi al presidente della Repubblica dopo che alcuni giovani membri della loro comunità sono stati convocati dalla polizia, chiedendogli di utilizzare il suo potere di custode della Costituzione per porre fine alle violazioni della loro libertà di coscienza. Esso offre ai difensori dei diritti umani, agli avvocati e ai cittadini la possibilità di rivolgersi alla giustizia, alle autorità del Paese e alle istanze internazionali per chiedere il rispetto dei diritti fondamentali di quanti sono discriminati come le persone Lgbt, le vittime di aggressioni razziste, le minoranze religiose riconosciute e non, come pure la protezione della libertà di creazione artistica, di ricerca scientifica e di espressione, e per poter pensare senza incorrere nelle accuse di anatema, eresia, apostasia, blasfemia… Ciononostante, le ambiguità della Costituzione consentono, e lo si vede quotidianamente, di esercitare pressioni in senso contrario, in nome della protezione della religione e della violazione del sacro o di ciò che si ritiene tale.
La lotta per la libertà di coscienza, le libertà fondamentali e i diritti umani deve proseguire con fermezza, lucidità e vigilanza, e deve fondarsi sulla diffusione di una cultura democratica che ne costituisce lo zoccolo indispensabile. È vero che gli islamisti hanno fatto concessioni tenendo conto delle rivendicazioni democratiche della società civile e delle pressioni in favore di una Costituzione che integrasse il riferimento ai testi internazionali relativi ai diritti umani. Ma attribuire loro i progressi della nuova Costituzione, come ha fatto per esempio il politologo François Burgat quando ha incensato Rashid Ghannoushi come il «co-ideatore di una delle Costituzioni più democratiche e laiche del mondo arabo»[7], è una menzogna grossolana. Quei progressi li hanno accettati soltanto perché costretti e comunque in cambio di ciò che può consentire loro di tornare alla carica per far marcia indietro e, quando ne avranno la possibilità, riprendersi con una mano ciò che hanno concesso con l’altra. Gli islamisti sono ben lungi dall’aver compiuto quella conversione democratica che alcuni si sono affrettati a riconoscere loro. Le costanti inversioni di marcia di cui danno prova ogni volta che ne hanno la possibilità, facendo leva sui riflessi identitari degli ambienti più retrogradi, ne sono la dimostrazione. Allo stesso modo, la spettacolare inversione di tendenza del partito turco al potere, l’Akp, e del suo leader Erdoğan mostra, nel caso specifico, che è troppo presto per parlare di una svolta democratica dell’Islam politico. Tale svolta avverrà soltanto quando la cultura della democrazia, della libertà e dei diritti umani avrà trionfato definitivamente, ciò che non è ancora avvenuto neppure nelle fila degli avversari dell’Islam politico.
Senza cadere in una visione essenzialista della cultura, che tuttora domina diversi settori delle società musulmane, ci vorranno ancora lunghe lotte per consolidare risultati come quelli della nuova Costituzione tunisina e renderli almeno parzialmente irreversibili. Per poterli accettare fino in fondo gli islamisti dovranno rinunciare definitivamente al loro progetto di Stato islamico e alla sharī‘a come riferimento della legge e dell’ordine sociale.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
Note
[1] «Le Monde», http://bit.ly/2heJCyj
[2] Intervista ad Antoine Fleyfel di Anne-Bénédicte Hoffner, Que vaut l’inscription de la liberté de conscience dans la Constitution tunisienne ?, «La Croix», 27 gennaio 2014, http://bit.ly/2ynAxGp
[3] Si veda l’analisi di Amna Guellali, direttrice dell’ufficio di Human Rights Watch per la Tunisia e l’Algeria: Liberté d’expression et interdiction de l’atteinte au sacré dans la nouvelle Constitution tunisienne, «Huffpost Maghreb», 27 gennaio 2014, http://bit.ly/2jZea82
[4] Risoluzione 16/18 marzo 2011 del Consiglio per i diritti umani dell’ONU.
[5] Su questo argomento si veda il reportage pubblicato in questo numero della rivista (NdR).
[6] Affare Feyza Souissi. Sfax : Accusée d’athéisme, une enseignante malmenée par les parents d’élèves !, «Business news», 17 settembre 2017, http://bit.ly/2jAghi8
[7] Shatil Taqa, François Burgat, l’islamisme dans tous ses états, «Le comptoir», 24 febbraio 2017, http://bit.ly/2hqv7Hv