Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 08:56:53
Vi proponiamo gli appunti di viaggio che un rappresentante dell’Associazione di Terra Santa ha scritto per Oasis da Aleppo. Ha visitato la parte Ovest della città siriana a ottobre, quando era ancora in corso un sanguinoso conflitto tra forze del regime di Bashar al-Assad e gruppi armati ribelli, in controllo dell’area orientale del centro abitato. La città è stata totalmente riconquistata dall’esercito governativo a dicembre, con il sostegno di uomini armati legati all’Iran, alle milizie sciite libanesi di Hezbollah e ai militari russi.
Aleppo. Al terzo checkpoint all’ingresso di Aleppo Ovest ci accolgono militari governativi in divisa. Alcuni indossano fascette rosse. Distribuiscono brioche e succo di mango a tutti i “fratelli” che entrano nella parte della città che loro difendono. Mentre ci parlano dal finestrino, fra’ Bassam, frate francescano siriano e nostra guida, ci confida: “Sono i soldati di Hezbollah, presenti nella zona ormai da diversi mesi. Ci stanno dando il benvenuto… bevete!”.
A ottobre 2016,
mi sono recato in Siria, nella parte occidentale di Aleppo, quella controllata dalle forze del regime di
Bashar al-Assad, e nella quale si può accedere soltanto attraverso il coordinamento con le forze governative. Viaggiavo assieme ad alcuni colleghi dell’
Associazione di Terra Santa, Ong che dal 2002 è operativa nel settore della cooperazione internazionale a sostegno della
Custodia di Terra Santa, provincia francescana che da più di sette secoli si occupa della gestione dei luoghi sacri.
La nostra missione ha avuto come obiettivo la visita di comunità cristiane e dei progetti di emergenza e assistenza in corso in Siria. Dall’inizio della sanguinosa guerra civile nel 2011,
i frati della Custodia, da secoli in Siria, non hanno mai lasciato il Paese e sono ancora saldamente presenti in varie zone, come
Lattakia,
Damasco,
Aleppo, sotto il governo siriano. Si trovano però anche in alcuni villaggi della
valle dell’Oronte (
Knayeh,
Yacoubieh,
Jisser e
Gidaideh), controllate invece da varie frange ribelli. In questi luoghi, i frati francescani, sostenuti da staff locale, aiutano la popolazione senza distinzione di etnia, appartenenza religiosa o nazionalità, con particolare attenzione a bambini e donne.
Dopo lo scalo a Beirut, il passaggio al confine e due brevi soste a Lattakia e Damasco, siamo partiti alla volta di Aleppo Ovest, accompagnati da fra’ Bassam.
Sono molti i checkpoint che si incontrano sulla strada. Il loro numero aumenta con l’avvicinarsi alla parte Ovest di Aleppo, dove sono posizionati ogni 200-300 metri. L’esercito governativo controlla i passaporti, i visti e il bagagliaio di ogni singola macchina. I soldati governativi che incontriamo sono spesso in condizioni critiche: stremati, alcuni molto giovani, altri più anziani. Ci sono materassi gettati per terra di fianco a gabbiotti e catapecchie piene di macerie, dove a turno i militari si riposano durante il giorno e la notte. Il nostro autista ne conosce molti, e, dove possibile, lasciamo una bottiglia d’acqua, qualcosa da mangiare, delle caramelle.
Entrando in città, colpisce da una parte la quantità di
pozzi d’acqua presenti per le strade, uno ogni 50-60 metri. Sono stati da poco riaperti e messi a disposizione sia per la raccolta con taniche di piccola taglia, sia per i camion che pompano acqua in grossi serbatoi per poi ridistribuirla nelle varie zone della città. Dall’altra, la quantità sterminata di
generatori elettrici esterni, circa uno per ogni edificio o complesso di case. Funzionano senza sosta dalle otto di mattina fino alle otto e trenta di sera.
È questo uno degli effetti più tragici e diretti della guerra in corso ormai da sei anni: la carenza di energia elettrica e di acqua, dovuta sostanzialmente alla divisione del territorio tra forze governative, ribelli e
Stato Islamico.
Ad Aleppo, gli abitanti provano a ripartire con quello che hanno. Infatti, nonostante l’embargo internazionale impedisca l’esportazione e i prezzi dei prodotti venduti sul mercato nero siano saliti moltissimo, nonostante molte ditte abbiano chiuso lasciando a casa migliaia di lavoratori, e il turismo, fonte economica indispensabile al Paese prima della guerra, sia scomparso, in alcune zone di Aleppo Ovest sembra che la vita sia ripresa. Le strade e i mercati sono tornati a essere frequentati, molti negozi hanno ripreso l’attività, tante scuole hanno riaperto, accogliendo bambini a casa da mesi.
“La popolazione vuole vivere, non sopravvivere” ci dice fra’ Bassam.
Al convento di San Francesco, padre Ibrahim al-Sabagh, della Custodia di Terra Santa, ci attende, felice del nostro arrivo. È proprio qui che, assieme ai frati della Custodia, seppur con tante difficoltà, è stato possibile realizzare un centro di emergenza per provvedere alle necessità più immediate della popolazione: acquisto di cibo, indumenti e coperte, medicine e assistenza medica fondamentale.
I primi due giorni li passiamo a visitare il centro di Aleppo, martoriato e distrutto, seguendo la linea di confine militare che divide la zona occupata dai ribelli da quella governativa, scortati da alcuni militari dell’esercito regolare.
Gli antichi e bellissimi palazzi del centro storico hanno lasciato spazio a cumuli di macerie senza fine. In alcune zone, la linea di trincea è delimitata solamente da semplici teli dell’Unhcr, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite. “Servono a evitare che i cecchini vedano chi attraversa quelle strade”, ci dice il nostro accompagnatore.
La sera, in tutta la città i generatori elettrici sono disattivati e ad Aleppo cala il buio più profondo, e tutto lascia spazio a una serie di rumori e rimbombi che difficilmente si possono dimenticare. Perché se durante il giorno i combattimenti tra forze governative e quelle anti-Damasco continuano, con il lancio di missili o
barrel bombs, ma in qualche modo sembrano essere più lontani,
durante la notte i bombardamenti del regime si fanno più incessanti, così come le risposte dalla parte orientale della città, fino a sentire esplosioni ogni tre o quattro minuti. Regnano l'assordante rumore di bombe e mortai e il ronzio continuo degli aerei russi nel cielo. E si sentono cadere missili e il crepitare di armi da fuoco. Spesso la mattina vicino ai conventi o alle abitazioni si ritrovano missili inesplosi.
“È un rumore che iniziamo a non sopportare più, perché ti scava dentro… e ti sconvolge”, ci dice padre Ibrahim. Come constatiamo poi anche nei giorni successivi, sono sempre più
in aumento i casi di persone e bambini con traumi non soltanto fisici ma anche psicologici: questo costante clima di tensione inizia a generare sempre più instabilità. “Siamo in contatto con alcuni ospedali e psicologi per realizzare un grosso progetto per la riabilitazione sia fisica sia psicologica di queste persone; abbiamo messo a disposizione un nostro grande spazio qui ad Aleppo”, ci racconta padre Firas, frate francescano di Aleppo.
La permanenza in città continua con giornate intense, fatte di incontri e visite. Ci sono famiglie e anziani che si recano settimanalmente al centro per usufruire degli aiuti offerti, in particolare il sacchetto di cibo e l’acqua erogata attraverso il pozzo attivato proprio di fianco alla struttura dei francescani.
Le derrate alimentari che mancano di più sono quelle basilari: uova, pane, olio, zucchero, sale, carne. Per non parlare della mancanza d’acqua, che “risale a prima della guerra”, ci dice uno dei ragazzi in coda presso il centro, riferendosi al periodo di grande siccità che ha investito la Siria negli anni prima del conflitto: tante persone “hanno sete da tanto tempo”. Al centro incontriamo anche militari governativi in coda per ricevere qualcosa da mangiare. Colpisce l’espressione di molte persone: sono spaventate e stanche, ma i loro volti raccontano anche una certa gioia nel rivedere i frati e la comunità, nel provare a tornare a vivere, e nell’incontrare nuove persone. Come ci hanno spiegato alcuni, “preferiamo rischiare un po’ e uscire e venire qui, piuttosto che stare tutto il giorno in casa, forse più al sicuro ma dominati dalla paura e dalla solitudine”.
Una donna racconta: “Mi sono accorta che tornavo alla parrocchia anche quando non era giorno di distribuzione. Non è solo l’aiuto concreto che cerco qui, ma anche le persone che ci sono e come ci trattano i frati… veniamo per ritrovare questo”.
Il clima che si respira in questo luogo è molto di più di una gratitudine per il semplice aiuto ricevuto. Qui le persone in qualche modo si sentono chiamate a partecipare, e lo dimostra anche la presenza di tantissimi giovani volontari che danno una mano nella distribuzione degli aiuti. Molti a breve potrebbero essere richiamati dall’esercito governativo, come coscritti. Tanti loro coetanei sono scappati per evitare la leva, per cui ad oggi ad Aleppo c’è in media un ragazzo ogni dieci ragazze. Quelli che sono rimasti “partecipano a questi momenti per costruire assieme qualcosa, nella gioia", ci dice il giovane George.
Tutte le attività di emergenza sono coordinate in gran parte anche con le comunità cristiane greco-ortodossa e maronita, con uno spirito di collaborazione e fratellanza prima sconosciuto. È quello che il vescovo Abou Khazen, incontrato durante il viaggio, definisce
“ecumenismo di sangue”, ma che diventa ogni giorno di più un’unità profonda, “alla radice. La guerra ci sta facendo riscoprire cosa ci unisce”.
Gli ultimi giorni ad Aleppo Ovest li abbiamo passati a visitare
scuole e ospedali. Nelle classi primarie e secondarie, le insegnanti ci hanno rivelato che “i bambini non vedono l’ora di arrivare a scuola la mattina, alcuni ci hanno detto che desideravano da tanto tornare a imparare”. Assieme a padre Ibrahim, visitiamo alcune strutture ospedaliere di Aleppo Ovest, che cercano di andare avanti nonostante la tragica situazione che ha visto negli ultimi anni la riduzione del 60 per cento di dottori e infermieri.
I medici che incontriamo sono preoccupati dalla mancanza di personale specializzato in città, non soltanto medico o infermieristico: elettricisti, tecnici di grandi macchinari… “Sono quasi tutti scappati, e quando chiami qualcuno per riparare un macchinario medico, o il generatore di elettricità o di ossigeno, passano anche diversi mesi. Spesso siamo bloccati, ma si va avanti”. Nell’ospedale ci sono pazienti feriti da missili. Alcuni hanno perso una mano o entrambe le gambe, e non potranno più camminare, ma sono inaspettatamente pieni di gioia nel ricevere una visita e di sapere che “qualcuno si ricorda di noi”.
Numerose sono le strutture sostenute dalla Custodia: dal Collegio di Terra Santa, che accoglie gruppi di ragazzi e sfollati, e che recentemente ha costruito una piscina per i numerosi bambini che da diversi anni non hanno possibilità di andare in vacanza, fino alla scuola per bambini sordo-muti, in maggioranza musulmani, dove
l’incontro con famiglie e donne musulmane è diventato “frutto inaspettato” del conflitto. Che è proprio quello che accade quando si mette in terra un seme.
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Come puoi aiutare l’operato dei francescani in Siria:
Nonostante i tanti aiuti arrivati finora, continua a esserci grande necessità di cibo, latte per i bambini, vestiti, occhiali, medicine, apparecchiature mediche. C’è anche bisogno di aiutare chi deve ricostruire la propria casa distrutta dai missili, e chi non ha più i mezzi per pagare le rette scolastiche dei figli. Tramite Associazione pro Terra Sancta anche tu puoi essere al fianco dei frati in Siria.
Per effettuare una donazione, che verrà rapidamente trasferita ai frati in Siria:
ONLINE – carta di credito e PayPal (
www.proterrasancta.org)
BONIFICO BANCARIO – IBAN: IT67 W050 18121010 0000 0122691; BIC/Codice Swift: CCRTIT2T84A
POSTA – Conto Corrente numero: 1012244214 intestato a ASSOCIAZIONE DI TERRA SANTA